DELLA CONCENTRAZIONE MORALE DI BOSSE-DE-NAGE IN VISTA DELLA PARTENZA PER IL LÀ FUORI

La posta in gioco era elevatissima. La pressione si faceva sentire e la tensione caricava l’aria di elettricità statica siccome palloncino strofinato con vigoria sulla peluria delle gambe. Tutti avevano i capelli dritti e si davano la scossa non appena si avvicinavano l’un l’altro. I più fortunati erano in grado di modificare il corso delle acque, rendendo la spedizione una passeggiata; i più sfortunati, invece, attiravano i fulmini: moltissimi caddero quel giorno, molti si rialzarono. Pochi non ci riuscirono più. Bosse-de-Nage, cinocefalo babbuino, era concentrato come non mai: da lui dipendevano le sorti dell’intera Terra di Cuccagna e la salvaguardia della mappa tanto preziosa quanto rara. Il tempo delle chiacchiere e dei balocchi era finito.
Tutti si stavano preparando e regola vuole che prima di una partenza per un viaggio dalle sorti così incerte gli esploratori debbano ponderare quale abbigliamento indossare: la vestizione, lungi dall’essere banale amministrazione quotidiana, deve seguire una precisa protocollarità affinché le energie incanalate si trasformino in forza d’animo e fortuna. Il primo e imprescindibile passaggio è la scelta dell’outfit. Sbagliare questo primordiale step complicherebbe tutto, data la natura ad effetto domino che esso implica. Un abito, è vero, non fa il monaco, ma il monastero. E il monastero fa il monaco (esattamente come l’abito non fa l’abate, ma l’abbazia, che a sua volta fa l’abate). Se lo scopo, pertanto, è il monaco e l’abito prescelto fa l’abbazia, è chiaro a tutti – anche e soprattutto al minaccioso The BRock che mollava tutto per andare a scrivere su Arena Philosophika – che non si raggiunge il goal della spedizione, con tutte le ripercussioni che già sappiamo. Il Sindaco della Cittadinanza Tutta, conscio di ciò, aveva predisposto per gli avventurieri diverse rennelle, sulle quali avrebbero potuto individuare ogni sorta di vestiario che potesse aggradare anche il gusto estetico più sensibile e eccentrico.
Bosse-de-Nage, cinocefalo babbuino, rifletté a lungo sul da farsi. Si trovò combattuto tra differenti stili tra cui scegliere, ognuno dei quali avrebbe incarnato una caratura morale annessa a finalità differenti. Essendo molto amante e altrettanto versato nella lettura di diari di viaggio di pirati bucanieri corsari filibustieri la prima mise che sfoggiò si rifaceva a quel mondo: camicia bianca a sbuffo con gillettino rosso a righe arancioni, baffi neri rivolti all’insù, pantaloni di seta bianco sporco infilati dentro stivaloni neri con tacco e punta rivolta all’insù; spadone in fodero d’orato, benda sull’occhio destro, cappello da capitano con dipinto sopra il Jolly Roger, cannocchiale in saccoccia; uncino al posto della mano destra, gamba di legno al posto della gamba sinistra e pappagallo sulla spalla. Si mirò allo specchio e si piacque molto, ma sorse un problema: il pappagallo non parlava! Sarebbe stato lo zimbello di tutta la sua ciurma! Un pirata che non sa far parlare il suo pappagallo! Ipotesi scartata.
Decise allora di seguire la moda, molto più equilibrata ed elegante, di Soberman: completo elegantemente filato e camicia di lino color lino, cravattina di finissima flanella, pochette a cinque punte; mocassini di pregiatissima fattura, calze in rigoroso filo di Scozia, cintura in tessuto elasticizzato a fare pendant con le scarpe; cappello di paglia a tesa larga per proteggerlo dai raggi scottanti del sole e occhialini da taschino fatti a mano. Si sentiva comodissimo, se non fosse per il fatto che avrebbe spiccato troppo sugli altri per eleganza e savoir-faire. Non volendo mettere nessuno a disagio, decise di provare con altro. Neanche questa andava bene.
Aveva sempre sognato di andare nello spazio e volteggiare liberamente per il firmamento, avendolo potuto studiare solamente da qui, dalla Terra. Per cui pensò potesse essere giunta l’opportunità ideale per vestire i panni di un astronauta. Ma indossata la tuta si rese conto di essere troppo scomodo, i movimenti difficoltosi e impediti dall’ingombro del vestiario e, cosa che decretò la bocciatura definitiva di quell’outfit, non riusciva a riprodurre – per quanto si fosse duramente allenato nel corso degli anni – il saltino che ogni perfetto astronauta deve essere in grado di eseguire, se ambisce ad essere definito tale. Così passò al prossimo costume. Provò infine, in ordine:
- l’abbigliamento da palombaro: gli mancava l’aria;
- la divisa da vigile del fuoco: aveva avuto, fin da piccolo, terrore del fuoco. Si ricordò di ciò e desistette;
- la divisa da aviatore: gli davano fastidio gli occhialoni;
- casual, maglietta e pantaloncini, semplice e funzionale: troppo semplice e funzionale. Quasi banale. Via;
- il camice da dottore: bello, ma era da sempre stato impressionabile. La vista del sangue lo faceva impallidire. Meglio cambiare;
- abbigliamento a cipolla, ideale per gli sbalzi termici: funzionale, nulla da eccepire, se non fosse per una sua allergia alle cipolle che si portava dietro da diversi anni;
- tutto ciò che non compare in questo elenco.
Quando alla fine, l’illuminazione: si sarebbe abbigliato così: pantaloni alla zuava in pura yuta, scarpe da trekking e calze in spugna; camicia hawaiana giallo con fiori alternati verdi, blu e rossi; cappello da mandriano texano e, elemento imprescindibile per la buona riuscita di ogni viaggio, un mantello rosso, che dà un tocco di classe e di credibilità in più.
Era tutto pronto: Bosse-de-Nage alla testa di un manipolo di cinque uomini, quattro gatti, tre cavalli, due asini, un cane, zero aquile. Si fecero fare una foto ricordo, in posa plastica ed eroica, con il mantello che si librava sospinto da un vento di avventura – e la mappa gelosamente custodita dalla salda presa di Bosse-de-Nage, cinocefalo babbuino.
Il momento della partenza era giunto e Bosse-de-Nage diede la stura all’operazione con un imperioso «’HA ‘HA».
@ILLUS. by, FRANCENSTEIN, 2021