PERCHÉ VIVERE È ESSENZIALMENTE UN SOFFRIRE?
Il rinomato pensiero di Schopenhauer parte da domande incentrate su un pessimismo che è fonte di ispirazione per tutta la sua visione filosofica. La sua opera più importante è Il mondo come volontà e rappresentazione[1] che venne pubblicata nel 1819 ma che continuò a rimaneggiarla mandando poi una versione più corposa nel 1844.
Schopenhauer era visto come un uomo triste e da qui il suo giudizio secondo il quale la vita è sofferenza; addirittura sosteneva nei momenti più bui della sua vita che sarebbe stato meglio non essere mai nati.
Siamo tutti prigionieri di un circolo vizioso fatto di volontà, ed una volta ottenute, vogliamo desiderarne altre ancora.
Il circolo di cui parla, secondo Schopenhauer, può essere interrotto solo con la morte e questo perché tutti noi siamo succubi delle nostre volontà dalla quale non riusciamo a liberarci perché questo è insito nella natura umana: provare insoddisfazione e non smettere mai di desiderare altro. Non è però stata sempre così cupa la sua visione filosofica come potrebbe sembrare: egli pensava che se anche solo potessimo riconoscere la vera natura della realtà potremmo assumere comportamenti differenti ed eviteremmo così di incorrere negli aspetti più tristi della condizione umana. Il suo messaggio era molto chiaro e simile al buddismo: secondo Buddha la sofferenza è insita nella vita stessa ma ad un livello più profondo non c’è qualcosa che ci possa ricondurre ad un reale “Io”. Se riuscissimo ad accettarlo potremmo allora raggiungere l’illuminazione.
Questa similitudine con la tradizione orientale non è di certo un caso: a differenza di molti filosofi occidentali, egli credeva fermamente nelle influenze all’interno della filosofia come il buddismo o l’induismo. La realtà secondo il filosofo si presenta sotto due aspetti fondamentali: abbiamo l’aspetto della volontà e quello della rappresentazione, da cui il titolo della sua opera. La volontà la definisce come cieca forza motrice, insita in qualsiasi essere vivente: questa è l’energia che fa crescere le piante, moltiplicare gli animali, ma anche quella che orienta i magneti verso Nord o i minerali a legarsi in composti chimici. L’altro aspetto è invece il mondo come rappresentazione: è il mondo in cui noi compiamo esperienze, è la nostra realtà per come siamo abituati a vederla. Leggere questa tesi, in questo momento è un esempio lampante di come noi percepiamo il mondo ed è una rappresentazione nella nostra mente. Si potrebbe dire che la rappresentazione è ciò che ci permette di dare un senso al tutto e che ha come condizione necessaria la nostra conoscenza. La nostra mente organizza le esperienze dando un senso ed è quindi la rappresentazione il mondo in cui viviamo.
Ma Schopenhauer, riprendendo il grande filosofo Kant, ritiene che oltre i confini delle apparenze in cui abbiamo i fenomeni di fronte a noi, definito anche “mondo fenomenico”, possiamo avere nuove percezioni e una nuova visione ampliativa della realtà che conosciamo e a cui siamo abituati. Kant aveva definito quest’ultima come mondo noumenico: egli sosteneva che la realtà può essere più di una, non bisogna fermarsi alle nostre percezioni o abitudini. Differentemente da Kant che sosteneva che è inaccessibile il noumeno, Schopenhauer proponeva una nuova visione a riguardo in cui non è possibile separare il mondo fenomenico da quello noumenico e questo perché la divisibilità richiede spazio e tempo e questi, secondo Kant, sono prodotti della mente umana e non realtà dotate di esistenza autonoma. Il mondo come volontà era invece, nella descrizione di Schopenhauer, un’unica e indistinta forza priva di direzione e presente in qualsiasi cosa. Del mondo della volontà però possiamo cogliere solo scorci delle nostre azioni e nella nostra fruizione dell’arte: l’arte come salvezza dai nostri mali più interiori.
Se in questo momento un soggetto mettesse la sua mano sulla testa, da fuori si noterebbe la mano che si alza e si poggia sul cranio, ed è esattamente quello che potrebbe vedere anche il soggetto se si mettese di fronte ad uno specchio. Questa è una descrizione, quindi, del mondo fenomenico ossia il mondo come una rappresentazione. L’azione secondo Schopenhauer ha però anche un aspetto intrinseco che va oltre ciò che è possibile vedere attraverso l’occhio. È possibile cogliere la realtà in maniera differente rispetto l’esperienza del mondo fenomenico. Non possiamo percepire direttamente il mondo come volontà, però possiamo avere esperienze che si avvicinano molto quando compiamo deliberatamente delle azioni, quando vogliamo che una determinata azione abbia luogo. Ed ecco perché Schopenhauer sceglie volutamente il termine “volontà” per descrivere la realtà. Anche se è solo nella condizione umana che questa energia ha una qualche forma di connessione con un’azione compiuta premeditatamente. Non è in seguito ad una decisione che le piante crescono e le reazioni chimiche accadono. L’uso della parola “volontà” non sia quello ordinario.
