IL FILOSOFO (S)CONNESSO (III PARTE): OUT OF JOINT

“Ma è chiaro anche a un bambino” disse lei “quelli che stanno fra i due estremi. Eros è nella categoria. La cultura è fra le cose più meravigliose, ed Eros è eros di meravigliose cose. Non si scappa: Eros è amatore di cultura, e in quanto amatore è in bilico fra maestro e ignorante”
Platone, Simposio, discorso di Diotima, 204 b, 1-5
Nella società della circolarità, dell’interconnessione, della rete è facile trovare il proprio posto nel mondo: essere un nodo di una trama più grande, nell’orbita di un Hub più esteso è diventata esperienza quotidiana, talmente quotidiana da divenire sottofondo, praticamente sfondo impercettibile. Una volta effettuato il login e dopo essersi outologgati ci riscopriamo perennemente connessi, anche nella cosiddetta vita off-line e benché fuori dalla linea di una rete globale (e opprimente).
Ci ritroviamo connessi e la maledizione della sconnessione incombe su di noi; un singolare rovesciamento dell’amletica automaledizione: “i tempi sono out of joint, fuori di sesto, e io, Amleto, sono stato incaricato dal Destino, che parla per bocca del fantasma di mio Padre, di rimettere le cose in ordine, di collegare lo scollegato. Me misero!” – L’Eredità della connettività è il peso che si trascina dietro il giovane Principe: è il suo ruolo, il suo posto nella catena cosmologica generale; deve essere l’ingiunzione paterna che gli ordina l’ordine del Regno. Ed ecco presentarsi il ribaltamento, fantasma del fantasma paterno: il mondo è già passato ai Figli, si è già nella terra promessa, eredità che il Padre non ha potuto godere, ma vedere solamente. La maledizione è lo spettro al quadrato, la spettralità allo stato di latenza che ha finalmente raggiunto il suo obiettivo. Il Figlio dovette riconnettere il Regno; i Figli impedirne la sconnessione.
Solamente, lo spettro del fantasma ha un aspetto decisamente meno truce e spaventoso. Non è un corpo ectoplasmatico, memoria sbiadita e sbiadente di un fu, quanto più l’ectoplasmaticità del corpo, l’evanescenza stessa del corpo che si fa rarefatto, sino alla completa sparizione. E la connessione eterea, quasi mesmerica, ha una forza d’attrazione gravitazionale (e non è già la forza gravitazionale influenza senza contatto? Effetto sui corpi incorporeo?) potentissima e spettacolare. È, in fondo, il rapporto dialettico che coinvolge il visibile e l’invisibile a creare le connessioni: non si vede, ma trascendentalmente fa vedere; non fa le cose, ma fa in modo che le cose. Siano e che operino; siano e vengano conosciute. Anticipazione teologica di un Eden ritrovato; il Dio non è creatore, Deus Creator. L’uomo, corrispondentemente, non è faber.
Difatti l’uomo è corpo! È il suo corpo la sua carne i suoi istinti: l’automaledizione che Amleto si impartisce è la risposta all’ingiunzione paterna di perdere la corporeità, sacrificata sull’altare della più alta connessione. Il corpo è creatore: corpus creator. E in quanto creatore fa le cose, le plasma, le crea – per l’appunto. Sempre in bilico, equilibrista dell’arte banausica e della correlazione demiurgica, il corpo è la morte e la vita, è σῆμα (sema, ovvero tomba) e σῶμα (soma, terminologia greca per corpo), è principio del piacere e pulsione di morte, che esige l’ottemperanza e con essa l’esaurimento. Cerca la combustione nel fuoco del desiderio e trova le confessioni della carne (Foucault).
Il corpo è riottoso; scontroso, figlio del peccato e della mancanza (secondo Agostino, nel De Civitate Dei, Adamo ed Eva, prima della Grande contravvenzione, si accoppiavano, regolarmente e naturalmente: senza desiderio, senza bramosia), è allo stesso tempo figlio della conoscenza – di quella conoscenza del bene e del male confusa con un più corretto riferimento alla totalità del conoscere: la dizione ebraica “conoscenza del bene e male” significherebbe pressappoco “conoscenza dalla A alla Z” -, dell’abbondanza dell’eritis sicut Deus. Mancanza, bisogno, principio di piacere da una parte; dall’altra abbondanza, pienezza, pulsione di morte. La grande differenza ontologica si è aperta: Deus e homo, le Idee e le cose. L’Essere e il non-essere.
