L’UMANO È TALE SOLO SE DIMENTICA DIO
Segue a “La risposta umana” (qui). Il titolo è espressione colorita, che suggerisce che se si parla di umano credendolo realtà, esclusiva, ci si discosta dalla Verità o, perlomeno, dalla certezza, così come figura nell’apparizione.
DICITUR
“…la provocazione è endogenicamente esclusa, per cui pro-vocata (chiamata a presentarsi), dal plesso ontologico parmenideo.”
DICO
Il falso nega il Vero ed il vero nega il falso. Il falso è un vero falso, ossia un parlante che con le parole indica qualcosa totalmente al di fuori della propria anima, mentre il vero è colui che gliele ricaccia in gola o ci prova. Nella prospettiva della Verità dell’Essere parmenidea l’anima è un Tutt’Uno, il fuori è il nulla. La provocazione (intesa come oltraggio alla Verità) è inclusa in Quella, quale suo attributo, mentre negato è piuttosto il suo significato, perché non vi è altro che Verità. Tutto ciò vale anche a prescindere dal sistema di Verità, sostituendo a Verità apparizione, in quanto le parole posso indicare solo un presente, pur senza coglierlo, mentre quando indicano un generale che non sia anche un individuale, un assolutamente non-presente o un impossibile non mostrano il significato che intendono e così nemmeno lo intendono (si parla di certezze incontestabili non di probabilità affidabili o efficaci sfasature).
DICITUR
“…nichilista è chi il nihil fa. E che dire però di chi afferma Verità annichilendo il resto? Anche Verità farebbe nihil per cui…”
DICO
Mai apparso qualcuno fare nihil né fare qualcosa, bensì sempre apparizione. Il fare è un’interpretazione, se si vuole si provi a delinearne il concetto. Verità-che-fa-nihil non significa Verità nichilista, significa che il fare è nichilista in quanto il fare s’accoppia col nihil. Sono due modelli diversi: 1) l’eterna masturbazione (senza coito) – Verità; 2) il temporale accoppiamento di fare con nihil(da cui nascono un tot di bastardi), senza che si sappia chi alla fine fotterà l’altro.
Nondimeno per amor di discorso si può dire che se Verità facesse qualcosa, sarebbe nient’altro che un ente tra gli enti (temporale). Nel discorso dei parmenidei Verità è l’essere sé di ciò che appare, l’Unità del Tutto, l’Eternità del Mondo. In questo senso l’Essere (Incontradditorietà) è tutto intero in ogni punto di sé stesso (sentenza III dei XXIV). Eguale dignità ontologica per ogni suo aspetto.
DICITUR
“…sapessimo la Verità, saremmo la Verità”
DICO
Infatti, in tale prospettiva, lo siamo, tutto lo è. «Noi stessi siamo gli Attributi con cui descriviamo Dio» (Abd al-Karim al-Jili). Sappiamo la Verità, (nel senso che) siamo la Verità. Il Sapere è informazione, è Essere. Essere = Sofia = Verità = Dio = Incontradditorio. Se così non fosse Dio differirebbe dalla Sua scienza, che Ne sarebbe un suo attributo. E dove sarebbe la Sua unità?
DICITUR
“Il paradosso è però l’antifrasi che smuove il cammino e non la secca che incaglia la navigazione!”
DICO
Qui si confondono narrazione (mythos) e realtà (logos). Perché Verità dovrebbe errare? Cosa dovrebbe governare? Il governo si rende necessario solo quando vi è opposizione, senza di quella Verità è da sempre realizzata nella Sua forma completa (attuale, perfetta), la Sua “libertà” è indipendenza assoluta. L’opposizione è proprietà della posizione rispetto al suo divenire altro (ossia con-fondersi con la sua opposizione). Se si scarta ciò la navigazione può avvenire, ma si sublimerà sempre nella Confusione. La secca, piuttosto, è la salvezza di quella navigazione.
DICITUR
“È l’esperienza, in quanto opinione, ad essere il regno della doxa. Il paradosso non appare nel regno della doxa, ma nel regno della “Ben Rotonda Verità” …”
DICO
L’esperienza è il regno della Verità (o perlomeno dell’apparizione, dell’esperienza). Il paradosso (che nel precedente discorso era quello parmenideo, nella sua eccezionalità rispetto al senso comune) appare nel regno della doxa, che appare nel regno della Verità (o dell’apparizione), se così è. Ossia solo nell’apparizione composta con l’opinione, con l’interpretazione, appare paradossale la Verità (o la proposta) parmenidea. Perché poi sarebbe paradossale? Perché nega il movimento? (ma è il movimento che è negazione della forma!) L’apparizione appare sempre piena, la variazione alterna determinazioni, l’alternanza è la composizione di quelle determinazioni. Non appare movimento nell’apparizione. Appare piuttosto, se appare, l’interpretazione che suggerisce il movimento, ma non lo indica, perché non appare. Con la parola movimento non s’intenda qui variazione, s’intenda possibilità di emanciparsi di un oggetto ritenuto dal resto dell’apparizione, sicché il suo mutare posizione rispetto agli altri lo ponga in discontinuità con essi. Il movimento (variazione) che appare è determinato.
