VOLTAIRE: LIBERTÀ, POLITICA, AZIONE
Estratto da Voltaire: la politica come azione, Milano-Udine, Mimesis 2021, di Debora Sicco
Voltaire, che non ha mai esitato a prendere appassionatamente posizione, ha affermato in una lettera a Jacob Vernes di scrivere per agire. Questa vocazione alla scrittura impegnata, finalizzata all’azione, rappresenta il fil rouge del volume, che tenta una ricostruzione complessiva dell’atteggiamento voltairiano nei confronti della politica (intesa nel senso più ampio, come possibilità di migliorare concretamente la vita umana in società) attraverso un esame dell’intero corpus della sua opera. La scelta di non limitarsi ai pamphlets o ai pochi scritti politici in senso stretto – le Idées républicaines, le Pensées sur le gouvernement, le voci di argomento politico del Dictionnaire philosophique e delle Questions sur l’Encyclopédie – affonda le sue radici nella convinzione che le idee di Voltaire, i suoi obiettivi e le sue strategie emergono anche, se non soprattutto, dalle osservazioni disseminate nelle lettere, nei racconti, nelle pièces teatrali, nelle opere storiche e in scritti minori generalmente trascurati: in una prospettiva risolutamente pragmatica, egli suggerisce continuamente piste di riflessione e d’azione, senza mai formulare una teoria sistematica.
Effettivamente, alla formulazione di una teoria coerente ma fine a se stessa egli ha preferito l’azione politica, nel senso molto vasto di azione finalizzata a contribuire al miglioramento della condizione umana. Il volume si concentra dunque sulla politica come filosofia dell’agire, soffermandosi in particolare sulle sue radici e sulle sue manifestazioni più significative per mettere in luce lo stretto legame tra il pragmatismo politico di Voltaire e il suo pensiero gnoseologico, antropologico e morale. Un esempio emblematico di tale legame è offerto dall’utopia, criticata da Voltaire insieme a tutte le opere da lui giudicate utopiche (fra le quali spiccano quelle dell’abate di Saint-Pierre, di Rousseau e di Fénelon) essenzialmente perché incompatibile con la sua concezione pragmatica della filosofia e della politica. Di fatto, collocandosi sulla scia dello scetticismo di Bayle nonché dell’empirismo inglese di Locke e Newton, egli rifiuta l’astrazione e i sistemi in ogni ambito. Il realismo domina anche la sua antropologia: lungi dall’elaborare vane teorie su come gli uomini potrebbero o dovrebbero essere, bisogna considerarli così come sono.
Oltre a incidere profondamente sul suo giudizio sull’utopia, il pragmatismo di Voltaire si manifesta anche nell’esigenza di interrogarsi sui limiti e le possibilità degli uomini. La sua riflessione sulla libertà umana, al di là dei suoi nodi problematici e della sua progressiva evoluzione verso una posizione deterministica, mostra come l’essenziale ai suoi occhi non sia tanto fornire una risposta metafisica alla questione, quanto riconoscere all’uomo uno spazio d’azione. Occorre dunque distinguere il piano della metafisica da quello dell’esistenza, e impegnarsi a sfruttare al meglio ogni concreta possibilità di agire. In questa prospettiva, non sorprendono le continue esortazioni di Voltaire all’azione, spesso corroborate da testimonianze storiche per ricordare agli uomini le grandi imprese che – se lo vogliono davvero – sono capaci di compiere. A tali esortazioni si accompagna la condanna di ogni sistema tale da indurre gli uomini a rinunciare all’azione, si tratti del pessimismo di Pascal o dell’ottimismo di Pope e Leibniz.
L’esame delle idee di Voltaire sull’utopia e sulla libertà ha permesso di delineare il contesto entro cui si colloca la sua filosofia dell’azione, presentata nel capitolo centrale del libro attraverso il confronto con Jean-Jacques Rousseau. Tale confronto, suggerito dallo stesso Voltaire nella lettera a Vernes ricordata sopra, chiarisce il suo atteggiamento riguardo alla scrittura, all’azione e al ruolo del philosophe all’interno della società. Effettivamente, i differenti atteggiamenti dei due philosophes di fronte ai casi Rochette e Calas – ma anche di fronte alle turbolente vicissitudini politiche della repubblica di Ginevra negli anni Sessanta del Settecento – offrono una significativa dimostrazione dell’impegno voltairiano a combattere contro le ingiustizie, in particolare quelle commesse in nome della religione. Egli rifiuta, infatti, di essere un semplice spettatore degli eventi del proprio tempo, e si serve del proprio talento di scrittore per cercare il sostegno dell’opinione pubblica – nuova, nascente forma di potere – e contribuire al miglioramento dell’esistenza di tutti.
Fra le varie strategie e i vari generi letterari a cui ricorre nel tentativo di promuovere le proprie idee e di combattere l’«Infâme», ossia il fanatismo in tutte le sue forme, il teatro ha una rilevanza particolare. Voltaire, infatti, è profondamente convinto dell’utilità morale e sociale degli spettacoli; pertanto, non esita a portare in scena le sue battaglie e trasforma le sue pièces in un efficace strumento di propaganda filosofica, come dimostrano le tragedie che ha composto negli ultimi vent’anni della sua vita, ad esempio Les lois de Minos. Per quanto importante, la lotta contro l’Infâme non costituisce l’obiettivo esclusivo di Voltaire, che è intervenuto anche in altri ambiti della vita associata, come quello economico, quello più propriamente politico e quello giuridico. Mentre il tema della tolleranza è stato ampiamente approfondito dalla letteratura critica dedicata a Voltaire, il suo sostegno alle riforme proposte da Machault e da Maupeou ha attirato molto meno l’attenzione, ma costituisce una cruciale testimonianza del suo atteggiamento pragmatico. Infatti, in entrambi i casi Voltaire assume in prima persona il ruolo – presente in molte sue opere – del cittadino filosofo che con i propri scritti e il proprio esempio cerca di contribuire al bene pubblico.
Il suo pragmatismo, infine, è confermato dalle sue osservazioni sul lavoro, tema finora trascurato e tuttavia degno di nota. Benché talvolta negli scritti di Voltaire il concetto di lavoro sfumi nel più generico concetto di impegno, egli ne ha compreso l’importanza per il progresso materiale e morale della società. Infatti, ne riconosce il valore dal punto di vista morale, economico e politico, ovvero come risorsa contro la noia, la povertà e il disordine sociale. La questione è affrontata in opere molto diverse tra loro: l’immancabile Candide, il racconto in versi Le Dimanche ou les Filles de Minée, il pamphlet dedicato alla Canonisation de Saint-Cucufin. Ciò fornisce un’ulteriore prova dell’efficacia di studiare l’opera voltairiana nel suo insieme, in particolare alla luce del pragmatismo che la pervade e, in un certo senso, la unifica pur nella sua varietà. Indubbiamente, per Voltaire la sfida di realizzare un mondo migliore era più stimolante e gratificante dell’elaborazione di qualsiasi teoria. Non a caso, a Ferney egli si è impegnato ad attuare le proprie idee sul lavoro, incoraggiando l’agricoltura e le manifatture, ma anche continuando a scrivere per agire. Ed è proprio così, scrivendo per agire e cercando di agire per il bene di tutti, che il patriarca di Ferney ha lasciato un’impronta incancellabile nella storia del XVIII secolo europeo.
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@ILLUS. by JOHNNY PARADISE SWAGGER, 2021
VOLTAIRE: LA POLITICA COME AZIONE