LE IMPLICAZIONI DELLO SCONFORTO
I libri, spesso, sono delle porte che si affacciano sul nostro mondo, e chiedono soltanto di essere aperti. Io ne ho aperti diversi, in questo tempo di poche certezze e di tanti dubbi, per trovare distrazione, compagnia, e magari risposte a domande che trascinano dietro di sé pensieri poco rassicuranti, che vorticano nella mia mente senza tregua. Credo che tutti ci sentiamo scoraggiati da una routine poco avvincente e da notizie invece parecchio allarmanti, se non addirittura spiazzati quando gli avvenimenti ci toccano di persona, e che tutti avremmo bisogno di parole consolatrici, visto che non rimangono molti gesti a tal proposito da poter elargire (distanziamento sociale mode on). Le parole che hanno funzionato con me le ho trovate ne Il Signore degli Anelli, di J. R. R. Tolkien, un classico fantasy molto conosciuto e amato e un libro che non avrei mai sospettato potesse essere tanto in relazione con il nostro periodo storico.
Frodo, il piccolo hobbit che guarda il mondo dal basso verso l’alto, vive un momento di grande sconforto dopo aver appreso degli spaventosi eventi che stanno segnando il suo presente e la sua vita. Attraverso lui e Gandalf, il saggio stregone, Tolkien ci consegna un dialogo a cui è difficile restare indifferenti, adesso più che mai, e che molti appassionati ricorderanno:
“I wish it need not have happened in my time,” said Frodo.
“So do I,” said Gandalf, “and so do all who live to see such times. But that is not for them to decide. All we have to decide is what to do with the time that is given us.”“Avrei tanto desiderato che tutto ciò non fosse accaduto ai miei giorni!”, esclamò Frodo. “Anch’io”, annuì Gandalf, “come d’altronde tutti coloro che vivono questi avvenimenti. Ma non tocca a noi scegliere. Tutto ciò che possiamo decidere è come disporre del tempo che ci è dato.”
Con Frodo e con il suo apparentemente semplice desiderio, Tolkien ci fotografa nel nostro stato d’animo attuale, con tutte le domande che credo molti di noi si stiano ponendo: “Perché proprio adesso?”, “perché non in un’altra epoca?”, “perché a me?”. Molti stanno soffrendo, quasi tutti stanno vivendo momenti difficili e tutti, ma proprio tutti, penso avrebbero preferito che questo non fosse mai accaduto nelle loro vite, come Gandalf giustamente sottolinea.
Anche se emozionalmente questo desiderio è legittimo, razionalmente non è possibile lasciare che si depositi nelle nostre coscienze a lungo. Non è mai costruttivo un atteggiamento mentale che non fa altro che imprigionarci in un vicolo cieco di domande che non possono avere risposta. Fermatevi a riflettere un attimo: un’epoca in cui ogni umano non abbia dovuto confrontarsi con sfide ed eventi così grandi da sembrare insormontabili non è realmente esistita. La Terra, da quando brulica di esseri umani, e in realtà anche da prima, è sempre stata una grande palla incasinata. Non si può pensare davvero che durante l’arco di un’intera vita, ormai dalla potenziale durata di quasi un secolo, non possa accadere nulla che non spiazzi l’intero mondo in egual misura, nel periodo della globalizzazione più che mai.
È probabile che alcune epoche siano state mediamente più serene di altre, e che alcune vite più o meno lunghe siano filate lisce come l’olio, senza che il mondo abbia presentato intoppi degni di nota, ma è davvero inevitabile andare a cozzare contro la sofferenza, la paura e l’incertezza, prima o poi. Gandalf è proprio lì che ci sta dicendo che non è possibile scegliere di cancellare questa componente dalle nostre vite.
E ancora, è matematico che ci siano persone più fortunate e più agiate, che osservano i grossi problemi da lontano, con le lenti del privilegio, e che questo sia ingiusto, ma è probabile che la maggior parte di noi faccia parte di quel numero, per il solo fatto di possedere comodità che non sono affatto scontate, e che magari nemmeno se ne renda conto.
