PERCHÉ L’ISTANTE È
Se il battito di un orologio fosse come Einstein aveva descritto, o se addirittura fosse illusorio, come affermano alcuni fisici quantistici, il tempo resterebbe comunque la chiave per comprendere la realtà
Piccioni (2019)
Si tratta di un essere che non può esser violento, perché è lasciato essere per come è, noi siamo quell’essere e quell’essere è noi
Pietro Caiano, Destiny Kid (2020)[1]
Nel 1994 concepii la seguente frase cervellotica:
“Il NON-ESSERE (ciò che non è mai)
è sempre tale senza il contrario;
così come il contrario (CIÒ CHE È SEMPRE)
non è mai tale senza il non-essere”
Due anni dopo indicai l’asserzione a una cara amica la quale, dopo averla letta e riletta sentenziò “ma è l’equivalente di uno spaventapasseri!”. Sapeva che volevo metterla in bella vista sulla copertina del mio primo saggio filosofico in via di pubblicazione e, canzonandomi, aggiunse: “immagino già la folla che sgomiterà per averlo!”. Le spiegai allora il mio punto di vista: “Vedi”, le dissi, “è un saggio sulle eterne, immutabili relazioni intra-temporali, quelle che caratterizzano le tre cose che più ci riguardano in assoluto: il passato, il presente e il futuro. Sono proprio le eterne, immutabili relazioni intra-temporali dell’ESSERE[2] (la cui natura essenziale è nell’eternità immobile), a permetterGLI di produrre – così come è e appare – la propria immagine mobile, ovvero il nostro fuggevolissimo tempo”, e, senza riprendere fiato, precisai anche che “tutto questo è possibile proprio grazie al non-esser…” ma non riuscii a terminare la frase. Sentendo incombere l’ennesimo astruso-piccio-sermone, sollevò gli occhi al cielo e mi troncò sul più bello dicendo: “Il tuo strizzacervelli che dice al riguardo?”
Ci fu un attimo di silenzio, poi scoppiammo a ridere insieme. “Ma davvero vorresti questo macchinoso non-sense in copertina?”.
Festosamente annuii. A quel tempo ero ancora ingenuamente convinto che il senso logico di quell’assioma avrebbe potuto entusiasmare persino uno zombie e “Tanto per cominciare” aggiunsi indicandoglielo nuovamente, “dalla sua logica interna si evince l’ambivalenza di due vocaboli; sia il non-essere sia il contrario nascondono ciascuno due sensi complementari, speculari e fecondi: detto in sintesi entrambe le parole hanno sia un’accezione assoluta, sia relativa. Inoltre…” Avevo intenzione di aggiungere che sviluppando la teoria dell’evoluzione acasuale pensavo di aver tolto almeno uno dei veli che nascondono l’ESSERE. Volevo dirle che pensavo di avere iniziato a portare alla luce le sue eterne e immutabili relazioni intra-temporali che plasmano la realtà e, attraverso la realtà, il nostro modo di comunicare, agire, pensare… il nostro modo di essere ma… “Uh!”, mi interruppe, “Ti prego, non togliermi qui la gioia di arrivarci da sola”. Mi prese poi sottobraccio e, “Riparliamone tra vent’anni!” concluse con enfasi e con soddisfazione mi trascinò a un party. Anzi no, ora che ci penso, prima di incamminarci disse proprio: “Dammi retta: sostituisci l’assioma con una di queste frasi più stuzzicanti” e mi mitragliò come al solito con le battute del suo comico preferito. In quei giorni era Steven Wright e il primo colpo fu:
“Se il pane cade sempre dalla parte imburrata e i gatti atterrano sempre in piedi cosa succede se leghi un toast sul dorso di un gatto e lo lasci cadere?”
Sono passati ventisette anni da allora e, vista l’antifona, non l’ho più annoiata con il vertice teoretico della mia proposta filosofica, la t.e.a. (teoria della evoluzione acasuale). Non mi ci sono arrischiato pur avendo parlato con lei un’infinità di altre volte (anche di questioni molto profonde), fino a che, di punto in bianco, tre giorni fa mi ha scioccato al telefono. Dopo avere parlato del più e del meno mi ha detto:
“In effetti anche la scienza sembra dalla tua parte: il contrario del NON-ESSERE è ambivalente e lo è in questo senso… da un lato è l’essere RELATIVO, detto anche divenire, vale a dire la temporalità nella quale a tutti noi sembra di vivere; dall’altro lato – come in effetti fanno pensare numerosi indizi scientifici, quali ad esempio le correlazioni quantistiche – l’ambivalenza dell’essere si manifesta in senso assoluto. In questo caso parliamo dell’immutabile ESSERE, il quale incontrovertibilmente e simultaneamente è sia TRINO (perché è l’ARCHETIPO-MATRICE del passato-presente-futuro), sia unico e indivisibile, visto che nella simultaneità eterna i tre tempi coincidono con l’eternità immobile, la quale eternità, a ben pensarci, altro non è che una reductio ad unum, una riduzione del molteplice alla suprema UNITÀ… è la realtà che racchiude ogni altra realtà… non ne esiste una più grande e totalizzante…”. Fece una pausa per riprendere fiato, poi aggiunse: “Alla luce di tutto questo, alla fine, anche io come te penso che il ponte tra le due dimensioni (il ponte tra l’ESSERE E IL DIVENIRE) sia ogni singolo istante. In effetti anch’esso sembra rientrare a pieno titolo nell’ambito di ciò che sempre è, il contrario del non-essere… sì insomma, ora come ora, anche io come te penso che la fuggevolezza dell’istante presente sia solo illusoria, perché in realtà ogni singolo istante è anch’esso eterno… per questo da ora in poi tesaurizzerò ogni istante avvenire vivendolo al meglio… o almeno ci proverò”.
