IL FILOSOFO (S)COORDINATO (II PARTE): MONDO

L’interrogarci sul luogo all’interno del quale abitiamo coinvolge una molteplicità di livelli che se vengono sovrapposti l’uno sull’altro fanno collassare ogni intento di approfondimento filosofico, il tutto a vantaggio di una coordinazione entro reticolati schematici che si tramutano in graticole teoretiche, atte a fare sacrificio della (s)coordinazione all’altare della fazione di turno. Se l’abitazione ha la radice etimologica nell’habitus, per nulla traducibile con l’abitudinarietà dell’abitudine che pur fa parte della sua sfera semantica, abitare il mondo allora implica andare con lo sguardo alla vastità di ciò che circonda, riconoscendo in essa una dimensione irriducibile a ciò che di essa può essere compreso calcolando, prevedendo, trasformando. Se il mondo è kantianamente la totalità di tutte le ricerche cosmologiche – non a caso ogni analisi non può che giungere al punto in cui le soluzioni si sommano, si biforcano e si scontrano: restano le antinomie come stasi dell’intelletto indagatore e analitico – qualunque soluzione pretenda di sciogliere il problema, il ricoeuriano paradosso ontologico, inaridisce di necessità proprio nel suo ramificarsi: ramificazioni che hanno il pregio di rafforzare il campo, di irrigarlo con acqua fontale fresca e pura da una lato, ma che all’aumentare dell’efficacia regionale disperdono la profondità dell’intrico originario cui la ragione sempre si dispone. Sarà allora compito del filosofo (s)coordianto sparigliare tale griglia di partenza, mostrandone le rispettive criticità.
L’Anschauung elevata a costruzione del mondo, a suo principio primo e architrave teoretico porta la discussione sul terreno scivoloso della generalità: universalità presunta che esaurisce la discussione nell’affermazione della sua validità. Un pensiero che trasfigura la nozione aperta di Mondo – quella dinamica apprensione dell’aristotelico per lo più – nella statica prensione del nulla di più che sancisce la chiusura (presuntivamente) ontologica delle opzioni in ballo. Ed è proprio sulla direttrice dell’ipostatizzazione surrettizia che la Welt, l’idea cosmologica della kantiana dialettica trascendentale, viene ad essere spezzettata e dissolta nelle varie soluzioni che si presentano come risposta possibile: da ciò deriva l’evoluzione (o l’involuzione) dell’ecologia.
Ovvero del discorso sullo spazio circostante, sulla relazionalità e l’estensione, per così dire, gravitazionale dei corpi in un ambiente. Ogni approccio sinceramente ecologico si organizza sulla compenetrabilità delle sfere, alla ricerca di un punto di ricaduta sempre in tensione e di un equilibrio metastabile la cui rottura rende sempre più sottile ed evanescente il limite (in)superabile. Pensare ecologicamente significa aprirsi alla risonanza, a quel gioco dell’eco che benché non rientri etimologicamente nel recinto semantico, ne è raffigurazione concettuale: logos dell’eco, dei rimandi e dei rinvii; della trasmissione e dei contatti. L’ecologia come rimbombo dell’eco è il nomadismo rizomatico, un eterno movimento di una dispersività rammemorante solamente grazie al simulacro sonoro che si propaga tra le sfere. Leggere l’ambiente come eco conduce ad una oclofonia polifonica cui a mancare è proprio l’eufonia della coralità: ecologia è disfonia polifonica. Strada del filosofo (s)coordinato è svellere le pretese ecologiche approfondendone le intuizioni, quelle più fondamentali e decisive.
Una contraddizione anima il fondo della speculazione ecologistica: la direzione panpsichistico-animista. Riconoscere nelle sfere un suono propagante significa sunteggiarne il tratto energetico individuando così la natura animata della Natura. Ben oltre la classica contrapposizione tra natura naturata e natura naturans – tra una natura divenuta natura e una divenendo continuamente natura -, cogliere il principio animato in essa ci conduce sul vettore della spiritualità globale, come se la forza di attrazione che tiene tutti i corpi uniti, seppur a distanza, fosse di una qualità ontologica permeante la struttura stessa dell’eco-sistema. Ma come può esserci sistema dell’eco se a mancare all’appello è proprio la coralità che innerva il sistema? Se la scelta è il nomadismo rizomatico, come fare sistema di ciò che rifugge il sistema? Resta il paradosso. Ma qui si manifesta l’incongruenza del pensiero ecologico: si sceglie una risposta, possibile, al quesito e questa si afferma. Il Mondo decade da possibilità dialettica a certezza analitica (a cui, per dare un po’ di pepe, si aggiunge l’ingrediente segreto di una qualitatività spirituale). Si risponde alla necessità psicologistica e si afferma un panpsichismo naïve.
Secondo tale dottrina, il tutto sarebbe vivificato da una psiche (da un animo) che si celerebbe tra le cose stesse, lasciandole essere e crescere. Una dottrina panpsichistica su questa falsariga coglie istanze di una presunta trascendenza che si attiva in una contemplazione empatica del naturale. Erede di un certo tipo di romanticismo letterario, mixato con sensibilità orientaleggianti (di un oriente massicciamente stereotipato beninteso), tale teoria si incrocia con la ben più antica credenza sedimentata nei culti animistici. La linea di confluenza tra panpsichismo e animismo è tracciata sulla retta della consapevolezza che promana da un attento e spiritualizzante ascolto eco-logico. Eco-logica-mente: predisporre la mente all’ascolto dell’eco, discorso che assurge a logica, ovverosia a descrizione del mondo nell’opzione metafisica fontale.
Alla domanda se il mondo ha un unico principio o molteplici, la risposta non può ricadere che nella preferenza accordata all’animistica molteplicità – ogni essere in quanto vivente o semplicemente in quanto essere-presente – che intravede in filigrana nel mondo il pullulare di Psiche che pervade ogni anfratto e ogni vetta. Il panpsichismo-animista riedita l’antica antinomia kantiana e ne offre la soluzione, lo scioglimento ultimo: non si tratta di antinomia, ma di paralogismo – un ragionamento che conduce alla contraddizione quale senso può avanzare? La risposta è semplice e presto detta: il mondo è l’ecologia, infinite anime a comporre una psiche infinita.
È proprio questa soluzione a non convincere, in quanto semplifica imprudentemente il complesso: il Mondo è il paradosso. È la molteplicità dispersa ma non disseminata; è la moltitudine delle sue nicchie, non a caso definite ecologiche; è la pluralità dei luoghi naturali e delle intersecazioni elementali. Ma al contempo è l’unità che impedisce la disseminazione; è l’unità che accoglie nel suo spazio rendendo possibile la varietà della biosfera; è l’unità che collega e riequilibra, sempre metastabilmente però, la natura naturans in natura naturata. Mondo allora è il concetto dell’insanabile lacerazione: potessimo sorvolarla, ne troveremmo la soluzione. Mondo allora è lo scontro vivo tra l’Uno dell’in sé e il molteplice del per sé: nessuna sintesi si eleverà fino all’in sé e per sé perché suo destino è quello di essere frantumato. Tra monismo panteista e pluralismo panpsichistico-animistico: qui si apre un nuovo sentiero, una nuova domanda che tocca il limite massimo: politeismo vs monoteismo.
Sarà verso quest’ultimo argomento che dovremo dirigerci . La Welt, verrà messa in gioco e la costellazione che la circonda punterà ad una risposta che non può che essere provvisoria. La via del filosofo (s)corretto seguirà questa esigenza: dall’Anima passando per il Mondo e, in fondo, Dio.
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@ILLUS. by FRANCENSTEIN, 2021