FANTASTICA OMOFOBIA

L’appropriamento della terminologia fantasy da parte di visioni politiche e sociali che ammiccano a una destra estrema, l’affetto che gruppi musicali più o meno folkloristici nostalgici della visione mussoliniana dimostrano per l’universo di Tolkien, le traduzioni dello stesso effettuate a partire dagli anni ’60 a opera di case editrici schierate a destra e, al contempo, l’abbandono da parte della sinistra, per alcuni decenni, di un genere del tutto snaturato, sono elementi che la storia della letteratura contemporanea si è più volte trovata ad analizzare.
Se si è ormai metabolizzato che il complesso del lettore affezionato ruota attorno a visioni date postume dell’autore, e se è vero che ‘gli artisti e i medici’ non dovrebbero mai essere conosciuti di persona, non si può nemmeno pretendere che l’innocenza del feticista fantasy sopravviva senza batter ciglio a voci politiche più o meno urlate.
Tolkien ha però, negli ultimi 20 anni, riacquistato la posizione di scrittore depoliticizzato che si meritava, ovvero, anche attraverso lo studio della sua bibliografia, si è compreso che la visione autoritaria del dictator e dei cadetti obbedienti sotto di lui, era un po’ riduttiva e infamante rispetto ai messaggi espressi nei testi, e fieramente sostenuti dai personaggi.
Oggi ci troviamo di fronte a un nuovo ostacolo per l’imparzialità del lettore Fantasy. Sono due donne, una italiana e una inglese, ad aver, seppure con toni e modi decisamente differenti, una al limite della follia grottesca, e l’altra con una freddezza celata da giustificato vittimismo, riaperto il calderone del Fantasy come bandiera politica.
Tralasciando la dicotomia classica, destra e sinistra, neri e rossi, e addentrandoci più direttamente alla varietà della società umana, che percorre trasversalmente gli schieramenti politici e li rende irrequieti, non si può fingere che in questo biennio il Fantasy non si sia rivolto in modo inaspettato all’universo lgbt* .
In Italia spicca Silvana De Mari, autrice della saga de L’Ultimo Elfo, le cui abilità oratorie quando si parla di omosessualità poco rendono giustizia alla scrittura fantasy. In bilico tra fanatismi religiosi e attributi mistici la scrittrice si è lasciata andare nel corso degli anni a paragoni quanto mai fantasiosi (e fin usurati) quali omosessuale-satanista. Il ragionamento della De Mari però, essendo lei anche medico, non si ferma a semplici analogie, ma, attraverso strampalate spiegazioni anatomiche arriva ad affermare che: «[i gay] si ammalano più degli altri perché usano il tubo digerente per far sesso». O ancora «tutti gli ex gay dichiarano di essere molto più felici da ex e molto più equilibrati». Per non rischiare di dilungarsi troppo nella trascrizione di frasi dall’eloquenza e dall’eleganza troppo fini per comuni lettori di blog, non si può non notare con un briciolo di amarezza che, la mamma di quel piccolo elfo, che solitario e sperso, vagava tra insidie e pericoli, alla scoperta di se stesso, del coraggio, della libertà, è la stessa persona che senza troppe remore attiverebbe un servizio di terapie riparative psichiatriche per parte dei suoi ex lettori, che, infanti, in quell’elfo vagabondo e abbandonato, si sono rivisti.
Decisamente più interessante è quando sono i personaggi stessi a prendere distanze dal loro creatore, ponendo il lettore e l’amatore in una condizione di dondolamento, tra persone e personaggi, narrazione e realtà, autore e lettore. È il caso dell’alchimista del fantasy contemporaneo, J.K. Rowling.
L’autrice di Harry Potter non solo ha accompagnato e segnato un paio di generazioni, ma ha anche istituito un nuovo culto, una setta di streghe e maghi dai doni della morte tatuati sui polsi e dalla passione per una parola: Always. Harry Potter (senza nulla togliere ad altre opere fantasy dell’autrice), è uno dei rari casi in cui i libri, dal successo pienamente meritato, sono stati riproposti sul grande schermo con un’abilità magistrale, a tal punto da aumentarne la fama, consacrandolo definitivamente.
E così la Rowling non solo crea personaggi letterari, ma consente al cast, definitivamente britannico, di crescere recitando in ben 8 film per un intero decennio, legando indissolubilmente le persone ai maghetti da loro impersonati. Capita quindi che quando la scrittrice, nel 2020, lega, in un tweet smilzo, l’essere-donne all’avere le mestruazioni, insinuando il dubbio che una transessuale non potrà aspirare al pieno raggiungimento della sua identità di genere, sono i suoi stessi ‘figli letterari’ a prenderne le distanze, Daniel Radcliffe, Emma Watson e altri membri delle quattro case, lo fanno pubblicamente, sollevando in un qual senso anche i loro personaggi dalle suddette affermazioni, riscattandoli.
Sarebbe decisamente maligno però lasciare che il paragone tra queste due autrici viaggi senza legenda; obbligatorio è quindi ricordare che, mentre la Rowling si sia schierata vicina a quella corrente TERF che da anni ormai agita le acque creando divari tra donne e donne, per una non chiarissima voglia di combattere una battaglia contro la violenza da sole, la De Mari non solo viaggia come una scheggia impazzita con teorie meta-scientifiche strampalate alla mercè di un ben noto e scarno partito politico italiano che nel nome riporta la parola ‘famiglia’, ma fa ben di peggio: non consente ai propri personaggi nessuno spiraglio alla redenzione, non essendo questi persone pensanti e con possibilità di replica.
Terminato l’articolo, chiuse le porte che avvicinano Rohan a Gran Burrone e Babbani a Mezzosangue, è doveroso riportare il nostro sguardo alla realtà, i cui dati, al di fuori di ogni illazione, ragionamento, e tweet, rimangono i seguenti: 164 vittime di omofobia nel 2020 in Italia e 350 vittime di transfobia nel 2020 nel mondo, omicidi in Italia: 42. Ovviamente, solo quelle registrate e riconosciute come tali.
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