POMERIGGIO, FERRO DA STIRO: BAROLO CHINATO

Che poi sarebbe potuto essere diverso. Pomeriggio, barolo chinato: ferro da stiro. Oppure Ferro da stiro, barolo chinato: pomeriggio. E perché dimenticarsi di Pomeriggio: ferro da stiro, barolo chinato? E dove lasciare Ferro da stiro: pomeriggio, barolo chinato? Che dire di… vabbè, insomma, avete capito: le combinazioni possibili sono molteplici. Ma non provate, sinceramente, un senso di turbamento che scatena un’euforica eccitazione alla ricerca di una causa? Cosa ha causato cosa? È il barolo chinato che ha causato il ferro di stiro e il conseguente trascorrere del pomeriggio? O è il pomeriggio, stanco, che si trascina lento, a richiedere un guizzo, il frizzo che ti danno – e possono solo loro darlo – il ferro da stiro e il barolo chinato? O è l’inverso, il procrastinare indefinito dello stirare, infausto destino cui è impossibile sottrarsi, a pretendere il rimborso morale della consolazione del barolo chinato? Se devo morire che muoia almeno felice, in un bel pomeriggio assolato, dopo un buon barolo chinato! – Come? Non provate anche voi tutto questo? Questo slancio zetetico, filosofico, della ricerca della causa, per non dire della verità? Beh, non posso darvi torto: neanche a me ha smosso poi più di tanto… Cioè, non è questo che mi interessa.
“Io, quando stiro, bevo sempre del barolo chinato”, disse quella signora. Avrà avuto una cinquantina d’anni, forse 56. Mi è sembrata portarli bene – la tipica donna che dimostra meno, ma non troppo, degli anni che ha – per cui l’impressione è che avesse da poco scavallato i cinquanta: avrei scommesso sui 53. Οddio, non è che gliene abbia tolti poi molti, ma è pur sempre qualcosa. Capelli… scuri? Credetemi, non me lo ricordo. Alta circa… non ne ho la minima idea: l’ho vista che era già seduta, per cui non posso affermare nulla di preciso. Ma in fondo questi dettagli non sono pertinenti. “Io, quando stiro, bevo sempre barolo chinato”: quelle sono le cose che mi intrigano. Il barolo chinato, il ferro da stiro con cui stirare e il pomeriggio – ho associato io quell’azione al pomeriggio: non so perché, ma mi sembrano completarsi bene a vicenda. Stirare, per me, è sinonimo di pomeriggio.
Ed eccoci, in un bell’appartamento al terzo piano, in un ampio salotto finestrato, molto luminoso, con la finestra aperta a far penetrare nella stanza un leggero refolo troppo caldo per la stagione – che è, ovviamente, la primavera: in estate fa troppo caldo per stirare e in inverno è troppo buio; il reciproco, l’autunno, concilia, ma notoriamente molto meno che la primavera. È venerdì – lo evinciamo dalle risate dei ragazzi che si riversano nelle strade, rilassati perché il giorno dopo non devono andare a scuola – dopo le quattro, ma prima delle cinque. Per una questione di fotosensibilità è impossibile stirare con le finestre aperte prima delle quattro o dopo le cinque: i lavori, se proprio si devono fare, si fanno bene, altrimenti niente. Vediamo tante cose, dalla televisione ultramoderna al sofà in ecopelle bianco crema; dalla libreria, un po’ scarna a dire la verità, al tavolino con una ciotolina molta graziosa di cioccolatini al rum – sempre per restare in tema. E il lampadario, le sedie, il tappeto, le tende al vento… Insomma, tante cose. E poi, finalmente loro, i protagonisti indiscussi: il ferro da stiro, il barolo chinato e il pomeriggio, che fa da sfondo.
Ed entra lei, calma, ma inesorabile operatrice del fato: dalla cucina sta portando un bicchiere. Lo posa sul tavolino. Stappa la bottiglia di barolo chinato. Ne versa un po’. Controlla la quantità. Troppo poca. Riprende in mano la bottiglia. Fa per versare ancora ma esita, una frazione di secondo, quasi impercettibile. Ma esita. Ne rovescia ancora un goccio. Ora è soddisfatta. Si gira, quasi officiando un rituale, e prende in mano il ferro da stiro: è pronto. La camicia è già posizionata sull’asse in attesa di ricevere l’impatto con il rovente aggeggio. Guarda l’ora e poi fuori. È tutto perfetto. Beve un sorso: è ora di mettersi al lavoro. “Camicie di tutto il mondo unitevi!”, sembra invocare. “Datemi le camicie”, è la sua preghiera. Devotamente, passa da una camicia all’altra; i movimenti sono chirurgici, veloci e precisi. È quasi spietata. Senza esitazione si tuffa nella bonaccia di un pomeriggio che va trascorrendo tra barolo chinato e ferro da stiro. Un sorso e una camicia; un sorso e un lenzuolo. Il tempo vola, ma comunque riesce a fatica a star dietro alla velocità della sacerdotessa. La sua stirata è piacevole a vedersi, sebbene ieratica: un po’ algido, ma tutto sommato un gesto estetico degno del più grande rispetto. Ha stile. E così, trascendendo lo spazio-tempo di quel venerdì di una calda giornata primaverile, infonde il suo spirito in quel gesto che per qualche arcana ragione si fa catartico.
“Dai cara, che dobbiamo andare al ristorante con gli amici! E siamo già pure in ritardo!” – dalla camera da letto il marito profanatore.
“Arrivo, arrivo! Finisco il barolo chinato e mi vesto!”
@ILLUS. by FRANCENSTEIN, 2024