L’EREDITÀ RACCOLTA: L’ATTRITO E IL PENSIERO
La quotidianità come patria è il titolo che Stanley Cavell assegna alla prima sezione del saggio Il tramonto al tramonto. Wittgenstein filosofo della cultura. L’obiettivo ultimo è riconoscere in Ludwig Wittgenstein un filosofo della cultura attraverso una rilettura mirata delle Ricerche filosofiche. È per soddisfare tale proposito che Cavell, innanzitutto, presenta Wittgenstein come colui che richiama alla patria, alla loro Heimat, le parole in esilio. Le “parole in esilio” sono quelle che condannano all’angoscia filosofica, che “girano a vuoto” (Ricerche filosofiche, § 132) e che noi dobbiamo riportare indietro, dal loro impiego metafisico a quello quotidiano (ivi, § 116).
Siamo finiti su una lastra di ghiaccio dove manca l’attrito e le condizioni sono in certo senso ideali, ma appunto per questo non possiamo muoverci. Vogliamo camminare; dunque abbiamo bisogno dell’attrito (ivi, § 107).
Il coraggio di essere di Wittgenstein intima di scendere dai trampoli o dalle scale e rinunciare a «imporre modelli ideali fittizi sulla realtà, sulle pratiche del linguaggio e sulle circostanze della vita» (Diari segreti, p. 26), abbracciando l’umiltà, la semplicità e la bassezza. Il ghiaccio è ideale, troppo ideale: non consente di compiere alcun progresso. Mostrare la debolezza e gli errori della filosofia occidentale contemporanea, si chiede Cavell, non è forse il compito di un filosofo della cultura? Qualora fossimo costretti a tramandare una filosofia, dovrebbe essere quella delle Ricerche, scrive Wittgenstein. La sua paura è quella di trasmettere la cultura “mezzo imputridita” (in quanto stagnante, ferma, ormai da troppo tempo, sulla lastra di ghiaccio) del presente. È fondamentale, dunque, mantenere l’attrito, restare nella quotidianità, ridursi alla concezione di linguaggio presente nelle Ricerche (la quale comprende le forme di vita, le parole come eredità, l’incapacità di afferrare tutte le proiezioni significative di un termine, l’apprendimento linguistico del bambino, eccetera).
La tradizione stagnante che Wittgenstein vuole bloccare è analoga a quella che Richard Rorty descrive come
oggettivista, imperniata sull’assunto che dobbiamo uscire dalla nostra comunità per un periodo che si protragga abbastanza a lungo da consentirci di esaminarla alla luce di qualcosa che la trascende […] (Scritti filosofici. Volume I, p. 30).
Il soggetto filosofico, protagonista del suddetto modello culturale, è «portatore di razionalità nei termini di principi apriorici-atemporali e di procedure di legittimazione canoniche e normalizzate» (ivi, p. XI). Dimostrando di aver ricevuto l’appello alla povertà, Rorty smentisce l’ansia di Wittgenstein di non riuscire a far ereditare i propri pensieri a una nuova generazione. Coerentemente all’eredità wittgensteiniana, delinea, inoltre, un nuovo soggetto, fatto di credenze e desideri. Su esso, la realtà esterna esercita un effetto causale e la risposta che proverrà sarà un riplasmare sé stesso e l’ambiente che lo circonda. Gargani traduce:
Diremo allora che il mondo ci chiama, che rivolge un appello a noi che, mentre decliniamo la nostra risposta, diventiamo consapevoli che non siamo il mondo, che siamo continuamente esposti al confronto con l’effetto di attrito della realtà sul pensiero (ivi, p. XVII).
Da Wittgenstein a Rorty il panorama culturale cambia. I narcisismi filosofici lasciano il posto a più umili paradigmi, versioni del mondo, schemi concettuali. Ma come Gargani sottolinea ne L’attrito del pensiero, c’è un difetto: essi non rivelano le «effettive iniziative che gli uomini, i soggetti, intraprendono quando descrivono, riferiscono, narrano, raccomandano, amano e odiano» (Aut aut. Vol. 393, p. 43). Per fare paradigmi, versioni del mondo, schemi concettuali «sembra si renda necessario un attrito, un ritorno sul terreno dell’attrito […]» (ivi, p. 44). I “pensatori di professione” come Galilei, Descartes, Canaletto non vogliono trovare nello specchio intellettuale soltanto “l’immagine dei loro movimenti” o riscontrare la corrispondenza fra le loro rappresentazioni e la realtà esterna. Ciò che cercano è
l’origine della necessità che li ha fatti pensare, odiare, scrivere e dipingere. Essi vanno a cercare nello specchio intellettuale tutto ciò che essi non hanno potuto darsi da sé (ivi, p. 45).
Newton o Van Gogh desiderano raggiungere quella necessità che è stata all’origine della risposta. Nel ritrovare la necessità, l’attrito, consiste la verità. Come il soggetto di Rorty, anche quello di Gargani non va incontro al mondo, ma attende che il mondo vada incontro a lui.
Che io non possa fare a meno di pensare sotto l’egida di qualcosa che si è dato come evento è l’inizio di ogni impresa di verità come di ogni vero sentire (ivi, p. 49).
Bibliografia
L. Wittgenstein, Diari Segreti, tr. it. di F. Funtò, Laterza, Bari 2001.
Id., Ricerche filosofiche, tr. it. di R. Piovesan e M. Trinchero, Einaudi, Torino 2014.
A. G. Gargani, L’attrito del pensiero, in Aut Aut, 393 (2022).
S. Cavell, Il tramonto al tramonto. Wittgenstein filosofo della cultura, in D. Sparti, Wittgenstein politico, Feltrinelli, Milano 2000.
@ILLUS. by MAGUDA FLAZZIDE, 2022