SULLA NECESSITÀ DEL LAVORO
Nel suo Trattato sulla pedagogia, Kant sottolinea l’importanza capitale del lavorare per vivere. L’uomo deve lavorare per vivere, per realizzarsi nella sua propria natura e per sopravvivere. Per sopravvivenza tramite il lavoro si intende che senza il lavorare l’uomo è destinato al tedio, che è il peggiore dei mali.
Il lavoro permette di formare l’uomo, di farlo crescere nel senso pieno del termine. E di più, il lavoro dà un senso alla vita. Il lavoro permetterebbe, così, se vogliamo istitiuire un parallelo con la filosofia di Cioran, di evitare il suicidio. Nei suoi Pensieri strozzati premette che
[v]ivere è una impossibilità di cui non ho cessato di prendere coscienza, giorno dopo giorno, in questi, dicono, quarant’anni…;
la capacità dell’uomo di lavorare, che gli permette di realizzare la sua propria eccellenza, sarebbe ciò che portremmo definire, per quanto Kant non lo faccia, «lo strumento fondamentale per la vita», e cioè ciò che fa sì che l’uomo non soccomba alla disperazione che il tedio susciterebbe, decadimento dell’anima lasciata a se stessa. Benché Kant non lo descriva in questi termini, la realizzazione del lavoro sarebbe da considerare come una liberazione dalla crisi esistenziale suscitata proprio dalla noia. Senza il lavoro, l’uomo verrebbe a essere considerato come un uovo vuoto che necessiterebbe di essere riempito, di essere adornato dal gioiello-lavoro per brillare:
[l]’uomo deve essere occupato in maniera tale da essere riempito dal fine che ha di fronte a sé.
E aggiunge: «in modo che non si senta più il se stesso di prima e che il miglior riposo sia per lui solamente ciò che segue il lavoro». Il riposo sarebbe dunque da considerare come un piacere che non può essere apprezzato senza prima sperimentare la fatica che è il lavoro stesso: deve permettere all’uomo di trionfare sull’inedia, dando un senso alla sua esistenza.
Tuttavia, non si può proprio più considerare il lavoro come una semplice scappatoia dal dolore della noia o dell’«impossibilità di vivere» di Cioran. No, il lavoro, per essere pienamente tale, deve essere legato ad una attività di creazione che sarebbe sia una creazione di sé che la creazione di qualcosa al di fuori di sé. Nel suo Portrait d’un homme hereux, Erik Orsenna sottolinea di come André Le Nôtre (1613-1700) si meravigliasse nel disporre i giardini di Versailles secondo le proprozioni matematiche che aveva scoperto:
[e]ducato nella dolcezza della prospettiva, Le Nôtre non ignora nulla di questi saperi millenari. Sempre aggiornato riguardo scienze e tecniche del suo tempo, poiché viveva circondato da ingegneri, integra nelle sue opere le ultime scoperte, in particolare la progressione aritmetica che governa il progresso delle grandezze.
Così, Le Nôtre fu un uomo che coniugò la passione per la scoperta e per il progresso al lavoro, che combinò la meraviglia a un lavoro a sua volta completo, riuscendo a portare innovazione alla rigidità della sua discplina [l’architettura, N. d. C.].
@ILLUS. in evidenza by MAGUDA, 2023
@ILLUS. in fondo by SOBERMAN, 2023