SCHOPENHAUER: INFLUENZE DELLA VISIONE STOICA

All’interno del sedicesimo paragrafo dell’opera di Schopenhauer, è possibile leggere un richiamo all’etica stoica che insegna ad agire secondo la ragione per raggiungere la felicità e quindi il riferimento che viene illustrato non è tanto la virtù bensì la felicità, ovvero “come vivere meglio”. Lo svolgimento perfetto della ragione pratica è possibile incontrarlo nel sapiente stoico.
Lo stoicismo non è visto come una dottrina della virtù ma semplicemente un avviamento alla vita governata da razionalità, di cui la meta finale e lo scopo sono la felicità ottenuta con la calma dello spirito. La condotta virtuosa era vista come mezzo e non come scopo: perciò l’etica stoica, in tutta la sua essenza è radicalmente diversa dai sistemi etici che spingono la virtù come fanno le dottrine di Kant o Platone.
Il fine dell’etica stoica è la felicità ed essa insegna che la felicità la si può trovare con certezza solo nella pace interiore e la calma è possibile trovarla esclusivamente attraverso la virtù; ma se a poco a poco si dimentica il fine per il mezzo e la virtù viene raccomandata in modo da rilevar tutt’altro interesse che quello della propria felicità, così da rischiare di essere in contrasto con quest’ultima e così potrebbe avere un sistema di verità direttamente conosciuto che riconduce il cammino, facendo violenza ai ragionamenti.
Secondo Schopenhauer, lo spirito dell’etica stoica ha origine nel pensare che viene visto come grande privilegio dell’uomo e quindi egli considera l’etica stoica con una condotta dettata dalla ragione e di ciò che può compiere. E’ certamente vero che quello scopo è raggiungibile con l’uso della ragione e con un’etica esclusivamente razionale; anche l’esperienza dimostra che gli uomini di carattere puramente razionale, che vengono definiti in filosofia come pensatori pratici, trasportano la vita ai concetti ed ecco perché sono forse i più felici secondo Schopenhauer.
Tuttavia è molto difficile raggiungere questo stato di perfezione in cui applicando la ragione si riesce ad essere liberi da tutto il peso, da tutti i patimenti della vita e raggiungere la felicità.
Vi è piuttosto una assoluta contraddizione nel voler vivere senza soffrire; contraddizione che reca in sé anche il comune modo di dire “vita felice”.
Lo stoico è costretto ad intercalare nel suo avvenimento ad una vita felice, questa è la sua etica. Nel caso dei dolori corporei il quale non si lasciano governare dal ragionamento, prendono il sopravvento e diventano incurabili.
A questo punto il fine unico, la felicità, viene a mancare; e per sottrarsi al patimento rimane solo la morte, la quale va presa come se fosse una medicina per questi mali.
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SCHOPENHAUER:
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