Intuendo la mia sorpresa precisò di aver letto sia le tre parti del mini-book pubblicato su ArenaPhilosophika con il titolo “FEDE E RAGIONE, INCONCILIABILI OPPOSTI?” (>>>LINK>>>), sia le appendici filosofiche di “Di dominio pubico” (Ensemble 2023), un romanzo che ho incentrato sulla mentalità occidentale per dimostrare che potrebbe (e auspicabilmente dovrebbe) maturare in un matriarcato radicale… un romanzo, a tratti divertente, le cui appendici (cervellotiche come il presente articolo) nessuno legge. Ecco perché la mia amica mi lasciò senza parole. Del resto anche lei stette qualche secondo in silenzio. Poi mi confidò di avere compreso l’ambivalenza dell’essere (il quale è sia ESSERE sia divenire) ma non del NON-ESSERE e, portando al culmine il mio stupore, mi invitò a parlargliene subito. Le dissi che avrei dovuto correre a un appuntamento da lì a tre minuti e che non sarebbero bastati nemmeno per venire “frainteso correttamente”. Dal canto suo ribatté che ne avremmo riparlato di nuovo “domani stesso” e mi pregava se nel frattempo, “in estrema sintesi”, gli anticipassi il ragionamento. Sinceramente non faticò molto a convincermi: “Tranquillo!” mi disse, “Vorrei solo farmi una idea generale su ciò che approfondiremo domani perché, come Henry Louis Mencken ha detto, ‘so per certo che per ogni problema complesso esiste una risposta, chiara, semplice e sbagliata’”.
Tranquillizzato da ciò ripetei a suo beneficio la prima proposizione dell’assioma spaventapasseri:
“Il NON-ESSERE (ciò che non è mai)
è sempre tale senza il contrario;
e, incurante dei molti probabili fraintendimenti, le chiesi:
“Questa prima proposizione è o non è incontrovertibile?”
“Sì, lo è!” disse lei senza esitare.
“Bene! E la seconda proposizione?”
Dal momento che esitava ripetei a suo beneficio anche quella:
così come il contrario (CIÒ CHE È SEMPRE)
non è mai tale senza il non-essere”
Ci rifletté qualche secondo poi disse: “Beh, sinceramente ancora non la capisco, ma da quelle due paroline iniziali (da quel ‘COSÌ COME’) deduco che anche questa seconda proposizione risulterà altrettanto incontrovertibile.
“E dici bene!” esclamai.
“Ma in che senso? Per quale ragione dovrebbe essere incontrovertibile l’affermazione che il-divenire-e-l’ESSERE siano quello che sono grazie al non-essere? È un non-sense”
“Tutt’altro!”, ribattei io e le domandai “Qual è il contrario del NULLA?”
“È sia l’ESSERE immobile sia la sua immagine mobile, cioè il divenire”
“E ora descrivimi l’ESSERE”
“È una realtà assoluta nella quale immobilmente il passato ‘è’, il presente ‘è’ e il futuro ‘è’ e nella quale tutti e tre sono in una simultaneità eterna”
Ero sul punto di chiederle: “E la sua immagine mobile, cioè il divenire, è anche quella una realtà nella quale allo stesso modo il passato è, il presente è e il futuro è?” …ma dal momento che il tempo a disposizione stava per “esaurirsi” evitai di procedere con le domande e attaccai con il seguente piccio-sermone:
“Diversamente dall’ESSERE che è assoluto, il divenire è una realtà nella quale gli istanti passati NON appaiono più, quello presente NON appare immobilmente e il futuro NON appare ancora. I tre tempi si manifestano in virtù di un NON-essere relativo e apparente e tuttavia conservano intatte le assolute, eterne e immutabili relazioni intra-temporali, ovvero quelle che ho elencato sia nelle appendici al romanzo, sia nella seconda parte (>>>LINK>>>) del mini-book pubblicato su ArenaPhilosophika. Come ho cercato di dimostrare fin dall’adolescenza quelle relazioni assomigliano alle relazioni intra-trinitarie della religione cristiana. Del resto se si approfondisce la logica interna all’intero assioma (comparando tra loro le due proposizioni di cui è composto), si evince che il ‘non essere’ citato all’inizio è diverso da quello citato alla fine: quella stessa parola racchiude in sé (anch’essa) due significati complementari; nella prima proposizione ha un significato assoluto coincidente con il NULLA, cioè con la totale assenza dell’ESSERE e del divenire; nella seconda proposizione il ‘non-essere’ va inteso invece in senso relativo o, per meglio dire, apparent…”
“Ma…” interruppe lei bruscamente, “da cosa si capisce che la seconda proposizione parla di un ‘non-essere relativo’? …Sì, insomma, da cosa deduciamo che NON vada anche quello inteso in virtù dell’assoluta negazione dell’ESSERE e del divenire?”
