CANTINO PUNTUALIZZA SUL NULLA (parte I)
Nell’articolo che segue la controrisposta a Caiano di Cantino, in due parti. (Per vedere “Risposta del Caiano al Cantino” clicca qui).
1.
CAIANO DICE:
Il Nulla è alla base di ogni nostro pensiero sull’esistenza, e l’esistenza verso cui indirizziamo la nostra filosofia, la nostra poesia, la nostra scienza, la nostra tecnica, i nostri credo, non potrà che essere commista al Nulla, mai pura. L’essere puro è lontano, anelato o rifuggito, ma sempre lontano.
Col titolo ‘Essenza del nichilismo’ la casa editrice Adelphi pubblicò una raccolta di saggi di Emanuele Severino, il quale ultimo (specie in Ritornare a Parmenide, 1964) lamenta le conseguenze nefaste dell’interpretazione aristotelica dell’essere, dell’ermeneutica ontologico-grammaticale emergente dal DE INTERPRETATIONE. A dirla tutta, Severino accusa anche Platone e ravvisa nella filosofia platonico-aristotelica l’inizio di quella fine dell’essere che il nichilismo oggi porta alle sue estreme conseguenze. «Questo il discorso del tramonto del senso dell’essere – scrive Severino –, che trova nel Liber de Interpretatione di Aristotele la sua formulazione più rigorosa e più esplicita:
«È necessario che l’essere sia, quando è, e che il non-essere non sia, quando non è; tuttavia non è necessario che tutto l’essere sia, né che tutto il non-essere non sia; non è infatti la stessa cosa che tutto ciò che è sia necessariamente, quando è, e l’essere senz’altro di necessità. La stessa cosa si dica del non-essere».
Caro Caiano, Severino dice che «Il cuore della testimonianza consiste nell’avvedersi che di nessun ente – umano, divino, reale, ideale, illusorio, corporeo, sperato, temuto, rimpianto – si può affermare che non sia, e che quindi ogni ente, e dunque l’ente in quanto ente, è immutabile ed eterno» (Essenza del nichilismo, pag. 289).
Per Severino, il fatto stesso che un essere (umano) ‘possa’ esistere, è «già» di per sé una caparra ontologicamente probante nonché logicamente vincolante per l’ammissione indubitabile dell’«essenza potenziale» di un essere prima ancora della sua «esistenza attuale». Per quanto a livello divulgativo, qui Severino non fa che riproporre per l’ennesima volta la stessa paura nichilistica che già si era impegnato a stornare da sé nei suoi testi rivolti ai filosofi di professione: che l’essere possa non essere, in una maniera o in un’altra. La creatio ex nihilo predicata dalla Chiesa cattocristiana è, secondo Severino, la nichilistica deriva metafisica di una interpretazione dell’Essere che non va più esente dal non essere; il che emerge in modo interessante dall’articolo contenuto in Meglio nascere:
«Che dire, infine, dei bambini non ancora nati, che resteranno definitivamente inesistenti in seguito all’approvazione della legge contro la fecondazione eterologa? Per la dottrina cattolica i non nati non hanno diritti, tanto meno quello di esistere. Se li avessero, Dio sarebbe costretto a rispettarli e la creazione divina non sarebbe libera.» (ibidem, pag. 123).
Il NULLA, per Severino, non esiste; esso è teorizzato da un NICHILISMO che non afferra il dettato parmenideo dell’ESSERE.
2.
CAIANO SCRIVE:
Si può desistere solo se si pensa che nasciamo venendo dal nulla e, appunto, aneliamo a ritornarvici con la morte “sistematica” dell’umanità, dal momento che esistere equivale a soffrire.
Caro Caiano,
nessuno di noi sa esattamente cosa precede il nostro esistere in questo mondo. Sarei stolto, se credessi di poter dare una risposta su ciò che precede la Vita e su ciò che segue la Morte; su ciò che non sappiamo è meglio tacere. E, tuttavia, perché lei scrive che si può desistere solo se si pensa che nasciamo venendo dal nulla? A mio parere non è importante cosa si pensa al riguardo; una sola cosa conta: che noi non ricordiamo nulla, di ciò che ci precede ontologicamente, non abbiamo coscienza alcuna di ciò che eravamo quando ancora non eravamo. Questa assenza di coscienza memore mi basta; se poi possa darsi un fiume Lete, alla Platone, che serve a dimenticare tutto prima di reincarnarci, credo che non abbia molta importanza. Rifletta, Caiano: se anche possa darsi la reincarnazione alla maniera di Platone, la DESISTENZA porrebbe comunque fine alle reincarnazioni; se tutti gli umani la smettessero di procreare, nel giro di una generazione nessuno potrebbe più reincarnarsi, capisce?
