VOLPONI E IL MEMORIALE: LA RAZIONALITÀ ROUSSEAUIANA
Memoriale di Paolo Volponi non segna solo quella che è una cesura nel percorso letterario di quest’autore, ma è anche portatore di quella che è a tutti gli effetti una rottura singolare e sperimentale con la tradizione letteraria del tempo.
È sicuramente uno di quei prodotti che si possono definire outstanding, ovvero che stanno fuori, che risaltano, e si può anche azzardare che possano appunto risaltare non solo per la genialità letteraria, della quale quest’articolo non se ne fa come principale argomento, ma anche per le sottili argomentazioni implicite nel romanzo. L’affermazione che un’opera di letteratura è diversa dalla filosofia, it is really shallow, poco profonda. Quest’affermazione piuttosto provocatoria la si può suffragare dal fatto che anche la minima opera letteraria include sempre una rappresentazione, tipica sia del genere letterario che del genere della saggistica, difatti il fine di tali produzioni si rivela sempre essere quello di una rappresentazione, che sia di un concetto o di una situazione (ma le situazioni non rimandano, per avere un qualsivoglia valore, ai concetti?).
Dunque è legittima un’analisi filosofica di un’opera letteraria, senza esclusione dal campo di indagine della filosofia, e il rifiuto del loro valore, da parte della filosofia, non causerà altro che l’allontanamento dalla sfera concettuale delle opere letterarie, rivelandosi così controproducente. Di certo la valenza sarà diversa nell’argomentazione, non si avrà una classica argomentazione dialettica o sillogistica, ma pur sempre si parla di una riflessione, dunque la filosofia è chiamata a discernere il campo di indagine in questione.
Un’avvertenza tuttavia è doverosa: il seguente articolo esaurirà, per fini dovuti all’analisi filosofica dell’opera, tutta la trama in questione, dunque ne rivelerà anche i punti più salienti, i quali, non venendo di solito conosciuti, costituiscono una parte importante nell’esperienza di lettura. A discrezione di chi legge ciò, il lettore proceda a suo rischio e pericolo.
La trama, di per sé, è semplice: si narrano, sotto forma di un memoriale, le vicende di Albino Saluggia, giovane lavoratore di fabbrica, e del suo difficile rapporto con il contesto lavorativo in questione, dall’assunzione sino al suo licenziamento. La tormentata storia che il memoriale di Albino ci restituisce contiene in sé le vicende che il protagonista soffre nel corso di pochi anni. Il protagonista è un personaggio tormentato da quello che è a tutti gli effetti un passato travagliato nel pieno della seconda guerra mondiale; difatti egli racconta le sventure passate con i commilitoni e nel periodo di prigionia, fortemente incisive per la vicenda successiva.
Tuttavia il carattere peculiare dell’opera (la quale già nella sua forma di scrittura si presenta adatta al riferimento filosofico principale che si pensa poter dare in questa sede) presenta quello che è il resoconto di una coscienza, in particolare si può notare come dai tratti della naturalità buona e selvaggia del romanzo e dalle alterità che si presentano ad essa vi sia una sorta di richiamo francese che echeggia nella valle del lago di Candia. Esso porta il nome di Jean Jacques Rousseau. Infatti la tematica rousseauiana, nella dualità del rapporto tra natura (la casa in campagna di Albino, vicino al lago di Candia) e civiltà (la fabbrica, le istituzioni attraverso le quali Albino passa la sua odissea), si pone come la chiave di lettura principale per tutta l’opera. Albino dunque, buon selvaggio del lago di Candia, si trova ad essere un individuo costantemente annichilito e deturpato da qualsiasi forma di civiltà (si vedrà più avanti in che modo). Oltretutto la tematica rousseauiana della ricerca costante della giustizia si fa ben presente non solo come il movente principale delle azioni di Albino, ma anche come ideale ben lontano da questo mondo.
Dunque abbiamo la raffigurazione di un mondo scisso in due, da una parte l’antropologia suggerita dal romanzo sembra essere quella afferente a una naturalità originaria con annessa bontà (data dall’amor di sé, dalla pietà e dall’autosussistenza del selvaggio, la quale si esprime nella quantità ridotta di bisogni umani), la quale però viene deturpata dalla civiltà, non altro da quello che è il percorso di civilizzazione umano. Difatti nonostante le prime illusioni di Saluggia nel poter sconfiggere i propri mali grazie al lavoro nella fabbrica di X, ben presto la civiltà si rivela impopolare al buon selvaggio di Candia, causando così le paranoie e i tormenti scritti nel memoriale. Il complotto che Albino sembra descrivere per l’intera stesura del memoriale (al protagonista viene diagnosticata la tubercolosi, probabilmente data dalle condizioni sanitarie precarie della situazione di prigionia in guerra e di conseguenza egli crede che i medici e coloro che si preoccupano della sua malattia stiano attentando alla sua incolumità al fine di “non farlo lavorare”) altro non rappresenta se non un fallimento degli schemi concettuali originari e tipici di quello stadio di naturalità che egli rappresenta. Infatti nella teoria rousseauiana degli stadi cognitivi descritta nell’Emilio, un primato viene assegnato alle facoltà conoscitive intuitive, o comunque non troppo raziocinanti e più spontanee (come per esempio la “ragione sensitiva”, attinente ai sensi, la memoria e l’immaginazione), le quali sarebbero in pieno accordo con la naturalità originaria dell’essere umano.