“Lo si evince dal seguente ragionamento logico: se il ‘non-essere’ citato all’inizio della prima proposizione È SEMPRE TALE SENZA il contrario – cioè SENZA-l’ESSERE-e-il-divenire (che sempre sono) – allora il ‘non-essere’ citato alla fine della seconda proposizione è ben diverso dall’iniziale, assoluto e puro ‘NON-ESSERE’ detto anche ‘IL NULLA’. In altre parole se il nulla è del tutto privo di ciò che è sempre, ne consegue che l’ultimo “NON-essere”, non può essere tale e quale al primo semplicemente perché, diversamente da quello, è in qualche modo CONNESSO sia all’ESSERE, sia alla sua immagine mobile che è il divenire[3]. Come dicevo è un “non-essere” solo relativo e apparente, ovverossia proprio ciò che necessita l’ESSERE per attuare ogni definizione-espressione possibile e incontrovertibile a partire dalla simultanea espressione-definizione del divenire da un lato e, dall’altro, dell’ESSERE IN SÉ in quanto ARCHETIPO/MATRICE DEL divenire e… Sì, insomma, trattasi di un relativo e apparente non-essere il cui fine è proprio quello di rendere definibili ed esprimibili l’ESSERE e il divenire in base a quello che entrambi sono e ‘NON’ sono, fanno o ‘NON’ fanno: i sinonimi principali di tale ‘non-essere relativo e apparente’ sono infatti ‘limite’, ‘instabile’, ‘informe’, ‘indefinito’, diade’[4], ‘fugace, oltre che ‘relativo’, ‘apparente’…”
Mi fermo qui anche perché – a questo punto – Simone Vaccaro di ArenaPhilosophika, dopo avermi rassicurato dicendomi che sono riuscito a spiegarmi, ha acutamente aggiunto: “Mi sembra che il modello che hai in mente sia un parmenidismo (eternità) dinamico (il divenire che trova personificazione nella Trinità”)[5]”, e poi ha concluso “il che è decisamente stuzzicante!”.
Grazie al cielo anche la mia amica aveva smesso di vederci solo uno “spaventapasseri”… e… A proposito di spaventapasseri… me ne viene in mente uno nuovo e ispirandomi a Simone vi chiedo:
Quale riflesso c’è in uno specchio che si riflette in un altro specchio? Riflette L’ESSERE che personifica il divenire? il divenire che personifica l’ESSERE? O forse entrambi, qui e lì, ora, dentro ognuno di noi ma anche ovunque, nella luce che unisce l’ESSERE al divenire? come un unico, infinito ed eterno riflesso dello specchio di Aion e Cronos?
A questo proposito, oltre al mio Di dominio pubico, qui consiglio Simplicio: se avete tempo leggete quello che afferma al riguardo delle Dottrine non scritte di Platone nel Commentario alla Fisica di Aristotele, pp. 247 riga 30, 248 riga 15.
[1] Risposta del Caiano al Cantino >>>LINK>>>
[2] Dal momento che l’ESSERE è l’archetipo-matrice dei tre tempi, possiamo dire in un certo senso che è la stessa realtà riflessa nel nostro linguaggio: non coniughiamo nei tre tempi il verbo essere, al pari di ogni altro verbo infinito?
[3] Come ho scritto già altrove poco importa se la fuggevolezza del tempo sia reale o, al contrario illusoria come tende a pensare chiunque come me ritenga la t.e.a. assai probabile: le caratteristiche specifiche dei tre tempi e le relazioni che li legano insieme sarebbero comunque fondamentali per intendere sia il divenire sia l’ESSERE.
[4] Un esempio di diade è l’Alpha (inizio) e l’Omega (fine) espresse in ogni istante presente.
[5] Per una veloce disamina sulla perfetta sovrapponibilità tra le relazioni intra-trinitarie cristiane e quelle intra-temporali rimando alla seconda parte del mini-book pubblicato su ArenaPhilosophika.
@ILLUS. by DANIELE PICCIONI, GIFFED by ARENA PHILOSOPHIKA, 2023