CAFFÈ FILOSOFICO 2021 (LICEO CLASSICO) – RASSEGNA

Si è concluso il caffè filosofico di Simone Vaccaro, tenutosi in modalità telematica presso le aule del Liceo Classico Vittorio Alfieri di Asti, tra le ultime due settimane di gennaio e la prima di febbraio.
Lo spazio dell’aula non è un’area di cui calcolarne la superfice, né un solido da individuarne il volume; non è una metratura asettica né tantomeno un perimetro grigio e senza finestre. Quello spazio è una superficie aperta, una pianura, una radura che fuoriesce dalla selva e che incrocia altre selve e altri sentieri, bacino di crocicchi, vie terrestri di incontri e di scambi, di sguardi e desideri: è il campo aperto di una città continua, magistralmente narrata (o narrate, perché nella continuità labile si fa il confine significato dagli articoli la/le anteposti ad un sostantivo, peraltro, innumerabile) da Calvino.
E per quanto lo spazio si sia dilatato ben oltre il confine dell’aula con lo scotto da pagare di una sacrosanta – dati i tempi – mediazione telematica, il caffè lo si è sorseggiato anche quest’anno (e forse per davvero! Il che sarebbe un onore, perché indizio di una intimità amica – requisito indispensabile per far emergere spunti, riflessioni, richieste e problematiche: per far filosofia, in poche parole (Deleuze)).
Come da tradizione, si deve incominciare non dall’inizio della storia, ma da ciò che continua a ricominciare, ovvero da un problema e dalle sue soluzioni: dai suoi esiti. Problematizzare il problema, cioè riproporlo e rileggerlo, è operazione di appropriazione, di coscienzializzazione. Lo si assume e lo si gusta, lo si assaggia e lo sia assapora, ognuno con la propria sensibilità, come al bar. Come un caffè: chi lo beve lungo, chi ristretto; chi amaro e chi abbonda di zucchero; chi normale, chi macchiato, chi corretto; chi cappuccio e chi marocco. Chi d’orzo.
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Ci siamo dati problemi. E siamo partiti dalla nostra immersione nell’attuale epoca coronavirus, gettati dalla crisi sanitaria della pandemia da covid-19. Perché in quanto Evento inimmaginabile (e in quanto Evento è per essenza inimmaginabile), ci dà da pensare: proprio con il suo carico di impensabilità, e il suo taglio traumatico, il contraccolpo ha sconquassato uno stato di inerzia di moto rettilineo uniforme; ha lacerato quel piano della conduzione quotidiana della nostra esistenza e quella presunta dirigenza del corso del Reale. Ha interrotto la dimensione di quell’uno (minuscolo) che inanellava fatti (molti), li giustapponeva e li coerentizzava in un simulacro narrativo. E ha così incrinato e rotto una simmetria elevata a certezza, lasciando che dal dislivello così generato penetrasse il due che è il dislivello stesso: un prima e un dopo, la stasi e il moto, il quotidiano di ieri e il quotidiano di oggi.
È stata l’occasione, allora, per riproporre quella domanda in perenne cerca di risposta che sostanzia il discorso filosofico nella sua genuina trazione metafisica: il problema dell’Uno (maiuscolo) e dei Molti. Se la pandemia ha instaurato il regime del due, e con esso la molteplicità metafisica, la problematica emergente risale (e forse si immerge) ancora una volta in quell’Uno (maiuscolo) che accoglie il Due (i Molti) e in quel Due (i Molti) che esprime l’Uno (maiuscolo): pensare l’Unità isieme alla Molteplicità. Che in fondo è la domanda della differenza, sulla differenza. Come è possibile la differenza senza distruzione dell’Unità?
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Si sono ascoltate le soluzioni dette, consapevoli dell’impossibilità della dissoluzione. Si è dibattuto sulle proposte e sulle letture di quei filosofi che hanno fornito la loro personalissima posizione: da Parmenide a Lacan, da Aristotele a Deleuze, passando per Spinoza.
Questioni dall’esito aporetico, la domanda resta: in cerca di un’altra risposta, di un altro caffè...
@ILLUS. by PATRICIA MCBEAL, 2021