Egli dunque stende il suo memoriale come un flusso di coscienza retrospettivo ed intuitivo continuo per quanto attiene alle sue vicende. Il fallimento starebbe nel non saper accordare le facoltà spontanee dell’uomo con quelle che sono correzioni che possono essere date dalla ragione. Infatti in questo legittimo uso dell’intuizione e delle facoltà più spontanee da parte del protagonista, nella concezione della vita e delle sue vicende vi è un’incrinatura, la quale non lascia spazio a quel minimo ruolo che sembrerebbe appartenere alla ragione (come descritto nell’Emilio, nel terzo libro, quando si tratta delle facoltà razionali superiori).
La paranoia è lo stile e la forma di quest’incrinatura. Il dietrologismo di Albino non è altro che il rapporto di una facoltà epistemologica con un mondo che non si pone in maniera direttamente scorretta (per quanto ne sappiamo egli è un narratore inattendibile, dunque è probabilissimo che egli in realtà stia giudicando in maniera erronea), ma che in realtà si rapporta con le facoltà spontanee senza un minimo di conciliazione con le pretese e i modi di queste facoltà conoscitive. In poche parole, la civiltà si pone in maniera controproducente dinnanzi alla spontaneità conoscitiva di Albino. Sicuramente una critica alla civiltà del tempo è ben presente nel romanzo, dunque possiamo presupporre che tale critica venga posta sicuramente entro questi limiti. La lettura razionale dunque si incrina non solo a causa della mera civiltà, ma anche a causa della ragione usata in essa, ovvero per quanto attiene al tipo di razionalità che essa sfrutta continuamente. Oltretutto il fatto di essere controproducente si rivela anche per quanto attiene ai frutti più remoti della paranoia, come l’avvicinamento del protagonista, verso la fine del romanzo, rispetto a ciarlatani ed imbonitori. Ma parleremo dopo meglio di tutto ciò, basti sapere solo che una commistione di rapporti epistemologici e rapporti materiali (l’alienazione della fabbrica, la condizione precaria dei lavoratori, le storture del boom economico, etc.) causano la scissione di questo individuo, relegando la sua intuizione verso la degenerazione, quest’ultima data dalla civiltà nel suo complesso e nelle accezioni appena elencate. La personalità rousseauiana di Albino è anche data però da quest’unità del personaggio con la natura. Tale si evince perlopiù da descrizioni continue del paesaggio che sembrano accompagnare il protagonista nella sua emotività.
Essi difatti sembrano coincidere con la tesi, espressa nelle confessioni e nelle altre opere autobiografiche di Rousseau, per la quale l’essere umano, nello stadio più evoluto dell’intuizione religiosa (si ricordi il sentimentalismo religioso del filosofo ginevrino) si accorda con quello che è il mondo naturale, o detto in maniera semplice la coscienza si accorda con la naturalità, si pone in sintonia con il mondo naturale. La ricerca spontanea della connessione della coscienza con l’ambiente avviene però anche per quanto riguarda la fabbrica, anche se in alcuni passi o sembra risultare innaturale, o sembra condurre all’alienazione, ovvero, al mancato riconoscimento di una sfera di naturalità, parte integrante di quella naturalità originaria rousseauiana che fa da sfondo per tutte le situazioni del romanzo.
La fabbrica è l’universale, l’astrazione puramente logica e razionale (prodotta dalla civiltà) che invade la sfera della naturalità. Data la naturalità originaria ineluttabile ed il rapporto dell’ambiente naturale che l’essere umano ha con quest’ultimo, l’essere umano se è posto in condizioni come quelle descritte nel romanzo viene ad essere un individuo scisso, ovvero viene dunque a crearsi nell’individuo una sfera che contrasta costantemente la naturalità originaria di esso, e che risulta nei dietrologismi (in quanto la naturalità cerca di resistere all’imporsi violento di tali rigori razionali) o nei fenomeni che lo stesso Rousseau critica, come la competizione, il dominio dell’individuo sugli altri, il moltiplicarsi dei bisogni, etc. Ma sia nel ginevrino che nell’abitante di Candia dobbiamo riconoscere una religiosità, la quale però in entrambi i casi non sembra aderire ad una dottrina specifica caratterizzata da dogmi o da un qualsivoglia assunto logico che caratterizza i contenuti della fede, ma sembra essere totalmente spontanea. La spontaneità e l’individuazione sentimentale degli enunciati di fede è in Rousseau il punto teologico di culmine della cultura della naturalità che egli intende delineare, e così sembra essere per Albino. Tuttavia tale religiosità e unione con la natura è deturpata non solo dai bisogni della civilizzazione, ma anche dalla malattia della paranoia, la quale riferirebbe anche il giudizio divino come favorevole alla causa espressa in Memoriale.