Da dove veniamo non la sa nessuno, nemmeno i credenti che fanno circolare tante voci religiose e metafisiche, al riguardo. Cosa siamo, però, lo sappiamo tutti: esseri ontalgici, esseri esistenzialmente sofferenti. Il pensiero desistenziale parte da questo assiomatico dato di fatto, senza interrogarsi sul prima e sul dopo: la MORTE SISTEMATICA è un sistema che dev’essere superato – alla Zarathustra -: quando l’ultimo umano morirà, il sistema non servirà più. Non le pare?
Nessuno può anelare di tornare in un luogo o in una dimensione che non ha mai conosciuto; cosa sia il Nulla, persino se esso sia, non possiamo dirlo. Pure, pensando al famoso amletico ‘essere o non essere’, dico con Shakespeare che la realtà del sonno senza sogni può rendere bene l’idea del “nulla” come stato coscienzialmente immemore.
Lei, caro Caiano, ricorda qualcosa del suo stato prenatale? Io no. Nessuno ne sa niente. Ma sappiamo tutti che questa veglia non ci piace. Sappiamo tutti che potrebbe esserci un sonno diverso da quello della morte: il sonno che precede il risveglio alla vita. Chi l’ha detto che noi si debba per forza dormire nel sonno della morte aspettando che la tromba del Giudizio ci risvegli a miglior o a peggior vita? Non sarebbe meglio restare nel sonno prenatale, che non addormentarci nel sonno della morte, con tutte le incognite che esso comporta?
3.
CAIANO DICE:
…sempre che lei sia d’accordo ad attribuire l’aggettivo “filosofica” alla profezia della desistenza, sempre che far confluire questa sua peculiare riflessione nell’ambito del pensiero filosofico non la tradisca nella sua essenza).
Signor Caiano,
le confesso che mi spiace un po’, questa sua frecciatina. Vede, sono tanti coloro che snobbano il pensiero desistenziale dicendo che, in ultima analisi, esso non può ergersi a filosofia vera e propria.
Cos’è, Filosofia? Non è tanto la profezia della desistenza, ad essere filosofica, quanto piuttosto – questo sì – l’atteggiamento che il desistente assume per avverare la profezia.
Platone disse che la filosofia è un esercizio di morte; ma Platone, lo sappiamo, era un accanito sostenitore della vita, come i cristiani, cattoplatonici per definizione. Il desistente crede che la filosofia debba essere superata. Visto che lei mi cita lo Zarathustra di Nietzsche, le confesso che ho passato anni a studiare ‘Così parlò Zarathustra’ e sono giunto alla conclusione che il Profeta della Desistenza (detto con la dovuta ironia letteraria e filosofica: io) supera il Profeta di Nietzsche, Zarathustra, appunto, proprio come insegna il dettato filosofico zarathustriano: l’allievo supera il maestro. E le spiego come: se da una parte Zarathustra tagliò il legame con il cielo metafisico delle religioni, dall’altra Dexistens taglia anche il legame con la terra, con i cordoni ombelicali che forniscono alla terra materia di vita.
Capisce, Caiano? Anche la filosofia dev’essere superata; e il superamento della filosofia può esservi solo a patto che nessuno possa mai più filosofare, cioè pensare. Quando, caro Caiano, potrà mai avvenire tutto ciò? Quando gli esseri pensanti spariranno dalla faccia della terra. Noi, umani, siamo gli unici esseri pensanti su questa terra; nell’universo non lo so, ma non mi interessa: indagare se possano esistere altri esseri pensanti è un’operazione analoga a quella metafisica dei credenti.
4.
