FEDE E RAGIONE INCONCILIABILI OPPOSTI? – (PARTE I)

Se qualcuno riducesse Platone a sistema, costui renderebbe un grande servizio al genere umano
G. W. Leibniz Lettera a Rémond.
Coloro che non sono scioccati quando si imbattono per la prima volta nella teoria quantistica non possono averla compresa
Niels Bohr, Atomic Physics and Human Knowledge
Il desiderio, l’auspicio di unire fides et ratio, mi infiammava fin dall’adolescenza, quando iniziai a sviluppare il nucleo centrale della t.e.a. (teoria della evoluzione acasuale). Nel 1996 avevo 22 anni quando pubblicai le prime deduzioni in un saggio, il quale, sebbene acerbo, fu recensito dall’attuale Esarca Apostolico in Grecia, il vescovo Manuel Nin, sul quotidiano ufficiale della Città del Vaticano (Osservatore Romano del 25 novembre del 2012). Prima di trascrivere qui una sintesi più matura di questa personale proposta filosofica e interdisciplinare (o sinottica) premetto che agli inizi del secolo scorso Freud trovò tracce di atemporalità nei processi del sistema inconscio[1]; in tempi più recenti, i fisici della meccanica quantistica le trovano quotidianamente studiando realtà sempre più microscopiche, infinitesime, dove il cosmo affonda le sue radici. In particolare le scioccanti simultaneità e aspazialità di alcuni fenomeni subatomici, come ad esempio le correlazioni quantistiche[2], hanno spinto diversi ricercatori contemporanei a ipotizzare da un lato che il tempo sia un’illusione e dall’altro che l’atemporalità sia un fondamento cosmico; vedere ad esempio l’ipotesi sostitutiva del tempo denominata “Platonia” dal fisico Julian Barbour in omaggio a Platone.
A ben vedere la platonica eternità immobile sembra emergere ovunque, anche in numerosi altri campi, ma qui, per non dilungarmi troppo, aggiungo solo la biologia quantistica e il fatto che gli scienziati accumulano sempre più informazioni su come nelle cellule celebrali determinate reazioni chimiche siano attivate proprio dai quantum entenglements.[3] Di conseguenza, volendo mettere a fuoco – attraverso la t.e.a. – la più profonda e segreta natura dell’essere in generale e in particolare l’essere concernente la nostra mente, non limiterò questo articolo alla sola realtà temporale che è stata, che è e che sarà; mi riferirò anche a quella ipotetica realtà atemporale che Platone collocò al vertice della sua intera filosofia. Detto in breve la descrisse come l’eterna e immobile matrice del tempo;[4] una realtà nella quale (1) il passato, (2) il presente e (3) il futuro coesistono simultaneamente formando una UNITÀ indissolubile. Seguendo la bella definizione coniata dai filosofi Stump e Kretzmann da ora in poi la chiamerò anche “simultaneità eterno-temporale”. E richiederò a voi l’attenzione massima, se non altro perché nella storia di tutto il pensiero Occidentale non vi è paradigma filosofico altrettanto apicale, attuale e, a dire il vero, cristiano, visto che sant’Agostino, similmente a Platone, affermò in sintesi quanto segue:
Dio (l’Essere eterno) è il creatore del tempo (Confessioni II, 36-41) e, benché sia partecipe del tempo, la sua dimensione primaria è l’eternità atemporale, una dimensione assolutizzante nella quale – simultaneamente e immobilmente – sono compresi la totalità degli eventi che noi definiremmo passati, presenti e futuri (Confessioni XI, 13, 15).[5]
Secondo questa prospettiva, l’atemporale onniscienza di Dio sarebbe quindi paragonabile alla simultanea e immobile visione di tutti i fotogrammi di una pellicola, mentre invece potremmo paragonare la nostra esperienza temporale allo scorrimento di un fotogramma alla volta, uno dopo l’altro, come infatti abitualmente esperiamo durante la visione di un film. Per iniziare a portare alla luce le prime importanti implicazioni di quanto detto finora, consideriamo l’esempio delle due linee orizzontali parallele citato da Natalja Deng, in Eternity in Christian Thought:
La linea inferiore rappresenta il tempo e quella superiore rappresenta l’eternità atemporale. […] Il presente temporale è rappresentato da una luce che si muove costantemente lungo la linea inferiore, mentre il presente eterno è rappresentato dalla linea superiore che si illumina tutta in una volta
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Ora consideriamo che nella linea inferiore t0 sia il punto attualmente illuminato e che i punti che verranno illuminati in futuro, uno dopo l’altro, siano t1, t2, t3, ecc.
