ALIMENTAZIONE: FALSI MITI E INGANNI DEL MARKETING

Libro in 8 capitoli riguardanti quelli che qui vengono denominati falsi miti sull’alimentazione. Scritto dalle sorelle Milanese, Roberta e Simona, psicoterapeute.
Come segnala Giorgio Nardone nella prefazione “[l]’industria alimentare è la più potente al mondo” e muove “enormi interessi economici”. La ricerca scientifica in merito “è difficile, imprecisa e a volte contraddittoria” e proprio per questo “è possibile per l’industria alimentare selezionare informazioni isolate e presentarle come certezze assolute”. Tale è il cosiddetto fenomeno del “cherry picking“, cioè la selezione arbitraria di casi particolari per sostenere la propria posizione.
Le informazioni pubblicitarie circa i prodotti alimentari sono dunque “tendenziose e spesso scorrette”. Scopo del volume è fornire informazioni riguardo lo stato attuale della ricerca in ambito alimentare e “stimolare una riflessione critica e consapevole di quanto ci viene quotidianamente raccontato”.
I) Per dimagrire devo mangiare di meno
II) Il cervello ha bisogno di zucchero
III) I grassi fanno ingrassare
IV) Il colesterolo è un killer
V) Gli oli vegetali fanno bene
VI) Il pesce è meglio della carne
VII) Le uova fanno male al fegato
VIII) I falsi miti psicologici
Di questi, alcuni sono di seguito discussi.
I) Per dimagrire devo mangiare di meno (e consumare di più)
Per ogni problema complesso c’è sempre una soluzione semplice. Che è sbagliata.
Citando George Bernard Shaw in apertura, le sorelle Milanese contestano “l’equazione della calorie”, ossia l’applicazione in campo alimentare della “legge di conservazione dell’energia”. Un corpo umano, evidentemente, non è un sistema isolato a cui tale legge va applicata. Inoltre è arbitrariamente posto in rapporto il peso di un corpo come effetto del bilancio energetico.
L’energia introdotta viene misurata in calorie (semplice caratteristica del cibo come peso e volume). Fu Wilbur Olin Atwater, chimico e nutrizionista statunitense, a determinare tali valori energetici dei cibi, bruciandoli in una camera stagna (“bomba calorimetrica”), sul finire del 1800. L’utilità del dato si ferma a ciò che indica e nulla dice sul comportamento dei diversi cibi all’interno del corpo.
Le caratteristiche degli alimenti sono molteplici (durezza, fibrosità…) e al variare di queste varia la digeribilità degli stessi. Così come la cottura cambia talune caratteristiche. Dunque fare fede unicamente alle etichette nutrizionali risulta un metodo approssimativo, in quanto i valori indicati si basano su un sistema obsoleto e impreciso che non tiene conto di preparazione, masticazione, digeribilità e combinazioni alimentari.
Se dunque è difficile calcolare la quantità di energia in ingresso nel corpo, calcolarne il consumo di calorie è impossibile. I miliardi di reazioni chimiche che avvengono all’interno dell’organismo raccolte sotto il nome di metabolismo variano d’efficienza con la genetica, l’età, il sesso, le condizioni fisiche e mentali. Grande quantità dell’energia viene spesa con il metabolismo basale (necessario per il mantenimento in vita dell’organismo). Intervenire su questo in maniera diretta non si può, dunque si prova ad aumentare quello contingente con l’attività fisica. Tuttavia un corpo che aumenta i consumi ma non le entrate tende a riequilibrarsi tentando o di ridurre i consumi (infiacchendosi) o di ottenere le entrate (stimolando la fame). Solo in un secondo momento attinge alle riserve, ma a partire dalla massa magra, i muscoli. I grassi di riserva vengono aggrediti per ultimi.
La fame e i consumi dunque dipendono da precisi comandi ormonali e biochimici. Ed è opportuno notare quali ormoni influiscono sul peso:
- Insulina favorisce l’accumulo di grasso
- Leptina favorisce il senso di sazietà
- Grelina stimola l’appetito
- Ormoni tiroidei (T3 e T4) favorisce il consumo energetico
- Ormone della crescita favorisce l’accrescimento e il consumo della massa magra
- Cortisolo stimola l’appetito
Il metabolismo tende a mantenere stabile il peso e la massa grassa ottimali (set point). L’ingrassamento s’accompagna a uno sbilanciamento del metabolismo (per esempio per menopausa, problemi ormonali, assunzione di farmaci…), ma le calorie in eccesso permettono l’ingrassamento, non lo causano. Ossia “se il mio metabolismo mi spinge verso l’ingrassamento allora mangerò di più (mi verrà più fame) e consumerò di meno (rallenta il metabolismo basale)”.
