ARENA PHILOSOPHIKA: VIVERE

«Non ho più la forza di combattere con le tue parole, Socrate. Va bene, sarà come dici tu».
«È con la verità, mio affettuoso Agatone, che tu sei troppo stanco per combattere: con Socrate, per te, sarebbe un gioco»[1].
Per raggiungere la verità occorre combattere. Lo sapevano Socrate e Platone, lo sanno i guerrieri del pensiero, i mercenari dello spirito che ricercano ovunque e in modo febbrile tracce di senso. La verità è un vessillo da difendere contro le fauci delle belve e le lance degli avversari che tentano di farne brandelli e oltraggiarla, lotta all’ultimo sangue come in un’arena, in attesa che il pollice levato del tempo definisca un verdetto di grazia o di morte.
Un’arena è un luogo dove i combattenti impiegano energie e muscoli per sopravvivere. Perché la verità può essere mortifera, può uccidere dentro e fuori. Lo ha insegnato Socrate accettando la condanna del tribunale di Atene e ingollando il veleno mortale che dalla terra lo traghettò senza dubbio nel mito e nella leggenda. Il suo testamento sono parole mai scritte, come quelle di Cristo, che diventarono il documento invisibile dell’anima a futura memoria degli uomini.
Ma uomo è colui che vive in costante relazione storica con una alterità inconosciuta. Il suo rapporto con essa è un rapporto mediato, dialettico, che presuppone perciò stesso una frattura e una differenziazione. Il dialogo tra uomo e uomo, come quello tra uomo e mondo esterno, presuppone almeno due entità e mette in rilievo il carattere relazionale che il soggetto intreccia con qualunque alterità. Indagare questo rapporto, questa alterità inconosciuta, è il modo per imboccare un cammino che dura tutta la vita e forse prosegue oltre, dialogo interminabile che lascia intravedere al punto di arrivo un bagliore, pallido e opaco come una luce incerta: il bagliore della verità.
Nel dialogo, o meglio nella dialettica, l’uomo può ricostruire senso e interpretazione. Accogliere la alterità come segno di differenza e di libertà, come nuova occasione per restituire il giusto valore al dialogo e impedire che venga prima tacitato e poi neutralizzato.
Oggi quello che accade è molto diverso. Le piattaforme virtuali hanno aperto allo scambio, ma non al dialogo. La mancanza della dimensione della profondità, intesa come profondità spaziale, temporale e concettuale, ha irrimediabilmente appiattito qualunque alterità sul soggetto, disegnando un mondo a immagine e somiglianza di ciascuno, dove la differenza è piuttosto motivo di sgomento e intolleranza. Ecco che la lotta prende le forme deviate e aberranti della violenza: non più gladiatori del pensiero pronti al principio di pòlemos, forza che presuppone vitalità e differenza, ma ciechi esecutori inconsapevoli dei nuovi principi regolatori: quelli del medesimo e della quiescenza.
Ebbene un’arena è quello che serve. Filosofica, certamente, per tornare a combattere con il pensiero in nome della verità. Per farlo servono gladiatori motivati e tanta, tanta libertà.
Non quella libertà incontrollata e irrispettosa in nome della quale viene proferita qualunque volgarità, ma quella che lascia spazio, che accetta e accoglie questioni spinose senza ostracizzarle o screditarle in partenza, che cerca di incoraggiare il pensiero a percorrere sentieri apparentemente impercorribili con onestà, logica e serietà.
Un’arena per combattere una battaglia necessaria, quella del pensiero, dove esprimere confronto e dissenso se occorre, dove raccogliere o depositare energia viva.
Un’Arena Philosophika.
[1] Platone, Simposio, in Platone. Simposio, Apologia di Socrate, Critone, Fedone, E. Savino (a cura di), Monadori, Milano, 1997, p. 95.