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t0_____t1_____t2_____t3_____t4_____ecc.
Cosa vedremmo se, istante dopo istante, ci trovassimo in ogni singolo punto che si accende temporaneamente nella linea inferiore? Come Deng giustamente ha affermato, ci troveremmo, di volta in volta, in un rapporto di simultaneità con l’intera accensione della linea superiore; tuttavia, dal punto di vista dell’Essere atemporale rappresentato dalla linea superiore risulterebbe illuminata anche l’intera linea inferiore e non un punto alla volta. Chiunque si trovasse sulla linea superiore non vedrebbe in anticipo i punti del futuro (t1, t2, t3…): ne avrebbe piuttosto una conoscenza immediata, atemporale ed eterna, simultaneamente a t0.
Prendiamo ora spunto dall’esempio di Natalja Deng e immaginiamo uno specchio atemporale al posto dell’intera linea superiore.
Tra i padri della Chiesa non era raro seguire Platone anche nel paragone tra Dio e lo specchio, come ad esempio: «[…] questo Dio di cui lo spirito è lo specchio […]»[6]
Nel nostro caso dovremmo immaginare uno specchio al posto della linea superiore così da riflettere ciò che accade lungo la linea inferiore, ovvero la luce che si accende un istante dopo l’altro. Che risultato otterremo? Come per la linea superiore dell’esempio di Deng anche lo specchio sarebbe interamente illuminato: essendo nella simultaneità eterno-temporale rifletterebbe tutti insieme i punti del futuro t1, t2, t3… simultaneamente a t0.
Se la luce emessa, istante dopo istante, lungo la linea inferiore fosse di una torcia direzionata da me verso lo specchio atemporale – una torcia che casualmente e istante dopo istante cambiasse colore mentre cammino parallelamente allo specchio – allora, oltre a vedere riflesso il colore emesso nell’istante presente (t0), vaticinerei tutti quelli futuri (t1, t2, t3…): oltre a vederli allineati tutti insieme, simultaneamente vedrei riflessa anche l’informazione del loro esatto ordine cronologico. Ciò non sarebbe privo di conseguenze. Qualora infatti si dimostrasse che tra gli eventi presenti e futuri vi sia un simultaneo interscambio di informazioni, si avrebbero tanto per cominciare due conseguenze paradossali: da un lato il concetto di casualità finirebbe col rivelarsi, ad oggi, sovrastimato; dall’altro acquisirebbe lo status di fondamento cosmico un concetto, svalutato e ridicolizzato dai più ancora oggi, ma che in passato, sia Platone, sia gli apostoli di Cristo, tenevano nella più alta considerazione: la …
Tranquilli, scriverò la parola omessa più avanti, ma essendo appunto connessa al davvero poco intuitivo modello dell’Eternità immobile, la rivelerò solo dopo avere almeno in parte provato a fugare i fraintendimenti più facili. D’altronde il timore di venire frainteso e la conseguente intenzione di NON voler mettere per iscritto il vertice del suo pensiero, li esprimevano anche Platone e suoi i discepoli che, nell’Accademia platonica, si ritenevano i degni portavoce delle sue dottrine[7]:
Devi però stare attento che queste cose non finiscano nelle mani di gente impreparata, perché sono convinto che nulla faccia più ridere la massa che l’ascoltare discorsi di tal genere, quando invece, agli occhi della gente per bene, nulla vi sarebbe di più straordinario e affascinante. […] Coraggio, dunque, e fa come ti dico: dà alle fiamme questa lettera dopo averla letta e riletta. […] Si tratta, invero, di principi che vanno ripetuti più e più volte, e sempre ascoltati con attenzione per molti anni, e solo dopo un gran lavorio, e fatica, affiorano nella loro purezza, come capita con l’oro. […] E dunque pensa a ciò e bada a non doverti pentire di aver fatto finire in mani indegne queste dottrine. […] la miglior garanzia contro questo rischio resta quella di non affidar nulla alla scrittura, ma allo studio mnemonico. Ecco il motivo per cui io non ho mai scritto su tali argomenti, né c’è e neppure ci sarà alcuna opera scritta di Platone intorno ad essi (Lettera II, 314 A–C)