Oltretutto la fragilità del personaggio principale, testimoniata dalla paranoia e dalla conseguente volontà di avvicinarsi all’imbonitore Fioravanti (mago che avrebbe, a detta di egli stesso, scoperto una cura per il cancro e sarebbe stato rifiutato e perseguitato dalla comunità scientifica), può essere vista come un prodotto della civilizzazione che l’autore vuole criticare, mostrando la perdita dell’autosufficienza della condizione dello stato di natura.
Ma come ben ormai è noto a tutta la critica, Rousseau non intese mai la sua critica al mondo civilizzato come una chiusura definitiva della questione sociale. Egli difatti, pur constatando il peggioramento dell’essere umano per quanto attiene al processo di civilizzazione, non ricusa mai la speranza di un possibile progresso verso il meglio, ergo, non propone un mero ritorno allo stato di natura (come svariata parte della critica ha fatto credere), ma invece ha in mente per l’essere umano un destino che si articola, dunque, non in maniera totalmente propensa verso lo sviluppo della tecnica e dei costumi, ma che rispetti quel nucleo di naturalità originaria presente nell’essere umano. Il progresso verso il meglio in Rousseau dunque non sarebbe pensato nella tradizionale maniera illuministica del suo tempo, ma come un ritorno alla naturalezza originaria dell’essere umano pur conservando quelle che sono le migliorie che l’ingresso in società ha portato con sé. Insomma si parla a tutti gli effetti di una dialettica natura-artificio, se così possiamo intendere. L’uomo, avente la sua essenza originaria, viene temprato dall’artificio, che lo sottopone a condizioni perlopiù rigide, per poi ritornare a ricongiungersi con il nucleo della sua naturalezza originaria, portando con sé il progresso morale dato dalla civilizzazione.
Tuttavia l’opera in questione può essere vista sotto il punto di vista di un detour di questo processo. Albino Saluggia, l’Emilio che deve essere riformato, incontra in realtà una civilizzazione che a causa del deturpamento della sua facoltà conoscitiva, non permette il compimento di questa dialettica di ritorno alla naturalezza originaria, costituendo così per tutto il romanzo la storia di un mancato fine.
La figura di Albino oltretutto rivendicherebbe non solo un annichilimento della sensibilità morale (capacità che nel sistema del filosofo ginevrino ha come obiettivo quello di legare l’individuo moralmente agli altri suoi simili) verso i suoi simili – come testimonia gran parte delle interazioni del protagonista – ma oltretutto rappresenterebbe anche una facoltà raziocinante che si oppone fermamente a quella che permea l’ambiente della civilizzazione.
Egli è portatore di una facoltà che rivendica a pieno determinati diritti, sia sul piano sociale che sul piano delle relazioni sociali, una razionalità che, in quanto effettivamente esige una giustizia, pone l’individuo dunque come universale e non come particolare (non appartenente ad una classe sociale o altra classificazione di qualsiasi tipo). Il riferimento a quest’ideale di giustizia di Albino, sussumente anche elementi religiosi, che pone l’individuo universalmente, sembra riferirsi all’ideale di giustizia tipico delle rivendicazioni sociali della rivoluzione francese e della prima ideologia borghese in generale, quando ancora quest’ultima possedeva la sua iniziale carica originaria.
E proprio quest’aspetto ci porta a considerare Albino, personaggio rousseauiano, come le intenzioni esplicitate dalla classe borghese che vengono pian piano soppiantate e soppresse da un diverso tipo di ragione che nasce all’interno della classe borghese stessa. La ragione strumentale al dominio di una classe su un’altra difatti sembra essere la controparte della classe media che attanaglia sia, come abbiamo visto, il modo di conoscere del protagonista, ma anche la razionalità che egli mette in gioco per quanto attiene all’azione etica da compiere. Non a caso il finale dell’opera è intrecciato con il delirio, dove Albino dapprima immagina di compiere un massacro verso i suoi colleghi lavoratori e i padroni della fabbrica, e successivamente, nel mondo reale, per una rivendicazione contro i secondi aiuta il compimento di uno sciopero venendo successivamente licenziato. A questo punto troviamo il buon selvaggio che ha compiuto il suo percorso con la civiltà; tuttavia esso non realizza un esito positivo, come promesso dall’Emilio, ma invece si ritrova da solo, venendo costretto, dalla classe la quale egli stesso rappresenta, a pagare la sua pena (in quanto ha provato ad usare la ragione nel modo che sembrava a lui più consono), ritornando nello stato di natura, ovvero la sua casa a Candia, esiliato dalla società.
Memoriale ci consegna dunque Albino come un personaggio scisso dal punto di vista conoscitivo, morale, psicologico e sociale, una scissione che si riverbera nell’intera società descritta nell’opera, una società dominata da una classe a sua volta divisa, la quale, avendo dimenticato la naturalezza originaria, la considerazione dell’individuo come universale e non come particolare ed i suoi propositi originari, si è irrigidita, lasciando spazio ad un futuro che non sembra promettere alcuna redenzione finale.
@ILLUS. by GABRIELE DEMARCHIS, 2024