LA STORIA CONTEMPORANEA DELLA SFIDA DEL NICHILISMO

Estratto da, N. Germano, Etica, religione e letteratura nel tempo del nichilismo. Un percorso kierkegaardiano, Presentazione di I. Adinolfi e R. Celada Ballanti, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2022, pp. 3-6, cap. I, Il nichilismo e la sua genealogia in Nietzsche.
Il nichilismo presuppone e vive una storia, la storia del nostro tempo. Esso affonda le proprie radici teoretiche e pratiche nel pensiero pensato dalla tradizione occidentale come opposto alla pienezza dell’Essere, ovvero quello del nihil (μηδὲν, Nulla, niente). Pure il nichilismo, nel suo darsi storico, si discosta dalla tradizione filosofica della me-onto-logia per le ricadute pratiche di tale riflessione, che vanno ad investire una sfera più propriamente esistentiva. A partire dall’Ottocento, infatti, il nichilismo si distingue dall’ontologia del nulla per essere investito di una significazione potentemente politica; a seguito di tale designazione, verranno definite nichilistiche (tanto dal nascente giornalismo quanto da gran parte dell’intellighenzia mondiale) tutte quelle “derive” filosofiche che andranno a discostarsi dal pieno di senso che è l’Essere per rivolgere la propria attenzione al suo côté inquietante, il nihil. In contrasto con il positivismo allora imperante, le varie correnti per così dire esistenzialistiche – nel senso qui di un’attenzione speciale rivolta all’uomo ed alla sua esistenza, segnata indelebilmente dall’esposizione al nihil nelle varie figure (cifre) che esso può assumere nel corso di una vita, da ultimo la morte – ricevettero uno stigma indelebile, che le avrebbe accompagnate ancora in pieno Novecento. Proprio in virtù di questa teoresi pratica, con ricadute immediate nell’ambito del fare, il nichilismo verrà variamente, spesso confusamente, ricondotto a un pensiero rivoluzionario, teso unicamente al rifiuto di tutte le norme, di pensiero o politiche, fino ad allora universalmente accettate, privo però di qualsivoglia positività. In quest’accezione – complice un linguaggio che oggi definiremmo massmediale e mainstream – esso è giunto fino a noi: ancora il movimento punk, il cui motto No future campeggiava nel testo di una celebre canzone, era definito nichilistico per colpa di tale accezione negativa.
Che il perdurare di un fenomeno simile, storicamente ricondotto a più di due secoli or sono ma destinalmente ben più antico, con-temporaneo al sorgere dell’onto-logia parmenidea, sia davvero esclusivamente un fenomeno di costume, un pensiero non pensante? La carica e la potenza di tale questione ci inducono a pensare proprio il contrario. Noi continuiamo a pensare il nichilismo, e continuiamo a non trovare senso al suo sorgere e prosperare, proprio come non riusciamo a trovare risposte alle domande con le quali esso ci incalza, segnatamente alla domanda metafisica per eccellenza: “Perché l’essere e non piuttosto il niente?”. Può un movimento di pensiero esclusivamente negativo arricchire il nostro quotidiano, spingerci a domandare ancora, ad interrogare l’Essere (il pieno) a partire dal suo vuoto, dalla sua assenza di presenzialità (il nihil)? Certamente non potrebbe, e quindi il nichilismo – nella sua intoglibile ambiguità, che ancora oggi continua ad assillare i suoi interpreti più sistematici – non può essere ricondotto nel novero degli pseudo-problemi derivanti da pseudo-concetti. Il nichilismo è quindi un problema, letteralmente un qualcosa che ci è gettato innanzi, del quale dobbiamo accettare la sfida che ci pone, stante ferma la convinzione dell’inesauribilità (me-)onto-logica di tale compito.
