IL SIGNIFICATO DI “POLITICA” TRA IERI ED OGGI
Il termine “politica” oggi rappresenta un elemento sempre presente nella comune narrazione di una giornata qualunque di un occidentale medio. Questa parola deriva dal greco antico politikḗ (“che attiene alla pόlis“, ossia la città-stato), con sottinteso téchnē (“arte” o “tecnica”).
Dunque, il significato più completo, ad indicazione del concetto in sé, consiste in “arte che attiene alla città-stato”, da cui “tecnica di governo (della società)”. La matrice della “politica”, l’origine del tutto, se così possiamo definirla, è costituita dalla parola pólis, da intendersi come un’entità politica, aggregativa (sociale ed economica), dunque, una comunità con specifici e comuni valori e principi etico-morali, i cui membri tendono al bene comune della collettività stessa. All’interno dell’antica civiltà ellenica la pólis rappresentava un punto di riferimento imprescindibile per i cittadini (polités) non solo sotto l’aspetto prettamente amministrativo, commerciale, bellico e sociale, ma in particolare per lo status stesso di “cittadino” con i suoi diritti e doveri tramandatigli dalle precedenti generazioni (da cui il concetto di cittadinanza, con un netto sostrato etico-morale).
I polités, infatti, si sentono parte integrante e insostituibile della comunità e per il miglioramento e lo sviluppo della propria città-stato, a tal punto da applicare i principi della fratellanza a quelli della collettività extrafamiliare, da cui ne deriva la nascita di un popolo unito, forte e vigoroso, che si riconosce nella comunità e si prende cura della stessa, come fosse un rapporto spirituale con un ente divino, sovrannaturale. Il fine ultimo della politica, secondo i greci, era, infatti, il concorrere al “bene” ed al “vivere bene”: gli interessi singoli dei cittadini coincidevano perfettamente con quelli della comunità. I polités riuscivano a percepire il proprio ruolo all’interno della società di appartenenza e si sentivano realizzati nel raggiungimento del “bene comune” e nella stessa partecipazione alla vita collettiva della pólis.
LE ORIGINI DELLA POLITICA NELL’ANTICA GRECIA DI PLATONE ED ARISTOTELE
Nel massimo e rigoglioso periodo di splendore qualitativo della politica dell’antica Grecia, quand’ancora la perversione morale ed etica della stessa era un lontano miraggio, il rapporto conflittuale fra società ed individuo, causato dalla distanza incolmabile tra governatori e governati (come oggi riusciamo invece a percepire), semplicemente non esisteva, se non in singoli casi isolati.
Platone, che a ragione potrebbe esser considerato come uno dei primi filosofi della politica nella storia dell’umanità, considera la pólis come un organismo educativo collettivo imprescindibile per la crescita e lo sviluppo dei singoli cittadini.
Secondo il migliore degli allievi di Socrate, i filosofi, cioè i saggi per eccellenza, dovrebbero essere posti a capo delle istituzioni, poiché solo i sapienti dotati di saggezza sono in grado di agire a vantaggio del bene collettivo, il tutto, però, in totale distacco dalla ricchezza materiale, che di fatto insieme al potere, potrebbe essere causa di pervertimento dell’integrità morale della comunità stessa. Dopo i filosofi, devono esserci i guerrieri della pólis, che hanno il compito di vegliare sulla comunità e di proteggerla da pericoli materiali di ogni genere, sia interni, che esterni; per ultimo, non per importanza, il popolo, cioè la collettività, che deve partecipare attivamente allo sviluppo e alla difesa della città-stato e alla tutela e al raggiungimento progressivo del bene comune.
Aristotele, riteneva invece che il modello di governo della città-stato ideata da Platone, nonostante fosse affascinante, fosse in realtà irrealizzabile, dunque una mera utopia. La prima definizione di “politica” appartiene proprio a quest’ultimo, secondo il quale il termine “politica” significava l’amministrazione della “polis” per il bene di tutti.
