CIORAN O LA FILOSOFIA DELL’ANTI-UTOPIA SALVIFICA
Cioran incarna ciò che la critica non vuole vedere. Egli loda il male, il vizio, la disperazione, le virtù del negativo in un mondo sublime e vibrante di speranza. Ma, sfortunatamente, Cioran non è di quelli che amano imbellettare la realtà, vestirla con una veste di gala tempestata di diamanti, d’oro e d’argento. È di quelli che preferiscono una bruta verità ad una meravigiosa illusione. Grazie alla sua scrittura, che considera come una scappatoia da una umanità angosciante e vuota, il filosofo ci descrive un’umanità sofferente e triste che si crede purtuttavia tanto bella quanto gioiosa. L’esistenza non è un bene; non è che un volgare errore che non porta altro che pesantezza e domande ridicole che l’uomo non può proprio sopportare. L’uomo deve prendere coscienza della sua condizione faticosa, vana e cupa:
Essere in vita – improvvisamente sono scosso dall’estraneità di questa espressione, come se non si applicasse a nessuno,
scrive nell’Inconveniente di essere nati. I pensieri di Cioran sembrano a priori dolorosi e disperanti. Tuttavia, essi sono salvifici, perché liberano l’uomo da un pesante fardello: quello di porsi la questione sul senso dell’esistenza umana. Tale domanda non ha proprio luogo di essere perché gli uomini sono nati per accidente, per una infelice colpa quasi sadica che li ha costretti alla disgrazia totale e alla vera angoscia strappando via tutto sul loro cammino. Non vi è alcuna ragione metafisica superiore o nobile al puro errore che costituisce l’esistenza umana.
L’uomo è de facto salvato dalla sua condizione ridicolmente e vanamente ambiziosa. Vivere non serve a nulla e danneggia l’umanità stessa nel senso che sarebbe molto più semplice e giusto darsi la morte piuttosto che dimorare in una continua ricerca ingenua immersa in una felicità assolutamente incompatibile con lo statuto contingente del mondo. Cioran rompe parallelamente con la tradizione secondo la quale gli uomini devono continuare a vivere per procreare e perpetuare la specie umana. In effetti, non dovrebbero avere il potere di proliferare perché, in primo luogo, ciò conferisce loro uno statuto di demiurgo che non meritano affatto a causa della loro bassezza d’animo, e, in secondo luogo, dal momento che la nascita è il più grande dei mali. Riprodursi in sì gran copia significa perpetuare un errore infame e insensato:
I genitori, coloro che si riproducono, sono dei provocatori o dei folli. Che l’ultimo degli aborti abbia la facoltà di donare la vita, di «mettere al mondo», – esiste niente di più demoralizzante? Come pensare senza terrore o repulsione a questo prodigio che fa del primo venuto praticamente un demiurgo? Ciò che dovrebbe essere un dono eccezionale tanto quanto la genialità, è stato conferito indistintamente a tutti: elargizione di un legame malvagio che squalifica per sempre la natura,
scrive in Pensieri strozzati. Pertanto, la vita umana non meria punto e non deve essere riprodotta e prolungata come da trazione. La ragione dovrebbe guidare l’uomo non tanto verso la vita e la longevità della sua specie, quanto più verso il non-essere, che è preferibile in nome del bene comune e di una felicità possibile nella morte, anzi, nel fatto di non nascere mai.
Esattamente come l’anti-eroe del Sogno di un uomo ridicolo di Dostoevskij, Cioran resta insensibile al preteso calore del mondo degli uomini, e trova più futuro nella non-esistenza piuttosto che nell’esistenza, nella morte piuttosto che nella vita. Il suicida ha più potenza che la vitalità stessa, nel senso che fa immediatamente cessare l’angoscia che suscita la continua ricerca esistenziale, come ben lo dimostra il personaggio principale di Dostoevskij:
Di colpo, in una di queste macchie nere, ho scorto una piccolissima stella, e mi sono messo a guardarla, fisso. L’ho fatto perché quella piccolissima stella mi aveva fatto sorgere un’idea: ho deciso di uccidermi quella sera stessa. Questa decisione, io l’avevo presa fermamente già da almeno due mesi e per quanto fossi stato povero, avevo comprato un bel revolver e, il giorno stesso, lo avevo caricato. Ma due mesi erano già passati, e il revolver è sempre rimasto nella sua scatola; ma tutto mi era talmente indifferente che avevo finito per voler morire proprio in quell’attimo che mi sarebbe sembrato meno indifferente – il perché di ciò, non lo so. E dunque, con questo pensiero, tutte le sere, rientrando in casa, mi ripetevo che sarei andato a farmi saltare le cervella. Aspettavo il momento giusto. E là, pertanto, improvvisamente, quella piccola stella mi aveva offerto la possibilità, e ho deciso così che quella notte era assolutamente il momento atteso. E perché quella piccola stella mi avesse dato questa idea, non ne avevo la minima cognizione.
Cioran e Dostoevskij così incarnano lo spirito slavo che concepisce una potenzialità di futuro nella morte più che nella vita che si compie abbandonandosi all’atto del suicidio in una ricerca ultima di senso: quello che scommette sulla soppressione di sé come modo di stare nel mondo mondo, di sentirsi infine vibrare in un’umanità che non ispira altro che tormento interminabile e assenza di senso. Insieme, mani nelle mani, scardinano le convenzioni letterarie e filosofiche grazie ad una scrittura netta e autoritaria. I loro pensieri si sovrappongono in un ideale più alto, nella ricerca del non-essere, perché preferiscono la verità ai simulacri della felicità e delle chiacchiere; piantano coltelli nell’ottimismo e trascinano i loro lettori nei flutti del Nulla per accedere al Tutto che lì si trova. L’ingenuità è rigettata come la peste. L’uomo non si realizza grazie agli onori o per la ricerca del bene, come nella tradizione filosofica che precede il pensiero di Cioran. No; l’ultima manifestazione della libertà si esercita nella scelta del suicido salvifico tutto a danno della vita, in precedenza posta su di un piedistallo.
Leggere Cioran, è amare la verità. Quella che preferisce essere un taglio sul vivo, piuttosto che una carezza. Quella che non abbraccia il lettore, ma che lo schiaffeggia. Non siamo obbligati a seguire il pensiero di Cioran, considerato da molti come radicale, financo pericoloso. Come che sia, vale la pena comprenderlo, rispettarlo e affrontarlo. La sua filosofia è terapeutica nel senso che permette all’uomo di vivere senza lacerarsi l’anima per dei supposti vincoli esistenziali, avendo piena coscienza che la morte, un giorno, lo salverà.