In effetti già l’utilizzo del termine “nichilismo”, con il suo ricondursi ma non ridursi al pensiero che pensa il nulla nel senso più classico del termine, è compromettente. Se appiattissimo le due categorie filosofiche proposte l’una sull’altra, avremmo uno slittamento di senso che a posteriori ricondurrebbe l’intera storia della filosofia (ma anche, a voler essere consequenziali, quella del pensiero religioso, dell’arte e della letteratura) ad una comune radice nichilistica, proprio perché – disobbedendo al veto parmenideo – è la filosofia, nel suo divenire storico, ad approfondire costantemente la riflessione sul nihil: da Platone ad Heidegger, passando per Aristotele e arrivando fino a Derrida. Ma, come si diceva, le due correnti di pensiero differiscono rispetto al concretizzarsi storico dell’una e l’astrazione concettuale dell’altra. Se quindi il nichilismo riflette nella pratica quanto la meontologia pensa, in un certo senso possiamo affermare che questo movimento rispecchi una torsione tormentosa degli interrogativi proposti dall’ontologia del nihil, un acuirsi profondo dei dubbi che lacerano dai primordi le riflessioni teoretiche più avvertite.
Assistiamo così allo svincolarsi del nichilismo dalla prima accezione prettamente politica, con un riverbero immediato (benché poco evidenziato) nei più differenti campi del sapere occidentale, specialmente in quello religioso. La riflessione religiosa di matrice ebraico-cristiano, quindi europea e moderna, ha dovuto fin da subito fare i conti con il negativo, con la morte e la sconfitta-redenzione di questa; dall’incontro con i sistemi filosofici greci si sono andate a sviluppare dipoi due correnti ermeneutiche fondamentali, quelle che potremmo indicare in maniera sommaria come una teologia della presenza, sviluppata ed approfondita dalla Scolastica medievale, e una teologia dell’assenza, o teologia negativa. La via apofatica – inaugurata dal pensiero platonizzante di Dionigi lo Pseudo-Areopagita – si pone in netta contrapposizione rispetto alla via che vuole dire, determinare ed infine assiomatizzare la Divinità, per giungere alla conclusione che, di Dio, si può solo dire ciò che egli non è. La mistica negativa raggiungerà il suo apice nella cosiddetta “mistica speculativa” di Meister Eckhart, il quale arriva ad ipotizzare che “Dio è un nulla, e Dio è un qualcosa. Cosa è qualcosa, è anche niente. Ciò che Dio è, egli lo è interamente”. Si viene così a profilare una religione nichilistica? Sì, se per nichilismo intendiamo un qualche cosa (sarà arduo, ma dobbiamo comunque tentare di determinare cosa sia questo “qualche cosa”) che lavori sull’esistente concreto, sull’uomo, a partire dal problema del nihil, per approfondirlo e trarne linfa teoretica; dovremmo invece rispondere no, se per nichilismo continuiamo ad intendere in modo ingenuo una cancrena del pensiero, un tradimento dell’Essere in nome di una sua degradazione.
Il nichilismo, entrando nel dominio del religioso, ci invita a porci nuove domande e a cercare infinite ed interminabili nuove risposte: “l’audacia apofatica” consiste propriamente “nell’andare più lontano di quanto sia ragionevolmente permesso”, e la teologia negativa (nichilistica, quindi, in questo senso non ancora meglio specificato) si viene a delineare come “il passaggio al limite, poi l’attraversamento di una frontiera, […] dunque di una ragione”. Nella modernità, che è poi la nostra vera contemporaneità, il luogo storico in cui i problemi che oggi ci affliggono sono sorti e nel quale non si sono risolti, l’intreccio di pensiero religioso e pensiero del nihil si è trasformato in pratica nichilista. E cioè, di nuovo, in una riformulazione continua, mai definitiva, quasi in una preghiera che sorge da un vuoto, dall’assenza della presenza.
@ILLUS. by, 2023
ETICA, RELIGIONE E LETTERATURA NEL TEMPO DEL NICHILISMO