Nella “Politica” Aristotele identificò tre forme di governo con le relative degenerazioni:
- la Politeia – simile alla “democrazia”, se dovessimo adottare un linguaggio contemporaneo – in cui a governare è la massa colta, saggia e valida, mentre la sua corruzione, ovvero la Democrazia – nel linguaggio corrente “demagogia” – consiste nel governo della massa incolta, prepotente, arrivista ed egoista;
- l’Aristocrazia, dal greco Aristói (i migliori), si intende il governo dei più adatti a governare in contrapposizione alla sua corruzione, l’Oligarchia (da Oligói pochi), ovvero il governo di pochi, non necessariamente i migliori – con i secoli, il termine “aristocrazia” è passato a indicare il ceto dei nobili anziché la forma di governo (inoltre, un’ulteriore degenerazione per Aristotele può essere l’Oclocrazia, cioè il “governo della feccia del popolo”, ossia i meno preparati e i meno validi a governare);
- la Monarchia, che deriva dal greco Mónos (solo), che indica il governo di un solo uomo; la Tirannia, invece, consiste proprio nella sua degenerazione – il termine “Tiranno” indicava colui che si impossessava del potere in maniera illegittima: nell’antica Grecia questo termine indicava propriamente l'”illegalità” del potere.
Nel mondo ellenico, tra l’altro, era conosciuta anche la Diarchia ovvero il governo di due uomini come accadeva a Sparta. Per l’allievo di Platone, l’uomo è per natura un “animale politico” (zoón politikón), dunque, un animale sociale, e, in quanto tale, è portato naturalmente ad aggregarsi insieme ai propri simili al fine di creare una comunità organizzata, all’interno della quale tutti i componenti sono necessari al suo sviluppo. Aristotele afferma anche che l’uomo è un essere provvisto per natura di lógos, cioè d’intelletto e parola che ben si accordano con la sua innata socialità, perché è proprio mediante il lógos che gli uomini possono trovare un terreno di confronto e di reciproco riconoscimento primordiale, per utilizzare un linguaggio filosofico-giuridico.
Qual è stato l’evento che potrebbe aver segnato la vittoria della perversione morale dei singoli sulla politica e di conseguenza la degenerazione dei sistemi di governo e dei modelli sino ad allora teorizzati? Sicuramente il declino delle pólis e di tutte le comunità greche avvenuto in seguito alla morte di Alessandro Magno, nel 323 a.C., quando tutti i territori conquistati vennero letteralmente spartiti tra i diadochi. Con questo evento, venne spazzata via per sempre la vera politica, fatta di amor di popolo, bene comune, di progresso e di benessere collettivo.
LA POLITICA NELLA MODERNITÀ
Nei secoli successivi, a partire dal Cinquecento, dopo, dunque, l’età medievale, la definizione del termine “politica” è andato via via sviluppandosi, assumendo sfumature sempre distinte nell’ambito della dottrina filosofico-politica. Machiavelli, per citarne qualcuno, con la sua opera Il principe, analizza la “politica” e ne individua una nuova interpretazione, partendo dalla distinzione tra l’“etica civile” e l’“etica statuale”, considerata, quest’ultima, più alta e differente: nella pratica la necessità di un’etica del governo, di un’entità territoriale e di una comunità umana, quale principio distinto dalle esigenze dei singoli cittadini o dei gruppi appartenenti alla stessa comunità.
Machiavelli è stato, inoltre, il padre del termine e del concetto di “Ragion di stato“, che però manterrà sempre fermamente distinto dal termine “politica”. Il suo lavoro teorico, infatti, era finalizzato a fornire alla politica un’autonomia che il potere clericale dell’epoca non voleva minimamente e lontanamente barattare.
Un altro studioso, noto tra l’altro anche ai filosofi del diritto, per le sue formulazioni sul giusnaturalismo e per lo sconfinamento contrattualistico del diritto di natura, che ha fornito un’interpretazione singolare al concetto di “politica” è senza dubbio Thomas Hobbes. Egli considerava che la migliore forma di governo fosse la monarchia assoluta, il cui potere trovava legittimità politica non dalla volontà divina (come stabiliva la tradizione medievale), ma da un presunto “contratto originario e primordiale” tra uomini preistorici.
Un altro esempio è John Locke, il quale, al contrario di Hobbes, formulò l’idea che il sovrano doveva rispettare i diritti fondamentali dei cittadini come la proprietà privata e non avere libero arbitrio sulla vita e sulle sorti dei sudditi: in altre parole era contrario all’assolutismo come forma degenerata di governo (la “tirannide”, se volessimo riprendere la terminologia aristotelica), ma si proponeva in favore di una monarchia equilibrata (ancora lontana anni luce dalla formulazione teorica della monarchia costituzionale).
