IL 2020: SUL DOPPIO DOPPIO NON-1
Il 01/01/2020 è iniziato il 2020. Per tutti quanti.
L’inizio del conteggio degli anni sarà stato anche casuale o arbitrariamente posto (a partire dalla data di nascita di un tizio di cui il giorno di nascita non si sa, così come l’anno, né si hanno fonti concordanti sulla sua esistenza), ma sul conteggio si offrono diverse riflessioni.
Difatti, la convenzione dell’assegnare numeri di volta in volta crescenti alle rotazioni della terra intorno al sole a quelli che così vengono definiti anni è troppo importante per mantenere i riferimenti spazio-temporali per orientarsi operativamente nel Tutto.
Cosa ritenga il senso comune a proposito della realtà di tale conteggio è arduo a dirsi, essendo quello una generalizzazione non calcolabile, ma si può in merito, per amor di discorso, scommettere.
E allora si dica valido certamente il conto di giri completi intorno al Sole da parte della Terra, il quale sarà un numero finito intero (poiché se non è completo vale 0, se così si decide). Poiché se si assume che la rivoluzione della Terra intorno al Sole ha inizio e fine, allora il numero di giri non sarà infinito e dunque sarà anche quantificato (anche se difficilmente quantificabile dall’uomo).
Tuttavia il conteggio operato dagli umani non ha lo scopo teoretico di quantificare i giri, bensì quello pragmatico di mantenere i riferimenti, come si è detto. Ed è appunto scansionare il tempo che interessa.
In merito alla scansione del tempo il senso comune assume (probabilmente, perché così è insegnato) che quello, il tempo, non abbia realtà propria e così nemmeno il suo essere divisibile. Tale divisione, quale che sia, in anni come in secondi come in periodi di castità, è infatti da dirsi nominale e non reale almeno per prudenza. Poiché, con buona pace di Aristotele e Newton, ciò non è né esperito né coerentemente pensabile dall’uomo. (Il tempo per Aristotele è, innanzitutto, la misura del cambiamento, ma questo, il cambiamento, non è un dato empirico né è pensabile).
Probabilmente, poi, almeno i più penseranno che ciò che l’entità nominale tempo lascia dietro di sé trascorrendo (il passato) non rimanga presente. Poiché nel presente vi è il presente e il passato è costituito (nel presente) da ciò di cui di esso ci si ricorda/racconta, tale che quello possa trasmettere (nominalmente) i propri effetti. Se il ricordo del passato finisce nell’oblio della dimenticanza esso non avrà tradizione in alcun presente (altro) o futuro.
Dunque se così è allora è già presente, liminalmente o meno, nella logica di tutti quanti il discorso che considera convenzione il conteggio degli anni (la divisibilità/molteplicità dello spazio-tempo). Difatti una volta uscito dal presente, il presente non è più presente e finisce nell’insieme di cose che si dicono non-presenti.
Tra questi vi sono passati e futuri, posti lontani, ma anche anime/menti altrui.
Pronunciarsi sul non-presente è ufficio della speculazione metafisica, la quale così, in estrema sintesi, si divide:
- Gli uni, i filo-sofi, amanti di Sofia, La pensano come reale e dunque sono costretti in virtù di tale presupposto ad assegnare a quella Scienza Eterna di Tutto, tale che Sofia sia 1, Essere, Dio. Indivisibile, Immobile, Immanente. In tale prospettiva i non-presenti sono solo relativamente non-presenti, ma, in sé, presenti e piuttosto altrove locati. Ciò poiché l’Universo nell’avere scienza eterna di sé, ossia dei suoi infiniti aspetti in atto (solo nominalmente molteplici poiché facenti parte di quella sostanza semplice che l’1 è), deve alternare eternamente coscienza liminale e coscienza subliminale, poiché apparendo Tutto insieme non apparirebbe e non apparendo non avrebbe aspetti e senza aspetti sarebbe un nulla formale (incompatibile col dato empirico). Tale è il modello “Essere è”, auto-nomo, comprensivo.
