PLATONE VATICINÒ IL CRISTO?

Ritengo di aver avuto dal dio il dono della vaticinazione
Platone, Fedone, 85 B
Per quale ragione tra i Padri della Chiesa c’è stato addirittura chi ha osato definire Platone “cristiano” sebbene precedesse di secoli Cristo? Nel tentativo di rispondere a questa domanda leggiamo tra gli scritti del filosofo ateniese:
Non dovete curarvi dei corpi, né delle ricchezze né di nessun’altra cosa prima e con maggiore impegno che dell’anima, affinché diventi buona il più possibile (Platone, Apologia, 30 A-B)
Le affermazioni platoniche che, al pari di questa, anticipano il cristianesimo, sono tante come dimostra a colpo d’occhio l’elenco da me redatto a p. 113 di Il Filosofo gigolò, edizioni Ensemble; quindi, vista la brevità del presente articolo, ne estrapolerò una minima parte nella speranza che sia sufficiente a mostrare perché San Giustino e altri Padri della Chiesa abbiano considerato il filosofo portatore dei lógoi spermatikòi, o semi di verità, in grado di creare un ponte tra ragione e fede.
Di tutte le affermazioni platoniche che anticipano la non violenza cristiana, ad esempio, cito quella che più ricorda l’esortazione di Gesù a porgere l’altra guancia:
Lascia pure che ti colpiscano con quello schiaffo meschino, perché, se sarai veramente buono, onesto e virtuoso, non potrai patire nulla di terribile (Platone, Gorgia, 527 B-D).
Una miriade di altri luoghi platonici (quali ad esempio Repubblica I, 335 D – E; Critone, 49 A – E; Lettera VII, 335 A – B; 336 E; Leggi, 879 D) indicano che Platone ci esortava a:
fondare la società sull’amore; aiutare i bisognosi; rispettare gli stranieri; difendere i deboli, i poveri; sacrificarsi per il prossimo; non rispondere alla violenza con la violenza ma solo con le virtù, solo per fornire un piccolo estratto.
In numerosi dialoghi il filosofo aveva, in aggiunta, espressamente esortato il lettore a resistere ai desideri carnali fuori dal matrimonio. Per lui, come era normale per un greco, non erano le donne le tentazioni, ma i giovani maschi. Pertanto aveva avversato questa forte pulsione incitando se stesso e gli altri greci a evitare l’amore carnale tra persone dello stesso sesso. Addirittura, nei versetti 838 D – 839 C del libro VIII delle Leggi, Platone proponeva di sradicare l’omosessualità conferendo alla legge, che avrebbe dovuto proibirla, «un carisma religioso, perché tale legge possa far presa su ogni anima, facendo leva sul timore del sacro». Inoltre, prima di Platone, non risulta nessun greco che abbia definito l’omosessualità “contro natura” (Leggi, 636 C-D), né che abbia parlato della sacralità del parto (Simposio, 206 C).
Persino l’istituzione del culto dei Santi trova il suo precursore in Platone avendo egli stesso stabilito di istituire le celebrazioni dei defunti sommamente virtuosi per diffondere con l’esempio dei morti tra i vivi, l’amore, la temperanza e la convivenza pacifica (vedere ad esempio Leggi, VII 801 A – 802 C; II 660 A; Repubblica, VII 540 A – E; Leggi, II 663 B – 664 B; Minosse, 318 E – 319 A).
Di conseguenza, secondo il filosofo, nella civiltà utopica che intendeva fondare, si sarebbe dovuto insegnare, fin dalla fanciullezza, non soltanto che Dio è buono, infallibile, onnisciente e causa di tutte le cose belle, ma anche che è l’atemporale creatore del tempo nel quale partecipa e nel quale assegna a ogni cosa il suo esatto valore (per brevità qui cito solo: Lettera VIII, 354 C – 355; II, 312 D – 313 C; Timeo, 29 A; 37 C – 38 C; 30 A; 31 B; 55 D; 92 C; 28 E; 48 C – D).