Ma il corpo chiama, attira il Dio (Zeus ne sa qualcosa…) e cerca un Dio; e attrae perché bello, perché bellezza incarnata: questo è l’Eros, non il figlio della mancanza, della povertà – Πενία (Penia) – e di abbondanza, di pienezza divina (che proprio perché cerca il corpo di Penia è abbondanza di mezzucci – Πόρος (Poros) che non è né bello né brutto, né ricco né povero. Ma quell’erotica che è la causa della nascita di Eros, la spinta incomprensibile all’ibridazione, all’unione e alla connessione. E in quanto corporea, intrecciata è un po’ meno di un Dio o un po’ di un uomo: per questo per Platone i filosofi avrebbero dovuto governare; per questo nel Novecento l’uomo ha temuto l’apocalisse antropologica.
Immerso nella svolta lubrica e pornografica, il corpo si è votato (o lo hanno eletto) alla sessualizzazione costante: il corpo è erotico, con buona pace dell’Erotica. Pulsante nei mille annunci a pop-up, smaterializzato nella digitalizzazione, simulacro di desideri in processione, il corpo perennemente connesso, ordinato e posizionato diventa il surrogato pornografico sovraesposto. Erotizzato senza Eros. Un corpo di carne volatile, organo (sessuale) senza corpo (Žižek) che incarna la fantasmagoria somatica che vive tra le nuvole. Nell’età dell’eterna connessione il corpo digitalizzato è fratto, binario: aut-aut.
Ecco allora il senso della (s)connessione: de-erotizzare il corpo, la carne per intravvedervi l’Eros, l’Erotica che ha generato l’Eros, quel demone la cui esistenza ha impartito, per bocca della saggia Diotima, una lezione fondamentale a Socrate, il più sapiente tra i mortali. Il quale ha a sua volta educato, benché incompreso, quell’Alcibiade che tronfio della sua prestanza fisica ha concupito il maestro, venendo miseramente rifiutato dalla continenza filosofica dell’Ateniese. Una dura lezione, questa; un netto rifiuto. Rifiuto come paideutica apofatica, come negazione di una connessione viziata e asfittica e al contempo manifestarsi della connessione somatica, nella (s)connessione.
La via del filosofo (s)connesso passa per il riconoscimento della trasversalità del corpo, della sua inerente disposizione, del taglio all’ecumene, alla presunta totalità del Tutto. Riconosce nella de-pornografizzazione e de-erotizzazione dell’erotica la possibilità di una rinnovata erotizzazione della filosofia, di quell’Eros filosofico che fonde il filosofico con l’Eros. Che sia meditatio mortis (Platone) o meditatio vitae (Spinoza: «Homo liber de nulla re minus, quam de morte cogitat, & ejus sapientia non mortis, sed vitae meditatio est» Ethica, IV, Prop. LXVII), la filosofia è l’out-of-joint perturbante, la (s)connessione in vista di nuova linfa connettente.
(S)connettersi, essere out of joint non richiama però quel procedere nomadico e rizomatico, disseminante e antilogico; ancora una volta, in quanto erotica, la filosofia occupa il non-posto dell’intercapedine, del fra, dell’intromissione problematizzante delle coordinate. Il filosofo (s)connesso deve portare disordine, aumentare l’entropia e (s)coordinarsi dalle tre coordinate portanti: anima, mondo e Dio.
La citazione in esergo è tratta dall’edizione curata da Ezio Savino di Platone, Simposio, Apologia di Socrate, Critone, Fedone, Mondadori, Milano 1991.
Il concetto di aumento dell’entropia l’ho trovato nel volumetto Carlo Rovelli, L’ordine del tempo, Adelphi, Milano 2017, come riflessione sintetizzante le ultime direzioni della ricerca scienfica sulla nozione di tempo.
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@ILLUS. by, MAN OF PONG, 2020