Altresì il paradosso che appare in Verità è la doxa, che contesta il suo proprio essere.
DICITUR
“…l’eccepito è sempre ciò che appare, ma che non viene concepito.”
DICO
Nel discorso su concezione ed eccezione, che riguardava la sola apparizione, perché, ripeto, è bene che si convenga su quale sia la certezza scevra d’interpretazioni, concezione coincideva con apparizione e eccezione ne restava fuori. L’eccezione che appare è un oggetto ritenuto che figura nella concezione, concetto (o concepito o concezione) e che ha nome “eccezione”.
Nel sistema di Verità Tutto è Concetto e ineccepibile. È da dirsi poi che Verità non è contenitore, bensì ineccepibilità dei concetti.
DICITUR
“E come potremmo rintracciare una incoerenza dal momento che tutto è ineccepibile?”
DICO
A dir il vero qualche difficoltà sorge. E già ti dissi quale. Forse entrando in quel discorso potresti solleticare i parmenidei (e anche invischiarti in una spirale vertiginosa).

SU PAROLE E DISCORSI
RIPETO
“I filosofi parlano per dire che la parola è falsa perché il linguaggio non contiene significati. Si dica e non si dica, in Realtà”
DICO
La parola è veramente falsa. Quando indica un oggetto ritenuto che appare non lo coglie ma fa come se così fosse. Quando indica gruppi generali di oggetti va oltre ciò che può indicare e intende solo l’individuo significante il gruppo. Quando parla di negazione rischia di avvelenare l’apparizione.
La parola è falsa. È veramente un suono. Appare e non è diversa dal resto.
La lingua vorrebbe dividere l’anima, ma invece compone la sofferenza, volendo la differenza che permetta l’inferenza.
In Realtà (o nell’apparizione) si parla e figurano le parole, ma non si dica che le parole possano racchiudere parti di Realtà (o apparizione) asportandole.
“Si dica e non si dica”: è più faccenda di Strawson che di Parmenide. Non si considera il medesimo aspetto del dire.
Appaiono parole e appaiono monologhi e dialoghi. Il monologo però è un dialogo tra sé e sé, anche per Platone. E nell’apparizione appaiono i discorsi, non chi li fa. Chi o cosa è sé? Umano?
DICITUR
“Ma chi son tali arcigni individui? Forse non sono essi uomini?”
DICO
I filosofi sono umani? O gargolle impietrate sul castello di Verità? Segugi pronti ad aggredire gli umani opinanti? (Sono tutti nomi).
Non fare come Arata, il fideista, che s’ostinò a dire a Severino che anch’egli era un uomo. Ché dovresti dirlo poi, cos’è un uomo… trarlo fuori dal Concetto (o dall’apparizione) e tenerlo separato.
Fallo se ti va, ma con ciò ci si allontana dalla Verità. La separazione separa ma, si vuole, non è sé stessa, non è. Se fosse unirebbe in continuità, in Verità. O Quella o l’uomo. E proprio non vi è modo migliore di perderlo, l’uomo, che avvicinarsi al discorso su Dio. Quello impone a tutto la resa.
Egli è ogni cosa sia, l’essere sé di ogni cosa. È onniscienza, informazione perenne di sé. Questa la (non-)definizione dell’Uno, dell’Eterno. Ogni modello diverso da questo non riguarda l’Uno, l’Eterno. La contraddittorietà, la perdita d’informazione è aliena all’Uno.
P.S. SUL DOVE DEL PUNTO
DICITUR
“Dove si va con Parmenide allora? Da nessuna parte! Seguo il suo filo logico: dove mi conduce? Il punto di arrivo è il punto di partenza.”
DICO
Il punto è che non si cerca di andare da qualche parte, ma di fornire un modello del tutto. Considerando la proposta parmenidea, ossequiosa dell’idea di Verità, ossia di conformità perenne (eternità), non vi è arrivo né partenza. Vi è staticità, immutabilità, conformemente proprio alla Verità, che non è un Ente tra gli enti, bensì l’essere sé di ogni ente, tutti distinti (determinati) ma non separati tra loro nella continuità (unità) implicata dall’immutabilità (Verità, eternità).
Scegli con cura e con calma le tue prossime parole, in modo da non renderle del tutto vacue. Che indichino almeno ciò che vorrebbero significare. Altrimenti saprò cosa “sei”!
Omnis festinatio ex parte diaboli est.