CAIANO SCRIVE:
…l’esistenza contro cui la desistenza si scaglia è un’esistenza corrosa dal Nulla (concettualmente corrosa), e scagliarsi in questi termini contro l’esistenza invocando il Nulla significa maledire e santificare il Nulla al contempo.
Lei parla del Nulla come se lo conoscesse. Mi pare pregiudiziale, una affermazione come la sua. Non presumiamo di poter volare così in alto, noi desistenti (detto per inciso: ne parlo sempre come se fossimo tanti, ma forse lo sono solo io, per ora): nessuno può desiderare e tantomeno “invocare” ciò che non conosce; lo dice anche Emanuele Severino.
Caro Caiano, provi a partire dal sublime verso leopardiano: a me la vita è male. Era umile, Leopardi, non estendeva questa sua lagnanza ontalgica a tutto il genere umano; io sono meno umile, dal momento che ardisco sottoporre il mio sentimento personale a tutti; ma mi dica la verità: a lei, la vita è bene?
Credo che siamo tutti Leopardi. Leopardi è tutti noi. Non possiamo non dirci leopardiani, quando si tratta di vita, di questa vita che viviamo. Filosofo è solo colui che prende bene coscienza di questo verso e dice: a noi la vita è male. Punto. Fermiamoci qui. Una cosa può essere “corrosa” solo se esiste già. Vede, è questo ‘già’ il vero problema della filosofia: filosofa solo chi c’è già. Ricorda Heidegger? Essere. Esserci… Inutile parlare di Essere astraendo dal nostro esser-ci. Severino temeva il nichilismo perché temeva di finire nel nulla, aveva paura di non poter incontrare di nuovo la sua adorata moglie, Esterina, mortagli prematuramente. Io ho compatito il lutto di Severino, mi creda. A me non piace il dolore, come a lei non piace, credo. Non ne posso più di scomparse, premature o meno.
Il Nulla che interessa al desistente, glielo ripeto, non è il Nulla filosofico che un Dio avrebbe vinto dando Vita a Tutto, così, a priori. Lasciamo stare queste cose: non è serio filosofare sulle sventure umane senza fare dei discorsi che veramente possano porsi come soluzioni appetibili e realistiche. A dispetto di coloro che giudicano l’auspicio desistenziale un delirio ideologico io rispondo dicendo che l’auspicio desistenziale sarà certo difficile da realizzare, ma non impossibile, a differenza di tanti obiettivi filosofici decisamente irrealizzabili.
MALEDIRE e SANTIFICARE è certo impossibile “al contempo” – come dice lei – in virtù di quel PRINCIPIO DI NON CONTRADDIZIONE aristotelico che Emanuele Severino usò forse impropriamente per scardinare un nichilismo che lui vedeva insito in esso; ma, francamente, qui non è in questione la maledizione del nulla o la sua benedizione. Se il Nulla è l’assenza di coscienza del dolore, assenza della cognizione del dolore – alla Gadda – ben venga! Sia benedetto! Le ricordo però ancora e sempre che può maledire solo chi c’è già; può maledire solo chi c’è già. Lei provi a togliere questo ‘già’ e vedrà che tutto tacerà: nessuno potrà né maledire né benedire.
Il desistente odia letteralmente anticaglie religiose come la Maledizione e la Benedizione; non dimentichi, caro Caiano, quel terribile passo di Genesi in cui il Creatore condanna Adamo ed Eva a questa valle di lacrime gettandoli su questa terra a scontare la colpa commessa, la colpa del peccato originale. Lei è disposto a credere a una cosa del genere? La caduta!
Preferisco non maledire niente e nessuno; in questo mi sento più Misericordioso del Creatore stesso. Preferisco anzi pensare che non può esistere, un Creatore come quello di Genesi. Quanto al benedire, ho sempre benedetto e invidiato quelli che non soffrono; credo che sia degno di benedizione solo colui che non provoca sofferenze agli altri. In questo senso, io benedico i genitori che non fanno figli perché sacrificano le loro potenziali creature per evitare loro quello che conosciamo bene.
Eccetera, eccetera, eccetera… continua a leggere Cantino puntualizza sul Nulla (parte II), LINK>>>
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Grassettature e ri-editing di eddymanciox.
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Disputa sul Nulla
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