RISPOSTA DEL CAIANO AL CANTINO

Qui di seguito riportiamo l’articolo che Pietro Caiano, Destiny Kid, ha elaborato in risposta al commento (qui) di Davide Cantino, Magister Damnatus, al precedente articolo “La scrittura: come sopravvivere?” (LINK>>>).
Gentile professor Cantino,
sono Pietro Caiano, l’autore dell’articolo che lei commenta (e di quello in memoria di Emanuele Severino, qui, anch’esso da lei commentato, qui).
Sono un semplice studente, per questo il dialogo con un filosofo affermato come lei mi provoca una certa inquietudine o, meglio, un leggero senso di disagio. Non voglio peccare di ύβρις, e con queste premesse tenterò di esprimere la mia posizione riguardo a quanto da lei qui scritto, conscio del fatto che quanto dirò non potrà essere, appunto, che un mero “tentativo” di risposta.
Il mio punto è questo: non possiamo desiderare la non-esistenza (de-esistere) se non ci consideriamo, preliminarmente, mortali. Nascita e morte hanno la stessa radice, e quella radice è la fede nel Nulla, forse l’unico Dio di cui siamo, siamo stati e saremo, tutti quanti (tutti quanti !!! ), fedeli incrollabili. Senza pensare il Nulla non possiamo pensare la nascita, senza il Nulla non possiamo pensare la morte, senza il Nulla non possiamo pensare la volontà di vita e la volontà di morte, non possiamo pensare la salvezza dal dolore (abbia essa come esito il desiderio di esistere o di desistere). Il Nulla è alla base di ogni nostro pensiero sull’esistenza, e l’esistenza verso cui indirizziamo la nostra filosofia, la nostra poesia, la nostra scienza, la nostra tecnica, i nostri credo, non potrà che essere commista al Nulla, mai pura. L’essere puro è lontano, anelato o rifuggito, ma sempre lontano.
In questo contesto, può sorgere una riflessione come quella che ho portato avanti in questo articolo, individuando nella scrittura una delle attitudini di reazione a quel determinato stato di cose, ma – penso, e la prego di correggermi se ho frainteso – è da questo stesso contesto che sorge la sua riflessione filosofica (sempre che lei sia d’accordo ad attribuire l’aggettivo “filosofica” alla profezia della desistenza, sempre che far confluire questa sua peculiare riflessione nell’ambito del pensiero filosofico non la tradisca nella sua essenza). Si può desistere solo se si pensa che nasciamo venendo dal nulla e, appunto, aneliamo a ritornarvici con la morte “sistematica” dell’umanità, dal momento che esistere equivale a soffrire.
Ecco, personalmente non posso che trovarmi in disaccordo con quel preliminare modo di intendere realtà ed esistenza. Non perché non condivida, in particolare e nel merito, il suo pensiero: esso presenta aspetti estremamente interessanti, e oltretutto per commentarlo adeguatamente dovrei leggere di più. Il mio disaccordo è proprio indirizzato a quel κοινόν, a quel fondamento comune (dell’Occidente esistente e desistente), dal quale peraltro prende le mosse anche la mia riflessione dell’ultimo articolo ((questa “doppiezza” tra verità e follia è tipica di ogni severiniano, conscio di vivere nell’ambito della civiltà umana, “necessitato” a pensare anche LA follia e NELLA follia; lei mi capirà sicuramente, ma ho fatto questa precisazione per chi, eventualmente, legga questi commenti e si stupisca del fatto che io neghi il nulla appena dopo aver scritto un articolo che lo presuppone come premessa imprescindibile)).
Che significa negare il nulla? Significa porsi essenzialmente al di là della contraddizione essenziale che ci caratterizza, al di là della volontà di vita e di morte, al di là della lontananza dall’Essere e dall’eterno, al di là di fato e libero arbitrio, al di là di dei e demoni, di uomini e profeti. Negare il nulla significa comprendere che non ne facciamo mai esperienza, che il nulla non ha senso, che è il contenuto vuoto di un termine folle. La follia è l’ambito in cui nasce la riflessione filosofica (presocratica, platonica, aristotelica, cartesiana, hegeliana, ferrarisiana), il sentimento religioso, il pensiero scientifico e la stessa profezia della desistenza. Questo perché volere la morte implica pensare morte e volontà come possibilia. Nel linguaggio che testimonia il destino vien mostrato come queste due entità siano, daccapo, contenuti nulli avvolti da formulazioni folli. Tutto ciò che viene elaborato a partire da quelle premesse è, in origine, lontano dal vero; non solo la negazione dell’essere e della vita, ma anche l’insieme delle costruzioni che si edificano a partire dal presupposto che morte e volontà siano possibilia.
Questo mi preme mostrare, cioè che anche negare il destino, dicendo che esso non salvaguarda e giustifica la volontà di oltrepassare il dolore morendo, significhi individuare nella morte il motivo della “malvagità” e dell’essere, della sua dittatura sugli esistenti. In che senso? Nel senso che l’esistenza contro cui la desistenza si scaglia è un’esistenza corrosa dal Nulla (concettualmente corrosa), e scagliarsi in questi termini contro l’esistenza invocando il Nulla significa maledire e santificare il Nulla al contempo. L’esistenza vera, a cui la desistenza non può attingere, che non può conoscere e quindi nemmeno rifiutare, è quell’esistenza priva di costruzioni e interpretazioni, l’esistenza che accoglie follia e verità, lo stesso palcoscenico necessario di ogni realtà (e falsità).