- Gli altri, i mistero-fili, amanti dell’ignoto, delle contraddizioni e, conseguentemente, delle azioni drammatiche (μυστήρια (mysteria)), pensano alcuni non-presenti come assolutamente non presenti, tale che il tutto sia incomprensibile, perché assunto come non coincidente con sé stesso, e dunque non-1. In questa prospettiva tutto può apparire salvo poi sparire sempre, senza tuttavia che appaia la sparizione. Tale è il modello “panta rei“, etero-nomo, non-comprensivo.
I filosofi necessariamente giungono ad affermare il modello “Essere è”, semplice e facile da dimostrare, coerentemente col presupposto che gli si dà sul quale speculare. Ossia comprendere l’esistenza, la vita, la verità o quale che sia il nome che gli si assegna. Poiché “com-prendere” significa mettere tutto insieme e fare 1. Ed ecco l’1 servito o meglio: “Siate servi dell’1!”
Tuttavia molti umani reputano questa soluzione insoddisfacente e chiedono una comprensibilità non così esigente. Dato l’immediato congedo dei filosofi da tale ricerca (che parte con presupposti incompatibili: necessità e caso) è ai misterofili che si chiede.
E con ciò il discorso giunge al punto che ne costituisce il nucleo e ne determina il titolo. L’assalto all’1 è propedeutico alla costruzione del modello del non-1, del panta rei, tale che sia logicamente funzionante.
Assunto che un discorso debba tentare di essere comprensibile per non essere solamente un filotto di parole, quale discorso può azzardare una teoria del tutto dinamico?
Sarà il 2020 l’anno del doppio assalto doppio all’1 da parte dei numerini che gli stanno più vicini, infingardi, ma che forse stanno attendendo solo il momento giusto?
Il modello del non-1, che si propone di affermare la Realtà dei molti (numeri), riabiliterebbe, però in qualche modo il discorso sulla Realtà del tempo.
Difatti, mentre Gottlob Frege dice che “il tempo è solo un’esigenza psicologica del contare, ma non ha nulla a che fare con il concetto di numero” (Die Grundlangen der Arithmetik 1884, p.53) virando su un nominalismo, i numeri e la dinamicità realmente intesi pare richiedano necessariamente un rapporto con il tempo. Poiché per far fronte all’ipotesi del tutto come unità formale dei molteplici, che li ingloba in un unità simultanea, è necessario che qualcosa per accadere accada in un quando (ciò non implica l’ipotesi di un tempo uniforme).
In tale prospettiva, come dice Piero Martinetti vi è un “parallelismo costante della forma del tempo e del numero”. Non è compito del linguaggio (arcaico) del filosofo discorrere del numero, bensì del matematico, misterofilo metodico, che può legittimare il “tentativo di ridurre il numero all’espressione astratta del sistema di relazioni, in cui si esprime l’attività sintetica della forma del tempo” (Martinetti).
L’assalto all’1 ovviamente non è un combattimento con Quello, ma con i suoi difensori, i filosofi. Poiché qualora questi si sbagliassero, l’1 sarebbe un nome e non una realtà.
Il numero e i numeri infatti sono la negazione dell’1. La disputa è metafisica e vuole porre il modello degli sconfitti nell’inesistenza eterna.
Tale disputa, però, è tra il discorso che afferma l’Essere e il discorso che, affermando la realtà (eternità) non dell’Essere ma di altre entità plurali, Lo nega; tra ontologia e una forma di meontologia.
In tale prospettiva non può essere pensata distanza più grande tra ontologia e matematica.
L’1 è l’Essere parmenideo onni-sciente, onni-presente e onni-attuale. Sostanza semplice pluri-determinata che non conosce indeterminazioni. I numeri, invece, sono entità eterne incoscienti, tutori della dinamicità (totalmente stocastica o meno, qui non si discute di ciò), che rendono tutto ciò che appare effimero e contingente, ma non inemendabile.
