HABEMUS HAMUM!

Oracolo del Profeta, io vidi una Sacra Rappresentazione. Vidi un Essere itinerante, extravagante fuori dall’orbita del sistema solare, che si fermò un attimo per reclamare a gran voce il suo stravagante diritto di Esserci: «Io sono l’Essere heideggeriano – diceva questo Essere – io sono “l’Essere-che-dev’esserci”, ma per esserci devo poter avere un itinerario, devo poter “essere-in-itinere”. Qualcuno mi sente? Io voglio esserci perché devo essere, capito? Qualcuno mi indichi un itinerario!».
A chi parlasse non si sa, perché non c’era nessuno ad ascoltarlo, c’era lui, ma lui manifestamente non “c’era”, dacché semplicemente “era” (in incognito) che cos’era essere, quod quid erat esse. Caso volle, non certo fortuna, che sul pianeta terra due giovani innamorati volessero coronare il loro sogno d’amore, l’Essere heideggeriano, con “un piccolo Esserci progettato da loro”; qualcuno potrebbe chiedersi perché due giovani innamorati dovrebbero voler coronare il loro sogno d’amore proprio con “un piccolo Esserci progettato da loro”… la risposta è semplice: erano due studenti di filosofia (fuori corso) e stavano preparando la tesi di laurea su Martin Heidegger, per questo il loro sogno ontologico era “un piccolo Esserci progettato da loro”; come possa, poi, un sogno ontologico essere anche un sogno d’amore, questo nessun filosofo ha mai saputo spiegarlo, nemmeno Heidegger. Fatto sta che quei due studenti di filosofia non vedevano l’ora di avere “un piccolo Esserci progettato da loro” e sapevano che questo non era un sogno campato in aria poiché era anzi ben gettato in terra, come un dono disceso dal cielo, dal cielo esistenziale dell’Essere trascendente, ovviamente.
«Heidegger ha concepito un grande Essere e noi non possiamo concepire “un piccolo Esserci progettato da noi?”». I due non lo sapevano, ma l’Essere li stava ascoltando e: «Finalmente qualcuno che ha sentito il mio appello!» – disse tra sé, mentre in un angolo remoto del pianeta un tipo bizzarro, di nome Dexistens, sbraitava e si sbracciava disperato: «Save the Children! Save the Children!». Né l’Essere heideggeriano né i due giovani studenti di filosofia sentirono l’appello di Dexistens sicché ognuno continuò imperterrito a realizzare il proprio piano: l’Essere quello di gettare esseri che ci sono, e i due studenti quello di progettare un essere che ci fosse. Dexistens s’accorse di non essere stato udito per il fatto che nessuno l’aveva cagato, al che cercò nuovamente di salvare capra e cavoli strillando: «Save the Children! Save the Children!» (perché sapeva che i bambini nascono sotto i cavoli… quanto alle capre, cosa c’entrassero con i bambini non ne sapeva niente, né lui né nessun altro).
Fu allora che un tipo strambo, un filosofo di nome Luigi Pareyson, per caso trovandosi lì a vedere quella Sacra Rappresentazione, pontificò: «…il suo regno non avrà mai fine»; si riferiva al Padre nostro che è nei Cieli (quello che lui credeva essere l’Essere di Heidegger). Frattanto, però, né l’Essere di Heidegger né la coppia di innamorati sentì la voce di Pareyson, così come nessuno di loro sentì la voce di Dexistens. Nessuno sentiva la voce dell’altro; il che potrà sembrare strano, ma era assolutamente normale perché, in quella Sacra Rappresentazione, chi c’era non era e chi era non c’era: regnava la più totale incomunicabilità fra Essere ed Esserci, questo prevedeva il copione. Perciò l’Essere heideggeriano continuava a dire: «Io sono l’Essere heideggeriano, io sono ‘l’Essere-che-dev’esserci’, ma per esserci devo poter avere un itinerario, devo poter ‘essere-in-itinere’. Qualcuno mi sente? Io voglio esserci perché devo essere, capito? Qualcuno mi indichi un itinerario!». A un certo punto sembrò che Pareyson avesse sentito qualcosa, perché, come si dice, sembrò che avesse messo in bocca all’Essere heideggeriano le seguenti parole: «Ego sum qui sum»; ma questo non è possibile, aveva certamente frainteso: chiunque ne sappia un po’, di filosofia (e Pareyson qualcosa ne sapeva, visto che la insegnava) sa benissimo che l’Essere heideggeriano non potrebbe mai e poi mai dire «Ego sum qui sum» bensì al massimo «Ego sum qui est», o, se vuol dirlo in greco, τὸ τί ἦν εἶναι. Era proprio l’essere che era, quell’Essere, era quel che era: un povero Essere che non c’era. Tutti, siamo quel che siamo, alla fine della fiera.