Un ulteriore e fondamentale contributo allo sviluppo del concetto e del termine è stato quello di Montesquieu, il quale nella sua opera intitolata De l‘Ésprit des lois (Lo spirito delle leggi), formula la distinzione dei poteri come principio cardine del giusto e duraturo equilibrio delle istituzioni politiche per evitare la tirannide. Anche Montesquieu esamina i vari tipi di forme di governo, concludendo che la monarchia costituzionale resta, comunque, la forma migliore, in quanto la classe nobiliare, essendo vincolata al principio dell’onore, in linea generale sarebbe meno corruttibile.
LA POLITICA NELLA CONTEMPORANEITÀ
Un altro apporto alla formulazione del concetto ed alla sua versatile interpretazione è stato fornito da Karl Marx, il quale nel XIX secolo teorizzò la critica al sistema capitalista borghese e introdusse i principi filosofici prima del materialismo storico e poi dialettico, in contrapposizione all’idealismo e allo spiritualismo. Secondo Marx, la storia dei sistemi sociali e istituzionali è determinata da una struttura che avrebbe origine dai rapporti economici intrinseci a questi stessi.
L’economia rappresenta per Marx la base fondamentale ed essenziale della società (che viene ad essere modellata e influenzata dai rapporti economici) e, proprio in ragione del fatto che è alla base dell’organizzazione sociale, concorre essenzialmente a determinarne i vari assetti sociali, culturali ed ideologici del sistema capitalista borghese, che Marx definisce “sovrastruttura” o “forma“. L’autore de Il Capitale sottolineò che comunque il rapporto non è da considerarsi in maniera semplicemente deterministica, ma, al contrario, sono gli uomini, in particolare la classe lavoratrice e proletaria, a dover ribaltare gli assunti tradizionali della società capitalistica.
Il XX secolo, invece, sembrerebbe, sotto alcuni punti di vista, un vero e proprio laboratorio sperimentale delle teorie politiche e delle teorie dello stato e delle istituzioni. Sono nati, infatti, nel secolo scorso, molte e diversificate forme di Stato e di governo. Oltre alle classiche monarchie costituzionali, possono essere annoverate le prime democrazie borghesi e, contemporaneamente, i primi esperimenti pratici del socialismo, finiti per degenerare in sistemi oppressivi e limitativi dei diritti e delle libertà dei cittadini. Nella prima metà del secolo a queste forme si affiancarono i totalitarismi ed autoritarismi, derivanti dalla crisi delle fragili democrazie e monarchie europee.
Se la politica in linee generali consiste nell’impegno per il bene pubblico, per il bene di tutta la collettività, allora possiamo dire a gran voce e con estrema certezza, che quella a cui assistiamo oggi, della quale siamo continuamente bombardati sui giornali, in TV, sui social network, non rispecchiando i canoni valoriali e gli aspetti finalistici della politica originariamente intesa, non dovrebbe essere neanche considerata tale. Oggi “Politica” assume un significato sinonimico di lotta individuale fratricida e degenerata finalizzata all’accrescimento economico personale, alla tutela di interessi privati e all’elevazione immeritata e quasi coercitiva del proprio status sociale e della propria “rete” sociale, con l’esplicito ed ignobile sfruttamento del potere che solo le istituzioni pubbliche possono concedere ai singoli.
Alessio Fedele è su Facebook
Alessio Fedele è fondatore, direttore e curatore dell’area filosofico-giuridica dellla rivista online Questione Civile XXI
L’immagine in evidenza è di Cesare Maccari, Cicerone denuncia Catilina, 1880 ca., affresco, cm. 400 × 900, Senato della Repubblica Italiana, Roma.
Bei tempi quando nel mondo Greco la polis era finalizzata al bene comune ed il fare politica era considerata attività onorevole. Oggi purtroppo di onorevole è rimasto soltanto il titolo. Del quale si avvalgono abusandone gli eletti dal popolo che sono dediti solo a fare I LORO DI INTERESSI!
Grazie per questa piacevole ma soprattutto vera definizione.
Sto portando avanti un percorso di “Il valore delle parole perdute” su IlDolomiti.it e, dopo la “verità” da poco descritta ( https://www.ildolomiti.it/blog/sara-conci/il-valore-delle-parole-la-verita-tanto-sfuggente-quanto-essenziale-da-perseguire ) , è il momento della “politica”. Così stavo cercando un paio di traduzioni greche per la “politica” e mi sono imbattuta in queste righe..
Già, ahimè, al giorno d’oggi la politica è fine a sé stessa e compromessa dai favori “per simpatia” o “amicizia”. Ma l’importante è non demordere e darsi da fare per agire. E agire per il bene.
Grazie.
Un caro saluto,
Sara Conci