Riguardo a ciò anche il celebre Minnesota Starvation Experiment, condotto da Ancel Keys, mostrò nei partecipanti, sottoposti a dieta di deprivazione, perdite di peso impreviste dalla teoria delle calorie. In sei mesi persero mediamente 16 kg invece dei 33 kg stimati. Ciò per lo sbilanciamento del metabolismo basale.
Se dunque la dieta ipocalorica ha poco senso, gli alimenti ipocalorici ne hanno ancor meno. Per esempio i dolcificanti artificiali stimolano i recettori del sapore dolce proprio come lo zucchero e quando vengono accolti nell’apparato digerente cibi accompagnati da bevande “light” questo è pronto per assorbire eventuali carboidrati ancor meglio visto l’effettiva mancanza dello zucchero. “Light” significa senza calorie, non dietetico-dimagrante e funziona come alternativa commerciale alle bibite non denominate “light”.
Se la comunicazione nel marketing delle industrie alimentari è funzionale ai suoi scopi, non si può dire che la divulgazione circa la ricerca scientifica in campo alimentare sia altrettanto efficiente. Al pubblico pervengono spesso messaggi fuorvianti. Ciò determina un problema, oltre che di peso, ovviamente di salute della popolazione. “Il cibo ha funzione plastica, funge da materiale da costruzione per la crescita e il rinnovamento cellulare: noi siamo letteralmente ciò che mangiamo“. In tale prospettiva è utile abbandonare “una volta per tutte il concetto di caloria andando verso quello di nutriente”.
III) I grassi fanno ingrassare
Se sapessimo esattamente quello che stiamo facendo non sarebbe ricerca.
Nell’indagine, di qualsivoglia tipo, ci vuole un po’ di serendipità nonché di disincanto. Quel che troveremo lo sapremo quando lo troveremo e può essere che sia una scoperta controintuitiva.
Citando Einstein, in apertura di capitolo, le Milanese forniscono poi qualche cenno di biochimica riguardo ai lipidi. I grassi presenti nel tessuto adiposo (“pannicolo”, grasso sottocutaneo e viscerale) provengono solo in parte dalla dieta, mentre in parte sono prodotti dal corpo a partire dall’acetil-Coenzima A, che si ricava da carboidrati, grassi, proteine e alcol. Dunque non è solo mangiando grassi che si aggiungono grassi al corpo.
In realtà che i grassi non facessero ingrassare costituiva l’ortodossia in materia di diete prima degli anni ’70, nei quali si verificò un cambio di paradigma con annessa promulgazione di linee guida anti-grassi da parte dei governi. La controversia scientifica sottendeva una questione politica, date le importanti ripercussioni economiche sulle industrie produttrici di cibi. Cereali, farine e legumi divennero i cibi ideali dell’umanità, seppur questa sia sopravvissuta per centinaia di migliaia di anni mangiando per lo più altro.
In ogni caso la diffusione della dieta low-fat portò al maggior consumo di alimenti ricchi di carboidrati. E se i prodotti privi di grassi e proteine non industriali hanno sì molti carboidrati ma anche molte fibre (che rallentano il picco insulinico e danno la percezione di sazietà), quelli industriali hanno molti carboidrati e poche fibre. In 40 anni di dieta low-fat la percentuale di obesi è triplicata. Se non può per ciò essere ritenuta certamente colpevole, sicuramente si può dire che non sia stata efficace.
Un altro problema sta nel fatto che con i grassi dal cibo viene tolto anche molto del sapore, che va riaggiunto sotto forma di zucchero (economico e anche un ottimo conservante) e sale, per renderlo appetibile.
Dunque piuttosto di escludere una categoria di nutrienti dalla dieta con inevitabile inclusione di alte moli delle altre sarebbe meglio tentare di comprendere meglio il funzionamento del metabolismo. “Bisogna lasciare che sia l’appetito a regolare la quantità di cibo, perché solo la qualità è essenziale” (William Banting).
IV) Il colesterolo è un killer, i grassi saturi i suoi complici
Se la teoria non si accorda con i fatti, tanto peggio per i fatti.
Un buona teoria da applicare alla natura tale da descriverla è d’uopo. E, salvo fare come il citato Hegel e negare il Noumeno per salvare l’operatività dello Spirito Assoluto, ogni ipotesi dev’essere ben congegnata prima oltre a essere correttamente verificata poi.
Forse non è il caso di Nikolai Anitschkow, scienziato russo, che nel 1913 parlò per primo dei danni da colesterolo dopo aver effettuato degli esperimenti in laboratorio su conigli, erbivori. Dopo la gaffe gli stessi esperimenti, stavolta compiuti su cani e gatti, non produssero lesioni agli animali.
