L’ORRORE LOVECRAFTIANO COME CONTRADDIZIONE DELL’ESISTENTE
Generalmente la narrativa di genere viene considerata come un tipo di letteratura inferiore ai romanzi classici; le accuse che le si muovono contro prescindono spesso dal fatto che essa non evidenzia con sufficienza la tragicità della vita o per esempio attua vari meccanismi che causerebbero determinati atteggiamenti di approvazione dei lettori nei confronti dell’opera. Questo discorso però non esula dal territorio di ambiguità o contraddizioni, difatti non si capirebbe come mai, secondo queste critiche, un qualsiasi tipo di letteratura di genere (Giallo, Horror, Fantascientifico, ecc…) non sia in grado di esporre delle tematiche filosofico-culturali che possano effettivamente sviluppare la conoscenza o la riflessione dell’essere umano per portare successivamente ad uno degli scopi più alti della letteratura: ovvero la presa di coscienza da parte dell’individuo sulle condizioni della sua esistenza.
In particolare un autore che necessita oggi una valutazione di questo tipo, ovvero a cui si dovrebbero riconoscere tali meriti, è il celebre autore di fantascienza ed horror Howard Phillips Lovecraft. Prima di avanzare qualsiasi tipo di ipotesi sul significato effettivo delle opere dell’autore in questione dobbiamo prima specificare un particolare: bisogna riconoscere ad esso una parte non laterale, ma centrale nella modellazione e nella crescita della cultura occidentale contemporanea. Che lo vogliamo o meno, le opere di questo autore, principalmente quelle attinenti al Ciclo di Cthulhu, hanno popolato, e con molta probabilità lo faranno ancora per i decenni successivi, un certo tipo di cultura che non per forza deve intrinsecamente essere concepita come esistenziale o classica, ma che sicuramente racchiude in sé stessa un significato esistenziale profondo che si vorrà approfondire in questa sede.
Di certo Lovecraft, come già accennato in precedenza, viene ricordato perlopiù per i racconti del ciclo di Cthulhu, concernenti creature definite come orribili, tali che la conoscenza umana non può afferrare a tal punto da spingere le persone che sono testimoni di queste fino all’esito della follia. Sicuramente si può ricordare dello scrittore di Providence anche il ciclo Onirico ed il ciclo delle Storie Macabre, quest’ultimo nettamente più vicino alle opere di Edgar Allan Poe e di altri maestri del mistero, nonostante questi cicli segnino nettamente la formazione di Lovecraft comunque in questa sede verrà considerato principalmente il ciclo di Cthulhu in quanto esso si può definire come l’ultima elaborazione e la più estesa dello scrittore in questione.
Ma soffermiamoci un attimo sulla prima caratteristica ricorrente nel ciclo di Cthulhu delineata poco fa, ovvero quella riguardante la visione delle creature divine, il cui esito dei testimoni visivi di queste sembrerebbe essere la follia: possiamo notare, dal punto di vista filosofico come in questa determinata caratteristica abbiamo un elemento fondamentale per comprendere la complessità ed il valore esistenziale che le opere lovecraftiane sembrano lasciarci: questo punto in molte analisi precedenti è stato interpretato come una visione pessimistica del progresso, ma davvero può effettivamente sembrare tale?
A parer mio quest’elemento ha in sé inevitabilmente una critica, ma non nei confronti dell’idea totale di progresso ma di una determinata idea di progresso che durante il secolo del positivismo ha acquisito notorietà sino a diventare un elemento fondamentale per tutte le teorie filosofiche dell’ottocento che avessero il compito di progettare elementi da inserire nel panorama del progresso. Perciò Lovecraft criticherebbe, attraverso la metafora della “scoperta” (in ogni opera di questo ciclo abbiamo la scoperta ed il progressivo abbandono della realtà normale per giungere infine ad un’antitesi) degli dei antichi, un’idea positiva di progresso, secondo la quale necessariamente tutto ciò che tende allo sviluppo dell’umanità contribuirebbe al bene di quest’ultima, facendo così attuare nel lettore una presa di coscienza per la quale quest’equazione delineata precedentemente (tutto ciò che è progressivo = tutto ciò che fa bene all’uomo) sarebbe in realtà falsificabile sotto molti punti di vista. Si badi perciò a considerare la letteratura lovecraftiana come anti-progressista e scettica verso le sorti future dell’umanità poiché uno dei patrimoni principali (che rimangono attuali) di questo orizzonte letterario è proprio quello della presa di coscienza del progresso, ovvero la realizzazione che il progresso non necessariamente è positivo (esso può presentarsi in forme spaventose ed angoscianti come è successo in passato con i mostri dell’eugenetica o dello “spazio vitale”), perciò sta a noi esseri umani controllarlo in modo tale che questo, grazie allo sfondo nichilista implicito dell’epoca in cui lo scrittore vive, possa diventare un gaio progresso, ovvero una visione di progresso totalmente relativa a noi esseri umani, non implicante necessariamente delle limitazioni astratte di alcun tipo.