E qui si apre l’ultima parte del mio tentativo di replica (da qui in poi è forse più una risposta al suo commento dell’articolo “Emanuele Severino: eterno maestro”). La differenza insanabile tra “vita” e “Gioia” implica la necessità di un oltrepassamento radicale. Ma questo oltrepassamento non è in alcun modo equiparabile, a mio avviso, a quello proposto dalla religione, ad esempio dal Cristianesimo, e questo perché si tratta di una “trascendenza epistemologica” più che metafisica. La verità è già dinanzi a noi, non in un altro mondo:
L’eterno apparire della verità appartiene alla verità. Esso non si trova in un <<altro mondo>>, in un <<al di là>>, ma è il senso autentico del <<qui>> (Destino della necessità, E. Severino (p. 400-401)).
Noi non siamo “altro” dalla nostra salvezza. Non dobbiamo ricercarla nella morte o nella trascendenza metafisica, perché noi siamo già eternamente salvi. Noi siamo lo scenario a cui aneliamo, la salvezza assoluta della pienezza dell’essere. Si tratta di un essere che non può esser violento, perché è lasciato essere per come è, noi siamo quell’essere e quell’essere è noi. Lo “scatto” della Gioia è il divenir conscia da parte di quella destinazione e di quell’essenza sommersa. Ma lo stesso “esser sommerso” della destinazione alla Gioia è un contenuto appartenente alla Gioia, il contraddittorio dispiegarsi dell’incontraddittorio; la Gioia è il necessario toglimento assoluto della totalità assoluta delle contraddizioni, ma quelle contraddizioni sono esse stesse necessitate ad apparire, altrimenti nulla apparirebbe, nulla sarebbe. Innegabile è l’essere delle cose che sono, altrettanto innegabile risulta essere la loro destinazione ad essere come sono. Il nostro essere è già da sempre un esser salvi dalla contraddizione e dal dolore, è il nostro rudimentale ma autentico “esser la Gioia”. Lascio parlare Severino:
Nel suo inconscio l’Io del destino è già da sempre, eternamente e necessariamente, il Tutto concreto e infinito, cioè il toglimento assoluto e totale di ogni contraddizione: è la Gioia. Tutto il dolore e l’angoscia – e i piaceri – che si manifestano nella solitudine della terra sono contraddizioni (…), e quindi è necessario che la totalità di queste contraddizioni sia e appaia nella Gioia in quanto toglimento assoluto della totalità assoluta delle contraddizioni, e dunque in quanto apparire infinito del Tutto concreto (La Gloria, E. Severino (p. 63)).
e ancora..
L’apparire finito è l’apparire infinito nel senso che l’apparire infinito è il non-contraddicentesi esser sé dell’apparire finito – ossia nel senso che solo come apparire infinito questo esser sé non è un contraddirsi. L’Io dell’apparire infinito è il non-contraddicentesi esser sé stesso che ha già da sempre oltrepassato la totalità delle contraddizioni del finito (quindi anche la contraddizione dell’esser sé del finito), perché è la Gioia, ossia l’apparire della totalità concreta dell’essente, dove la Gloria è già da sempre e per sempre totalmente dispiegata (Ibidem (p. 563)).
Questo per dire che sì, la rivoluzione del nostro sguardo c’è, ma varia appunto la visione e non il contenuto. Non siamo lontani dalla salvezza, non possiamo dire che l’avvicendamento del contenuto del destino (che è esso stesso destino) sia dolore. L’esistenza è (anche) dolore se pensata astrattamente dal destino, al di fuori di esso. E in quel frangente sia Leopardi che Nietzsche ((«Creare, questa è la grande redenzione dalla sofferenza, e il divenir lieve della vita. Ma perché vi sia colui che crea è necessaria molta sofferenza e molta trasformazione», Così parlò Zarathustra, cap. Sulle isole beate – p. 95 edizione Adelphi)) sono i pensatori più lucidi. Sempre da quel presupposto, declinato in altro modo (“nietzschianamente”) trovano terreno fertile lo strapotere tecnologico e le diverse espressioni del pensiero contemporaneo. La radice, ribadisco, è la stessa, ed è quell’essere “svirilizzato” (cito a memoria Ritornare a Parmenide) che la filosofia e la cultura occidentali accettano come oggetto d’indagine, pensato in un’essenziale compenetrazione col Nulla.
La ringrazio, le chiedo scusa per la probabile rozzezza del mio intervento.
La saluto cordialmente.
P.C.
@ILLUS. by JOHNNY PARADISE SWAGGER feat. PATRICIA MCBEAL, 2020
Disputa sul Nulla
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@GRAFICS by JOHNNY PARADISE SWAGGER, 2020
Caro Caiano,
una risposta esaustiva in senso desistenziale lei la troverebbe solo leggendo il mio POTENZA SENZA ATTO, ma è anche di cattivo gusto, me ne rendo conto, consigliarle un mio libro che per il momento si trova solo su AMAZON a pagamento.
Comunque, Nelle prossime ore leggerò attentamente il suo articolo e risponderò per sommi capi; ripeto: una risposta completa di tipo desistenziale lei la potrà trovare solo nei miei scritti antiseveriniani.
Con stima.
Il Cantino ha controrisposto.
Vedi le considerazioni su Severino, sulla vita e sulla morte, sul Destino e sulla libertà…
LINK>>> https://arenaphilosophika.it/cantino-puntualizza-sul-nulla-parte-i/
Appena mi sarà possibile, impegni universitari permettendo, leggerò la contro-replica del professor Cantino e tenterò di scrivere, a mia volta, una contro-contro-replica. Apprezzo moltissimo l’interessamento del professore a quanto vado scrivendo, rimando la prosecuzione di questa interessante e stimolante disputa filosofica a fine mese. A presto!
DESTINY KID