Quando un soggetto “vuole” qualcosa, ha in mente uno scopo ma Schopenhauer non intende questo quando descrive la realtà del mondo come volontà. Questa Volontà non ha scopo ma è cieca, come viene definita da Schopenhauer: non ha nulla a che vedere con il raggiungimento di un traguardo, una fine, una meta; è solo una sorta di grande ondata di energia presente in un qualsiasi fenomeno naturale. Per Schopenhauer non vi è un Dio onnipotente che direziona il nostro mondo o la nostra realtà, e non ritiene nemmeno che Dio sia Volontà. Ogni cosa esistente è parte di questa parte, priva di senso. Seguendo questa visione, è possibile avere anche esperienze che riescono a rendere la vita degna di essere vissuta, e sono perlopiù gli eventi della nostra vita che riguardano l’arte. L’arte è capace di fermare per un istante questo circolo vizioso tra lotta e desiderio: più nello specifico Schopenhauer parlerà della musica come forma d’arte assoluta ed efficace.
Questo perché egli sosteneva che la musica potrebbe essere vista come imitazione della Volontà, ed ecco perché è in grado di toccarci così tanto in profondità. Se un soggetto con la giusta disposizione di spirito ascoltasse Le quattro stagioni di Vivaldi, non ricaverebbe un semplice stimolo emotivo ma anche uno scorcio della realtà per come essa è veramente. Nessun altro filosofo ha attribuito un ruolo tanto centrale all’arte. Schopenhauer, inoltre, non ha solo spiegato la sua visione della realtà ma ha definito anche il tipo di rapporto che abbiamo con essa e aveva idee precise su come dovremmo condurre le nostre vite: se accettassimo che ogni cosa fa parte di una forza propulsiva e che le persone esistono come individui solo nel mondo fenomenico dovremmo assumere comportamenti diversi. Per il pensatore, compiere un’azione negativa su un soggetto porta ad un’auto-ferita, che è analoga alla visione buddista del karma ed è la base della sua filosofia morale. Se un individuo uccide qualcuno, non sta solamente interrompendo una vita ma sta anche distruggendo una parte della forza vitale che unisce gli esseri umani. Compiere del male su altri è come un serpente che si morde la coda senza sapere che sta affondando i denti nella sua stessa carne. L’etica promossa da Schopenhauer è quindi quella della compassione; se intesa correttamente, significa che gli altri non sono entità estranee a noi, e che se abbiamo cura degli altri è perché essi sono parte del tutto di cui tutti siamo parte: del mondo come volontà. Schopenhauer aveva un ulteriore modo, più estremo, per averla vinta sul circolo vizioso del desiderio. Per evitare di rimanervi invischiati, basterebbe secondo il filosofo, ritirarsi dal mondo e diventare degli asceti, vivendo in povertà e castità. Anche questa è una forte influenza che deriva dalla tradizione orientale.
All’interno della sua opera Schopenhauer afferma che quello che lui vuole comunicare è un unico pensiero, che è al contempo una metafisica, un’etica e un’estetica. Questo pensiero unico, però, ribadisce Schopenhauer, non può nemmeno essere definito un sistema perché in un sistema architettonico ci sono delle parti che sorreggono e altre che sono sostenute senza dover a loro volta sorreggere niente; lui lo definisce, questo unico pensiero, come un organismo, in cui tutte le parti sono in rapporto con tutte le altre parti ma anche con la totalità. Questo unico pensiero è per lui la filosofia che tutti a lungo hanno cercato e che nessuno è mai riuscito a trovare. Questa non è la sua filosofia, bensì la filosofia.
In un organismo vale la più perfetta unità: non può essere diviso in parti dal momento in cui queste sono organicamente collegate le une alle altre e anche con la totalità. Il problema che subito dopo Schopenhauer evidenzia è che questo rapporto organico non si lascia esprimere in una forma lineare come è quella di un libro.
Abbiamo dunque una contraddizione tra quello che è il contenuto del pensiero, che è un contenuto organico, e il modo in cui viene espresso, dunque la forma lineare del libro, che non è in grado di esprimere compiutamente un contenuto di questo tipo.
[1] A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione (Die Welt als Wille und Vorstellung, prima edizione 1819) è l’opera fondamentale del filosofo tedesco (1788-1860) che influenzerà fortemente il pensiero di Friedrich Nietzsche e successivamente di Sigmund Freud, padre della psicoanalisi, e del suo allievo Carl Gustav Jung. La prima edizione dell’opus maius schopenhaueriano ebbe pochissimo successo, tant’è vero che gran parte delle copie stampate finì al macero. Sorte poco diversa subì anche la seconda edizione del 1844 (a cui vennero aggiunti cinquanta capitoli di Supplementi), questa ristampa venne esaurita solo nel 1858 anche grazie all’inaspettato successo dei Parerga e paralipomena (1851, raccolta di saggi dal carattere brillante e popolare). Del 1859 è la terza edizione, l’ultima stampata in vita auctoris.
SCHOPENHAUER:
LA MUSICA COME SALVEZZA DELL’ANIMA