Ma se anche considerato tutto questo, ci sentiamo ancora immensamente tristi, non dobbiamo preoccuparci, è tutto nella norma. Questo perché, concedetemi le espressioni, siamo dei recettori del dolore che funzionano alla grande, dotati di un senso del malessere che deve essere per forza funzionale. Tutto ciò che proviamo serve a qualcosa, il che significa, in termini pratici, che ogni stimolo emotivo ci spinge ad agire in un determinato modo. Se vuole scacciare il malcontento, la razza umana non può permettersi il lusso di starsene con le mani in mano ad aspettare che vada via da sé; di conseguenza, arriva il desiderio di sentirsi utili, di contribuire ad alleviare le pene del mondo e tutti gli altri sentimenti degni di ammirazione.
In questo periodo c’è chi si è sacrificato nel lavoro, chi ha donato ingenti somme in beneficenza e chi si è ingegnato in tutti i modi per la risoluzione delle nuove sfide imposte dalle circostanze; ma chi è a casa in quarantena, come può combattere il malessere? Mi metto in prima fila a rappresentare tutte quelle persone che senza infinite risorse economiche, senza titoli di una qualche utilità e senza la possibilità di poter svolgere il proprio lavoro, si sentono scoraggiate dal non poter contribuire positivamente e concretamente alla causa. Ma per quanto inutili o piccoli possiamo sentirci in questi istanti, voglio pensare che ognuno di noi possieda già gli strumenti per (re)agire per il meglio. Il mondo ci dirà dov’è che ha bisogno di noi, se siamo abbastanza disposti ad osservare. E se adesso ha bisogno di noi sul divano, è lì che saremo, anche se non si riduce tutto solamente a questo. Mettiamo a disposizione quel poco che ci resta e rimbocchiamoci le maniche: abbiamo tutti la possibilità di fare del bene, sempre.
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«Avrei tanto desiderato che tutto ciò non fosse accaduto ai miei giorni! – esclamò Dexistens».
«Anch’io – annuì Existens – come d’altronde tutti coloro che vivono questi avvenimenti. Ma non tocca a noi scegliere…».
Il Signore della Desistenza, Dexistens, ribatté in realtà a Existens, ma questa parte del racconto non la conosce praticamente nessuno: – gliela rivelo io, cara Alessia Parrino – «Eccome, se tocca a noi scegliere: tocca a noi esistenti scegliere di non far accadere l’unica cosa che fa accadere tutto: la vita».
Non è mai costruttivo un atteggiamento mentale che non fa altro che imprigionarci in un vicolo cieco di domande che non possono avere risposta; – certo – ed è proprio per questo che dobbiamo svicolare una volta per tutte dal vicolo cieco dell’esistenza: desistendo. Solo la desistenza può liberarci dalle prigioni dei dubbi, farci uscire dai vicoli ciechi delle domande senza risposta.
Sì, è davvero inevitabile andare a cozzare contro la sofferenza, la paura e l’incertezza, prima o poi. Existens è proprio lì che ci sta dicendo che non è possibile scegliere di cancellare questa componente dalle nostre vite; ma Dexistens, al contrario, è proprio lì a dirci che è possibile.
Siamo dei recettori del dolore che funzionano alla grande, dotati di un senso del malessere che deve essere per forza funzionare? Cosa ci tocca sentire! Cosa dobbiamo sentire, noi desistenti… No! No! No! Tre volte no, dilettissima Alessia: la trasmissione del dolore va oscurata, le antennine non dovranno mai più ricevere questa trasmissione, la trasmissione della vita va censurata.
DESISTENZA!
Sono d’accordo! Tutti abbiamo gli strumenti per (re)agire, e tutti possiamo sentirci utili in qualche modo. Noi, ad esempio, abbiamo l’occasione di proporre riflessioni che possano in qualche maniera invitare smuoverci dal malessere in cui siamo immersi a seguito di questa drammatica situazione. Ognuno è perfettamente in grado di fare la propria parte, per sé e per la comunità. Bel messaggio!
Pietro Caiano (DESTINY KID)