Prima di esplicitare le ulteriori implicazioni e conseguenze riconducibili all’essere immersi nell’Eternità immobile preciso che con la t.e.a. non reinterpreto la dogmatica cristiana con irriverenza: al contrario, tutte le mie deduzioni (le quali, fino a prova contraria, risultano logiche) si basano sugli elementi costitutivi dell’alta teologia trinitaria a partire da quella che oggi non è solo un’affermazione teologica ma un’ipotesi scientifica, ovvero – appunto – la platonica eternità immobile (o simultaneità eterno-temporale). Detto in sintesi affermo questo:
Se l’eternità immobile fosse – come la intendevano Platone e i Padri della Chiesa – una parte essenziale della natura di Dio (nonché la matrice immobile del fuggevolissimo tempo), allora sarebbe logico ritenere l’ESSERE che vi è radicato simultaneamente uno e trino e la ragione è semplice: come ho evidenziato poc’anzi nell’esempio della torcia (il cui senso espliciterò meglio nella tabella n. 1) nella simultaneità eterno-temporale i tre tempi, cioè il passato, il presente e il futuro, mantengono invariata la loro cronologia; più esattamente le relazioni che li legano gli uni agli altri secondo un ordine ben preciso sono eternamente fissate e immutabili, e tuttavia nella simultaneità eterna accade fatalmente anche questo: proprio perché lì sono simultanei i tre tempi si fondono in una unità indissolubile. Come tenterò di mostrare nella sottostante tabella è altresì logico che il Primo dei tre sia archetipo del passato e si chiami Padre, il Secondo sia archetipo del presente e si chiami Figlio e il Terzo sia archetipo del futuro e si chiami Spirito Santo. Inoltre, se nel passato abbiamo potuto chiamare “futuro” questo fuggevolissimo momento attuale (il presente), e nel futuro potremmo al contrario chiamarlo “passato”, è altresì logico che i tre archetipi/matrici del passato-presente-futuro, cioè le tre fondamentali espressioni dell’ESSERE, siano esattamente come le definisce l’Alta Teologia Trinitaria:
tre divine Persone del tutto identiche per sostanza, potenza ed eternità e distinguibili solo dal tipo di relazione che lega ognuna alle altre…
ma tutto questo risulterà molto più chiaro nell’articolo seguente. Come tenterò di mostrare sinteticamente, quell’indissolubile unità atemporale che è l’eternità immobile, ridimensiona da un lato il concetto di caso e dall’altro sembra rendere inevitabile il principio antropico forte, ossia il finalismo-pro-vita del cosmo.
[1] «I processi del sistema inconscio sono atemporali, e cioè non sono ordinati temporalmente […]». Sigmund Freud, Opere, viii, 1915.
[2] Una correlazione quantistica può manifestarsi ad esempio ogni volta che si bombarda con ultrasuoni di una certa frequenza un atomo di calcio sino a indurlo a emettere due o più fotoni sparati alla velocità della luce in direzioni opposte. Il paradosso sta nel fatto che per ogni cambiamento di direzione operato dagli scienziati alla traiettoria di uno solo di questi fotoni, tutti gli altri subiscono nel medesimo istante (simultaneamente) lo stesso identico cambiamento di direzione come se fossero una Unità indivisibile e indipendente dallo spazio e dal tempo. A questo riguardo Bohr affermò: «Anche se due fotoni si trovassero su due diverse galassie continuerebbero pur sempre a rimanere un unico ente, e l’azione compiuta su uno di essi avrebbe simultaneamente effetti anche sull’altro». È come se, gettando una matita a terra si verificasse puntualmente la simultanea caduta, nei cinque continenti, dell’intera produzione di matite di quel modello. Tutto ciò sembra essere più vicino all’idea di magia che non al comune modo di percepire il tempo, la materia e lo spazio; eppure la simultaneità della correlazione quantistica è un fenomeno reale e viene puntualmente verificato dagli scienziati. Non deve quindi meravigliare se anche tra di loro vi sia chi ipotizzi l’esistenza della simultaneità eterno-temporale.