Infine, il secondo elemento che penso possa costituire il pilastro fondamentale per la comprensione dell’opera dello scrittore di Providence (ed un successivo patrimonio che questo orizzonte culturale ci lascia) è quello che tratta della contraddizione dell’identità umana. In tutte le opere del ciclo di cui stiamo parlando il secondo elemento che la scoperta porta con sé è il disvelamento progressivo dalla natura positiva ed antropocentrica verso una visione antitetica –in senso pessimistico – concernente il cosmicismo, ovvero la concezione secondo la quale l’essere umano non solo si rivela essere una parte collaterale (non progettata) dell’immenso cosmo in cui vive, ma oltretutto esso è totalmente in balia di forze (non penso che Lovecraft stesso le intendesse come soprannaturali, ma più come presenti in natura ma non conosciute o inconoscibili da parte dell’uomo) al di sopra del suo controllo. Nelle opere dello scrittore in questione abbiamo divinità la cui non concettualizzazione di queste causa necessariamente il crollo psichico di chi le vede, perciò abbiamo una situazione dove gli schemi concettuali dell’essere umano, cresciuti solamente in relazione al pianeta terra ed al suo habitat, falliscono completamente.
Questo fallimento causa il crollo della razionalità umana, quasi come un annullamento degli schemi concettuali stessi poiché inseriti in uno stato di coscienza dove essi appaiono come inutili a descrivere un determinato fenomeno: l’io a causa del fatto di non riuscire a comprendere la realtà, ed a causa di una compulsione tipica dell’essere umano dipendente dalla condizione precedente, crolla. Oltre che a gettare un accenno (scettico o non) sul funzionamento degli schemi concettuali Lovecraft in questo sta dando l’espressione, credo, più forte ed intensa del suo secolo: l’essere umano, con la nascita della psicoanalisi e delle scienze concernenti gli istinti psicologici umani si trova ad affacciarsi verso questo fenomeno introspettivo con schemi concettuali fabbricati da lui stesso in funzione di una utilità personale che necessariamente rendono il fenomeno più difficile da analizzare e da concepire, così pervenendo al risultato per cui l’essere umano si rivela a sé stesso come una contraddizione vivente.
È questo l’elemento che credo sia fondante per l’analisi del ciclo di Cthulhu. Ovvero, assieme alla realizzazione nichilista attiva del progresso per cui non ci sono progressi giusti o sbagliati ma preferibili o meno preferibili, abbiamo la scoperta effettiva di un mostro lovecraftiano, un mostro che i nostri schemi concettuali non riescono ad afferrare e che inevitabilmente, dato il nostro anelito istintuale verso la conoscenza, ci porta alla follia (in alcuni casi), non essendo l’oggetto della scoperta altro che la vera natura umana. Difatti la concezione della divinità nel ciclo di Cthulhu non si può essere incarnata nient’altro che nell’essere umano stesso, non solo in quanto creatore di tutte le contraddizioni, ma in quanto contraddizione egli stesso, proprio perché non è riuscito a rispondere al fatto che il nostro “io” in realtà è tutto meno che singolare, razionale e logico, seppur noi lo percepiamo in tale maniera. Pertanto, quella che è la logica euclidea della conoscenza introspettiva umana viene sempre meno nel suo compito di descrivere l’uomo trovandosi così a cozzare direttamente con un Dagon, un Azatoth, uno Yog-Sototh ed uno Cthulhu reale.
Questi due concetti principali della logica dello scrittore di Providence ci mettono a confronto di una verità formulabile e valida per tutta la storia fino a questo punto, ovvero: l’esistenza è caratterizzata da continue contraddizioni che noi possiamo affrontare e cercare di adattarle alla nostra logica, oppure, possiamo accettarle come un elemento esistente nella realtà, trovando dolce il naufragare in questo mare.
@ILLUS. by WANDO, 2023