L’EREDITÀ DI UN ETERNO DIVENIRE: SCORCI SULLA LETTERATURA GIAPPONESE DI IERI E DI OGGI

Ci fu un tempo confuso in cui qualcosa
iniziò a prendere una consistenza,
ma ancora così indistinta, anonima, e inerte,
che nessuno potrebbe descriverla.
Kojiki – Un racconto di antichi eventi, VIII sec.
Così inizia l’opera giapponese in prosa più antica a noi pervenuta: si tratta di Kojiki – Un racconto di antichi eventi, uno scritto che descrive la storia del paese a partire dalla sua creazione da parte delle divinità Izanaki e Izanami e fino ai primi imperatori storici.
Tornando indietro con la mente ai miei giorni da studente universitario di lingua giapponese, affiora ancora in me la sensazione scaturita da tali parole: descrivono un inizio, misterioso e ignoto, ma comunque molto promettente. Nella frase ritrovavo me stesso, mentre mi accingevo a muovere i primi passi attraverso quel labirinto di linee e forme costituito dagli alfabeti sillabici giapponesi e dai caratteri cinesi. Poi, addentrandomi maggiormente nell’opera sotto l’egida di Maria Teresa Orsi, all’epoca ordinario di Letteratura Giapponese a Sapienza Università di Roma, imparai a conoscere quanto generato da quel ‘qualcosa’: si schiuse ai miei occhi un mondo popolato da divinità, eroi leggendari e animali dotati di poteri soprannaturali e capacità fuori dal comune. Tra questi ultimi, in particolare, sempre mi è stato caro il protagonista dell’episodio “Il coniglio bianco di Inaba” contenuto in Kojiki – Un racconto di antichi eventi. Il coniglio bianco dell’isola di Oki decide di attraversare il mare, ma per farlo necessita di un ponte: preso coraggio, inganna dei coccodrilli obbligandoli a sistemarsi in fila uno dietro l’altro. Lo scaltro coniglio, allora, corre sulle loro schiene usandole a mo’ di passerella e raggiunge la costa di Inaba, l’area orientale dell’attuale prefettura di Tottori. Nel finale, però, compreso l’inganno, l’ultimo coccodrillo della fila lo azzanna e gli strappa via la bianca pelliccia.
Da qui per il coniglio inizia un percorso di tribolazioni, durante il quale patisce dolore fisico e subisce le angherie di alcune divinità malevoli. Tuttavia, lo attende un epilogo positivo: una divinità benevola lo cura permettendogli così di assurgere alla sua reale forma, ossia di ‘divinità-coniglio’. Infine, in segno di riconoscenza, l’animale dona al benefattore una profezia.
Il coniglio dell’aneddoto viene inizialmente punito per la sua furberia, e il castigo a lui assegnato è tanto grande da apparire sproporzionato rispetto alla colpa commessa. Eppure, la crudeltà con cui il destino si avventa sul coniglio serve solo ad aprire la scena all’epilogo in cui questi assurge a divinità. Oltre alla minuziosa costruzione narrativa della storia, a colpirmi all’epoca fu un dettaglio appreso a fine lezione, ossia che tutt’oggi nella prefettura di Tottori sorge un santuario dedicato al coniglio bianco dove la gente si reca in preghiera. La mia mente di ventenne forse mai avrebbe immaginato che una leggenda con radici tanto lontane nel tempo potesse ancora oggi sopravvivere ed essere continuamente rivissuta attraverso i gesti quotidiani del popolo che la ha generata. Per noi europei, lontani sono ormai i giorni in cui personaggi come Medusa o il Minotauro erano temuti e al contempo adorati in luoghi sacri a loro dedicati. Il Giappone, invece, ha mantenuto attivo il cordone ombelicale con la propria mitologia e il caso del coniglio bianco di Inaba ne è la prova.