[3] Vedere ad esempio lo studio di Henrik Mouritsen sui pettirossi europei e la loro capacità di migrare seguendo il campo magnetico in base proprio alle correlazioni quantistiche.
[4] Nel Timeo (37 D) Platone parla di Dio in questi termini: «Egli pensò di produrre una immagine mobile dell’eternità, e, mentre costituisce l’ordine del cielo, dell’eternità che permane nell’unità [menontos en heni], fa un’immagine eterna che procede secondo il numero, che è appunto quella che noi abbiamo chiamato tempo». Di questo divino creatore del Tempo specifica poi che non è corretto parlare del «Padre generatore» dicendo che «era» e «sarà» ma che a Lui si addice solamente l’«è», perché «ciò che è immobilmente identico non conviene che divenga né più vecchio né più giovane nel corso del tempo, né l’essere divenuto ad un certo momento, né il divenire ora, né il divenire in avvenire: nulla, insomma, gli conviene di quanto la generazione ha conferito alle cose che si muovono nell’ordine del sensibile, che sono forme del tempo che imita l’eternità». Poco più sotto afferma l’inopportunità di presentare ulteriori dettagli al riguardo e chi desidera approfondire le ragioni di questa reticenza può farlo con Giovanni Reale, Per una nuova interpretazione di Platone…, Bompiani, decima ediz. (1991).
[5] Vedere anche De Trinitate, VI, 10: «Perché c’è un solo Dio, ma è Trinità». Ibid., IV, 21: «Evidentemente nella sostanza in cui sussistono, i Tre sono una cosa sola: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, identica realtà senza alcun movimento temporale, al di sopra di ogni creatura, senza alcuna separazione nel tempo e nello spazio, una sola identica cosa, simultaneamente dall’eternità all’eternità, come l’eternità stessa che non esiste senza verità e senza amore. Ma nelle parole “Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo” sono stati separati, non hanno potuto essere detti simultaneamente e hanno occupato spazi distinti nelle lettere visibili con le quali li ho scritti. E come quando nomino la mia memoria, la mia intelligenza, e la mia volontà, i singoli vocaboli si riferiscono a cose distinte, ma tuttavia li pronuncio con il concorso di tutte e tre le facoltà insieme, non venendo detto nessuno dei tre vocaboli senza la cooperazione tra la mia memoria, la mia intelligenza e la mia volontà, così la Trinità inseparabilmente ha operato la voce del Padre, la carne del Figlio e la colomba dello Spirito Santo, sebbene queste tre singole cose si riferiscano alle singole persone»; vedere anche De Trinitate, VIII, 1, op. cit.
[6] Agostino, De Trinitate, XV, 24; tratto da p. 531 de La Trinità, III edizione minima di CITTÀ NUOVA, 2006, traduzione è di Giuseppe Beschin. Questo estratto agostiniano riecheggia quanto afferma Platone in Alcibiade maggiore 133B-C. Vedere anche Plutarco, Il demone di Socrate, I ritardi della punizione divina. 2011. Adelphi, p. 106. Qui il platonico Plutarco ricorre all’allegoria dello specchio associandolo all’intelletto e al dàimon e a questo riguardo è opportuno ricordare che nel Simposio Platone descrisse il dàimon come l’intermediario tra la temporalità umana e l’eternità immobile di Dio.
[7] Sulle cosiddette “Dottrine non scritte” di Platone vedere ad esempio Giovanni Reale, Per una nuova interpretazione di Platone…, Bompiani, decima ediz. (1991). Platone, Fedro 274B – 278E; Lettera VII, 341B-342A. Aristotele, Fisica 209B 13-15. Aristosseno, Elementa armonica 2, 30-31.
Per ulteriori informazioni, si rinvia all’articolo Platone vaticinò il Cristo?