Tra i vari motivi per i quali quei due studenti (fuori corso) di filosofia avevano deciso di avere “un piccolo Esserci progettato da loro” c’era anche quello di donare al grande Essere heideggeriano un piccolo «Ci» capace di farlo esistere: «L’Essere ci getta l’amo, e noi, che di buon grado abbocchiamo amandoci, gli progettiamo ‘un piccolo Esserci progettato da noi’: ci sembra uno scambio ragionevole, no? Lui ci dona l’Essere-che-non-ha-fine e noi contraccambiamo (per)donandogli un Esserci-che-ha-fine» – si dicevano l’un l’altro. Dexistens, allibito, letteralmente basito nel sentire quelle solenni cazzate, non riuscì proprio a trattenersi e sbraitò nuovamente sbracciandosi più di prima: «Ehi, voi due, piccioncini heideggeriani, fate attenzione, è una fregatura: l’Essere di Heidegger ha bisogno che voi gli progettiate un piccolo Esserci affinché questo Esserci possa, una volta diventato grande, essere rigettato donde è stato gettato e in questo modo compiere il miracolo della dejezione… non lo conoscete, ‘il miracolo della dejezione’? Nella versione cattocristiana suona ‘Dio getta e l’uomo progetta’, che è una variante dell’altro più famoso: “l’uomo propone e Dio dispone”.
Qualcuno volgarmente lo chiama “il miracolo delle feci”, ma non dategli retta: allude al fatto che siamo tutti nella merda, e su questo non gli si può dare torto, del resto, al di là di ogni getto che possa o meno sperare di diventare un progetto degno di tal nome…». Non smetteva di sbraitare, Dexistens, mentre si sbracciava: quella Sacra Rappresentazione l’aveva veramente fatto incazzare; per questo continuò: «Ehi, voi due, piccioncini heideggeriani, fate attenzione, è una truffa: l’Essere-senza-fine vi getta un boccone avvelenato! il suo “amo” è come la Mela del Male di Adamo ed Eva, habemus hamŭm! Lui butta la lenza con tanto di ésca: vi adésca con l’amo, l’Essere-che-non-ha-fine… io amo, tu ami, ma egli non v’ama, o piccioncini heideggeriani, non si sa nemmeno se sia una Persona capace di provare sentimenti, questo Essere-senza-fine! – e qui pare che Pareyson, stizzito, bofonchiasse qualche cosa ma nessuno sentì che cosa – Se vi amasse non vi darebbe un Esserci-per-la-fine – proseguì Dexistens – un Esserci-per-la-morte: è un imbroglio, piccioncini, vi illude di poter prendere due piccioni con una fava, pagare uno e comprare due, vi racconta la rava e la fava ma non conta, quel che vi dice! Esserci-per-la-fine? Esserci-per-la-morte? Esserci-per-finire? È questa la fine che augurate al piccolo Esserci progettato da voi, piccioncini heideggeriani? Esserci-per-morire? Il fine dell’Essere è Esserci, ma la fine dell’Esserci è Essere? Nel dubbio astenetevi!».
Così parlò Dexistens. Oracolo del Profeta, che vide la Sacra Rappresentazione della Vita, sacra ma oscena, e se ne andò disgustato mentre gli altri spettatori se ne stavano lì, a guardare senza fare nulla, ma soprattutto senza sperare che lo spettacolo finisse al più presto.
Progetto Dexistens nel Network di Arena Philosophika, per vedere la home di Dexistens clicca qui.
@ILLUS. by GENE-RICK, 2021