IL DILEMMA VOLTAIRE: FELICITÀ O RAGIONE?
Come raggiungere la felicità? O, almeno, come ridurre al minimo l’infelicità con cui ogni essere umano deve inevitabilmente confrontarsi nel corso della propria esistenza? L’universalità di questi interrogativi, che ognuno di noi si è certo posto, ha indubbiamente contribuito a garantire alla felicità un posto di primo piano nella riflessione filosofica di tutti i tempi. Nel Settecento, la riflessione sul tema è particolarmente ricca e vivace e Voltaire – forse la figura più rappresentativa dell’Illuminismo francese – non tralascia di occuparsene. Autore della voce «Heureux» dell’Encyclopédie, Voltaire non affida tuttavia le proprie riflessioni sulla felicità umana a un trattato, ma a generi ben diversi: il suo epistolario – in particolare, le lettere all’amica Madame du Deffand, padrona di casa di uno dei salotti parigini più in vista dell’epoca – e i suoi racconti, in prosa e in versi.
Si tratta di un aspetto tutt’altro che irrilevante: convinto sostenitore dell’empirismo di ascendenza lockiana e newtoniana, Voltaire diffida dei sistemi, spesso oggetto delle sue critiche e dei suoi sarcasmi. D’altronde, la felicità è di per sé un concetto troppo indeterminato e sfuggente per essere materia di una trattazione sistematica: perché, allora, non provare a comprenderla meglio attraverso il racconto? Anche se Voltaire tende a svalutare la propria produzione narrativa, presentandola come una sorta di divertissement a cui si dedica quando non attende alla stesura di opere più impegnative, nel Settecento non è raro imbattersi in scritti caratterizzati da una stretta interdipendenza tra livello narrativo e livello filosofico: inserite in un quadro romanzesco, le idee diventano più chiare e avvincenti, raggiungendo così un pubblico più ampio di quello interessato alle sole argomentazioni filosofiche.
Interessato alla concretezza e desideroso di far pensare i propri lettori, Voltaire si avvale efficacemente della propria abilità di narratore, e le vicissitudini dei suoi personaggi diventano una sorta di banco di prova delle idee filosofiche. Ad esempio, quale migliore smentita dell’ottimismo di ascendenza leibniziana delle innumerevoli disgrazie in cui incappano i personaggi del più celebre racconto voltairiano, Candide? Per quanto riguarda la felicità, proprio nei racconti Voltaire ne delinea una sorta di fenomenologia, mettendo in luce i principali snodi problematici della questione: sul difficoltoso raggiungimento di tale ambito e appagante stato d’animo influiscono infatti le passioni (in particolare, l’amore), la ragione, il destino, i rapporti sociali, le condizioni materiali dell’esistenza.
Particolarmente complesso e interessante è il rapporto tra felicità e ragione (anche perché il Settecento continua a essere identificato come il “secolo della ragione”): sono compatibili o meno, si rafforzano o si escludono a vicenda? Tali interrogativi emergono con forza nell’Histoire d’un bon bramin, un brevissimo racconto del 1759 il cui protagonista è un bramino, la cui frustrante insoddisfazione è tale da fargli desiderare di non essere mai nato, benché non gli manchino né i beni dello spirito né quelli materiali. Ma sapienza, saggezza, ricchezza, una bella casa con ampi giardini, tre mogli avvenenti e compiacenti non sono sufficienti a renderlo felice, mentre la sua anziana vicina di casa – sciocca, bigotta e abbastanza povera – vive in una condizione di beata spensieratezza. Questo singolare contrasto fa indubbiamente riflettere.
La stupidità è forse un miglior passaporto per la felicità rispetto all’intelligenza? Se anche fosse tale, «nessuno è disposto ad accettare il patto di diventare imbecille per diventare contento»; per quanto il nostro anelito alla felicità sia istintivo e pressante, sembra che non varrebbe la pena di acquistarla a questo prezzo. In altri termini, «se teniamo da conto la felicità, teniamo anche più da conto la ragione», e ciò non sorprende se si considera che, dopotutto, la ragione è lo specifico contrassegno dell’uomo; non è dunque possibile rinunciarvi, ma – d’altra parte – non è ancora più assurdo rinunciare alla felicità? L’Histoire d’un bon bramin non fornisce alcuna risposta a questo dilemma: Voltaire lascia aperta la questione, limitandosi a osservare che ci sarebbe molto da dire al riguardo.
Mentre l’infelice bramino si tormenta con gli insolubili quesiti della metafisica e si strugge per la propria insormontabile ignoranza pur avendo dedicato un’intera esistenza agli studi, Zadig, protagonista dell’omonimo racconto, impara a proprie spese «quanto talvolta sia pericoloso essere troppo sapienti». Ancora più esemplare è, forse, la vicenda narrata in Memnon ou la sagesse humaine: nel tentativo di conquistare la perfetta saggezza, Memnon diventa infatti irrimediabilmente guercio e infelice. Che cosa ci suggeriscono le vicende dei personaggi voltairiani? Apparentemente, anche se la ragione è il tratto distintivo dell’umanità, affidarsi esclusivamente a essa per la propria realizzazione può rivelarsi non soltanto inefficace, ma addirittura controproducente. Se abdicare a essa è fuori discussione, come ben emerge dall’Histoire d’un bon bramin, anche abusarne è dunque sconsigliato: la lezione di Voltaire è innanzitutto una lezione di misura e di moderazione.
Il contributo della ragione al conseguimento della sospirata felicità consiste allora nell’insegnarci ad accettare i nostri limiti e ad accontentarci, ovvero a smettere di cercare la felicità dove non è possibile trovarla. Emblematico, a questo proposito, il racconto in versi Thélème et Macare, dove Thélème – incarnazione del desiderio che ci spinge a un’incessante quête du bonheur – cerca ovunque Macare – allegoria della felicità a cui tutti anelano – per poi trovarla a casa sua e scoprire che è possibile conservarla «sans trop chercher, sans trop prétendre», ossia a patto di non volere troppo, oltre che di non vantarsi di possederla. Non tanto diversa è la conclusione a cui approda Candide, che da tanti viaggi e da tante prove ha finito per imparare – come è noto – che «bisogna coltivare il nostro giardino».
Debora Sicco, professoressa a contratto presso l’Università del Piemonte Orientale
Collabora con l’Università degli Studi di Torino presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione
@ILLUS. by, FRANCENSTEIN, 2020