Le tracce del coniglio, però, non si limitano al folklore: se a grandi balzi nel tempo osserviamo l’iter dell’aneddoto nel panorama letterario giapponese, infatti, lo ritroviamo alla base di numerose opere di epoche successive e appartenenti a generi molto diversi, come il racconto breve Lo strano coniglio (1908) della poetessa Yosano Akiko, la riscrittura La montagna kachikachi (1945) di Dazai Osamu o la storia distopica Conigli (1972) di Kanai Mieko.
Sovente i miei studenti mi chiedono quale sia il fulcro della letteratura giapponese e, di anno in anno, mi rendo conto di fornire loro risposte diverse. Talvolta mi sembra più totalizzante il senso di melanconia sprigionato dalla prosa e dalla poesia classica, lo aware, altre invece quello di impermanenza (mujō) alla base di opere medievali quali Ricordi di un eremo (1212) di Kamo no Chōmei e Ore d’ozio (ca. 1330) di Kenkō Hōshi. Certo, il mio personale rapporto con la cultura nipponica credo influisca molto nelle risposte che fornisco, ma sono al contempo convinto che queste siano per larga parte condizionate dalle opere di letteratura moderna e contemporanea con cui quotidianamente entro a contatto.
A esempio, un romanzo quale Maschere di donna (1958) di Enchi Fumiko molto condivide con le atmosfere di opere classiche quali La storia di Genji (ca. 1000) di Murasaki Shikibu, in particolare per le descrizioni della dimensione femminile. Al pari, lavori legati alla catastrofe di Fukushima quali il romanzo Cavalli, alla fine la luce rimane pura (2011) di Furukawa Hideo sono diretti figli della sensibilità espressa da Kamo no Chōmei. E ancora, le superstizioni relative ai mostri del folklore autoctono (yōkai) rivivono senza sosta nei romanzi di Murakami Haruki, Yoshimoto Banana e Kyōgoku Natsuhiko.
In sostanza, la letteratura giapponese non si sbarazza mai del proprio passato ma, a seconda delle situazioni e del momento storico, lo interpola con elementi tratti dalla contemporaneità per giungere a un prodotto nuovo e rispondente alle esigenze attuali. Credo sia proprio questo il percorso che porta alla nascita di opere quali Seni e uova (2019) di Kawakami Mieko, romanzo tutto al femminile che rievoca a tratti le dinamiche di Neve sottile (1948) di Tanizaki Jun’ichirō.
La letteratura giapponese contemporanea, però, non estende le proprie radici solo nel passato, bensì è un potente collante tra mondi diversi appartenenti alla contemporaneità: i romanzi di Murakami Haruki, Furukawa Hideo e Taguchi Randy, a esempio, intrecciano di continuo tra le loro maglie musica, attualità, manga, anime, youtube e videogiochi. Al pari, lo stile di vita di questi autori è ben distante da quello di alcuni loro illustri predecessori, quali Natsume Sōseki o Akutagawa Ryūnosuke, dediti unicamente alla scrittura e schivi della mondanità. Murakami, Furukawa e Taguchi Randy, infatti, sono piuttosto in linea con l’immagine di scrittore eclettico e mondano lanciata da Mishima Yukio, forse il primo romanziere giapponese divenuto celebrità. Su questi autori la vecchia definizione di ‘letterati’ non sembra infatti applicabile, e ne va cercata una nuova e più elastica, in cui lo scrittore è sì persona di lettere ma al contempo star mediatica e youtuber.
A oggi, questi i numeri della letteratura giapponese, ma si tratta solo di un’immagine transitoria, destinata a mutare, perire e rinascere nel momento stesso in cui si cristallizza. E tale idea di impermanenza, come ricordano i rintocchi delle campane di Gion che aprono il romanzo epico La storia dei Taira (XIII sec.), corrisponde alla natura stessa della visione del mondo giapponese.
Diego Cucinelli, Ricercatore Senior, Università degli Studi di Firenze
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