Successivamente fu il già citato Ancel Keys, fisiologo statunitense e padre della “Teoria Lipidica” a scommettere sul colesterolo, ossia a ipotizzare che ci fosse una correlazione tra l’ipercolesterolemia e la quantità di colesterolo nella dieta. Tuttavia egli stesso dovette ammettere che anche quantità “tremende” di colesterolo nella dieta avevano un effetto “irrilevante” sul colesterolo nel sangue, nonché la presunta relazione tra dieta e colesterolemia “non meritava ulteriore considerazione”.
L’attenzione di Keys si rivolse allora sui grassi saturi. Negli anni cinquanta impostò uno studio epidemiologico su larga scala: il Seven Countries Study. Con esso si dimostrò una correlazione tra mortalità di infarto e consumo di grassi saturi. Tale studio fu tuttavia criticato, per esempio poiché campionando sette paesi diversi (tra i dati preliminari disponibili dei 22 paesi di cui si occupava inizialmente il progetto) si otteneva un esito addirittura opposto.
In ogni caso venne in linea di massima accettata la correlazione tra colesterolo e grassi saturi con le malattie cardiache, tanto che nel 1977 in USA ed Europa vennero emesse precise linee guida alimentari a ciò conformi.
Ma i biscotti al burro fanno male perché contengono grassi o perché contengono zucchero?
“Lo statistico è uno che fa un calcolo giusto partendo da premesse dubbie per arrivare a un risultato sbagliato” (Jean Delacour) ed “è il contagio che determina il destino di una teoria, non la sua validità” (Nassim Nicholas Taleb).
Al netto di queste teorie ve ne sono altre: “la restrizione dei grassi potrebbe avere conseguenze deleterie” (Knopp, 2005); “ridurre i grassi nella dieta sostituendoli con carboidrati e proteine non ha nessun effetto sulla mortalità” (Hoper, 2015); uno studio della rivista Lancet condotto su 135000 persone ha riscontrato un aumento della mortalità del 28% per diete ricche di carboidrati e una diminuzione del rischio del 23% per una dieta ricca di grassi; ecc…
Di certo reclamizzare sui prodotti “senza colesterolo” ha il solo fine di aumentare le vendite, in assenza di una qualche prova contro il colesterolo nella dieta e un metodo efficace e condiviso nell’incrociare i dati in vista dell’elaborazione di ipotesi in merito.
Il conflitto di interessi è evidente e tocca anche le case farmaceutiche; i livelli di colesterolo considerati normali vengono spesso abbassati in modo da prescrivere più farmaci a sempre più persone…
Alimentazione: falsi miti e inganni del marketing, R. Milanese e S. Milanese, Alpes Italia, Roma – 2018. Prefazione di G. Nardone. Pagine 113
“Naturalità dell’alimentazione”, Ottavia Boano Baussano, realizzato per la presentazione del libro a Passepartout en Hiver (16/02/2020), Asti, 2020 (Vedi articolo correlato qui)
Commentario
Ogni mito (μῦθος (mythos), parola, narrazione) ha innanzitutto da essere creduto e, con ciò, è anche dubitato. Tuttavia come ogni buon mito, che costitutivamente è un inganno, anche quelli concernenti l’alimentazione e i suoi effetti sono componenti necessarie dell’ethos (comportamento) dell’uomo. (Poiché la narrazione priva di temporalità e causalità/effettualità è ipnoticità tautologica in cui non appare comportamento alcuno, in quanto non vi sono individualità distinte, nominalmente, dallo sfondo in cui possano dirsi comportarsi).
Ogni mito che chi è investito del ruolo del parlante (o dello scrittore di etichette nutrizionali) racconta è sempre accordato al suo tornaconto. Poiché se così non fosse/è, colui al quale la parola è concessa perderebbe/perde tale diritto (l’autocelebrazione del proprio potere come parlante) a vantaggio di un altro parolaio (poiché prima di tutelare qualche verità di qualsivoglia tipo, si deve tutelare il proprio potere e interesse).
Tali parolai, che sono i segni e sintomi del potere che rappresentano, esercitano l’inganno dunque per tutelare il proprio interesse perché tutelano il proprio interesse.
Nondimeno gli ingannatori (consapevoli o no) necessitano degli ingannati. A questi vengono propinate le falsità, le parole (veramente false, falsità che sono) cui hanno da assuefarsi così come ai cibi che consumano.
E la matrice della falsità ha radici ben più profonde di quanto gli ingannati sospettino: l’unica dieta (δίαιτα (díaita)) che rimane è l’amore per la verità: la filosofia!
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@ILLUS. by OTTAVIA BOANO BAUSSANO, 2020