A sottolineare questa dimensione quasi-vaticinante del filosofo greco, scrive significativamente San Clemente Alessandrino (nel Protreptico ai Greci, VI): «Da dove derivi, o Platone, la verità a cui tu alludi oscuramente? Da dove derivi l’abbondante apporto degli argomenti, il quale vaticina il culto di Dio?» (vedere anche Giustino: Apologia I, XLVI, 1-5 e II, X, 1-6).
Giovanni Reale aggiunge, inoltre, che senza l’Orfismo noi non spiegheremmo Platone e quanto da lui deriva; sarà, difatti, proprio la sollecitazione della visione orfica a portarlo a intraprendere quella via che lo condurrà a scoprire il mondo del sovrasensibile (Storia della filosofia antica, I, Vita e Pensiero, Milano 1979, pp. 28-29). In effetti il fedele orfico si definiva “Figlio della terra e del cielo stellato”: considerava celestiale, dionisiaco e atemporalmente eterno il proprio spirito; lo sentiva intrappolato in un corpo mutevole, sensuale, titanico, materico e temporaneo. Credeva che la morte avrebbe liberato l’anima dalla prigione del tempo; che l’avrebbe consegnata a un destino eternamente felice, penoso, o mediocre, a seconda se in vita avesse dato risalto alla spiritualità, o alla materialità, oppure a entrambe allo stesso modo. Come gli orfici, anche Platone giudicò atemporale, eterno e immobile sia lo spirito umano che quello divino. E, come gli orfici, esortò gli altri e se stesso a non accerchiarlo con i pensieri e i desideri superficiali, materialisti o carnali e – quindi – soggetti alla relatività e alla fugacità del tempo.
Per corroborare tale familiarità tra platonismo e cristianesimo, è giovevole sottolinearne anche alcuni elementi di contatto che si riverberano nella stessa struttura semantica del Nuovo Testamento: per esempio, la parola “peccato” diventa sinonimo di “errore” e si riferisce a una persona che, attraverso un errore commesso sul piano etico e morale, si allontana dall’unica autentica possibilità di star bene sia prima che dopo la morte. Difatti, in un tempo nel quale gli ebrei credevano nello She’ol – luogo lugubre e triste in cui finivano tutti morendo, sia quelli giusti che quelli ingiusti – Platone, ispirandosi agli orfici, preannunciò addirittura la concezione cristiana del paradiso, del purgatorio e dell’inferno. Tra i numerosi luoghi platonici che si riferiscono a ciò basti citare Fedone, 63 C:
Ho la ferma speranza che per i morti ci sia qualcosa nell’al di là, e che questo, come si diceva già anticamente, sia qualcosa di gran lunga migliore per i buoni che non per i cattivi. Ecco perché non mi rattristo come gli altri.
Ma fino a qual punto Platone preannunciò la rivoluzione più grande che segnò l’Occidente nel nome di Cristo, colui che nei Vangeli è anche detto il giusto?
Il giusto, proprio in virtù degli atti che compie, sarà flagellato, torturato, gettato in catene, gli saranno bruciati gli occhi e infine, dopo aver patito tutti questi mali, verrà affisso al palo (Platone, Repubblica, II, 361 E-362 A).
Come vedete le somiglianze sono notevoli. Anche perché, ai tempi di Platone, i Greci non conoscevano la crocifissione ma l’analoga pena dell’affissione allo stauròs, intendendo con ciò un palo. La medesima parola greca stauròs, non a caso, la ritroviamo anche nei testi originali che formano il Nuovo Testamento, sebbene durante l’impero romano quel termine fosse via via utilizzato anche per indicare la croce.
Mi piacerebbe poter aggiungere altre anticipazioni platoniche – come ad esempio quella relativa al concetto di Dio simultaneamente uno e trino – ma ho lo spazio appena sufficiente per una domanda:
sulla base di quanto argomentato finora possiamo affermare che Platone vaticinò il cristianesimo?
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Daniele Piccioni è anche un romaziere di successo; l’articolo qui pubblicato è un breve estratto del nucleo tematico del suo romanzo filosofico Il filosofo gigolò, Edizioni Ensamble, Roma 2019.
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