I numeri (quale che sia la loro realtà) devono essere inconsapevoli di sé come di ogni aspetto. Devono essere atomici (indivisibili, immutabili) per essere reali ed eterni. Devono essere eterni per essere veri, sostenendo l’eternità del panta rei, legge sostanziale che impone alla forma di mutare indefinitamente condannandola alla divergenza da sé stessa (poiché non ha/è identità, non è realtà). Non possono mostrarsi, perché nell’apparire apparirebbe la loro apparizione e non loro. L’aspetto di un ipotetico numero apparso non è da considerarsi attributo di quello, poiché esso, il numero, è obbligato a distinguersene per essere eterno, poiché guadagnando attributi li otterrebbe temporalmente e contingentemente ottenendo anche il mutamento che lo renderebbe non identico a sé stesso e non vero.
I numeri poi devono essere plurali, poiché se non lo fossero il numero sarebbe 1. Un 1 che non avrebbe con chi entrare in conflitto, rendendo l’apparizione non mutante pertanto eterna. E ciò è quello che ipotizzando la teoria del tutto dinamico fondata sulla realtà dei numeri si voleva evitare!
Nondimeno lo scontro tra gli eterni insensibili (che sia perlomeno un po’ casuale, sennò è inutile tutto il ragionamento) dove e quando va in scena?
P.S. Il 2 è tanto assente nell’esperienza quanto lo 0, essendo che ciò che appare è 1. E non bisogna, come dice Eraclito, prestare ascolto al Logos per sapere che tutto è 1. Piuttosto basta guardare ciò che appare, ossia sempre un’unica mente/anima, in cui le determinazioni s’alternano (e costituiscono quell’anima). Tali determinazioni non possono mai essere considerate reali (reali in sé stesse), perché se lo fossero ciò che appare sarebbe la loro apparizione, mentre la realtà di quelle verrebbe spostata oltre. Reali sono le determinazioni che appaiono se considerate come aspetti dell’1 (cfr. Oggetto e Cosa). Nondimeno se anche considerata reale l’apparizione e gli oggetti come aggregati, quegli oggetti posti sotto analisi non mostrerebbero qual è la sostanza semplice atomica ed eterna prima e ultima che costituisce tali oggetti composti (cfr. Analisi, Axios e Meroi): quelli che si definiscono atomi sono anch’essi dei composti, gli elettroni i protoni e neutroni hanno sotto di sé i quark, che esistono (o sono rilevabili) solo come costituenti degli androni. Tutto il Modello Standard riceve maggior con-sistenza grazie al bosone di Higgs (la cui presenza va dedotta e registrata dallo studio dei suoi prodotti di decadimento), il quale associato al suo campo, conferisce massa alle particelle elementari. Sia così o no si è già ben distanti dall’apparizione mentale che si ferma alla polvere. Polvere che è energia indistinta dal resto (nell’essere presente). Ciò forse perché il cervello è vivo mentre pensa e quindi fornisce un’apparizione. Conoscendo sé stesso come positività il cervello riconoscerà di non conoscere la negatività sospettando dell’esistenza di quella (ossia dell’inesistenza dell’esistenza). Eliminando l’inesistenza penserà il Tutto come Eterno. Se ergo da ciò ci si vuole spostare serve un discorso che usi un linguaggio diverso da quello umano: ossia uno non fondato sulla dicotomia Essere/Nulla e sulla differenza relativa (nominale), tipo, forse, quello matematico…
Citazioni di Frege e Martinetti tratte da Il Numero, breve saggio di P. Martinetti (1872-1943), pubblicato da Castelvecchi, Varese – 2015.
Per argomenti simili si consulti anche qui (Philosophy Kitchen e il discorso mostruoso).
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@ILLUS. by JOHNNY PARADISE SWAGGER, 2020