ISTANTE

«L’istante. In verità questo sembra il significato della parola “istante”: ciò da cui partono i cambiamenti nelle due opposte direzioni. Non è infatti dall’immobilità ancora immobile, né dal movimento ancora in moto, che c’è il mutamento; ma è questo istante dalla straordinaria natura, posto in mezzo (μεταξύ) tra movimento e immobilità, e che non è in alcun tempo, ciò verso il quale e dal quale quanto si muove muta nella quiete e quanto è fermo muta nel movimento».
[Platone: Parmenide – Rusconi, Milano 1994 – a cura di Giovanni Reale – 156 d,e – pag. 185]
«L’istante», τὸ ἐξαίφνης, è ciò che «all’istante», ἐξ + αἴφνης, subito, αἶψα, vale a dire quel frattempo nel cui frattempo, μετά + ξύν, le due forze in gioco, Uno e Molti, si scambiano il loro stans: in + stante, seduta stante. Anche nello Zarathustra di Nietzsche l’istante è l’attimo in cui tempo ed eternità trapassano l’uno nell’altra. Frattanto, mentre Lui pensava all’istante, immantinente un altro paziente trapassò: il suo cuore si era fermato. E Lui pensava:
Tra la vita al di qua e la vita al di là, ci sarà un istante in cui, come in una zona franca, uno possa godersi la libertà di non essere né al di qua né al di là? Un istante in cui l’al di là non è ancora e l’al di qua non è più…
L’istante è il tempo di Nessuno. È il momento senza tempo in cui Qualcuno non è più, in cui Tutti non sono ancora. L’istante è il non-tempo frapposto nel mentre che uno non è più Qualc-uno e non è ancora Nes-suno. L’istante avviene intanto che il tempo è spirato e l’eternità non respira ancora.
È quello il momento in cui bisogna evadere: lì Lui non ci vede, quello è l’unico istante in cui Lui ci perde di vista; bisogna sfuggirgli mentre siamo in quell’istante, se ci riusciamo, la nostra anima è salva: non più in vita al di qua e non è ancora in vita al di là. La sospensione dell’essere forse è in quell’istante: l’istante del trapasso, l’attimo della mutazione ontologica. È in quell’attimo che noi possiamo, forse, impedire al ‘non essere ancora’ di diventare ‘essere per sempre’: forse è lì, il nonessere, nell’istante in cui il per sempre non è ancora e l’essere non è più.
Nel non-essere-più del tempo Qualcuno può diventare finalmente Nessuno? L’istante del nonessere forse è la zona d’ombra in cui non siamo più ‘in noi’ e non siamo ancora ‘in Lui’: in quel momento l’anima non è più nel corpo e non è ancora nello spirito. Forse, la libertà di non essere sta nella capacità di evitare lo spirito dopo aver perso il corpo? L’anima è braccata tra spirito e corpo, esce dall’uno per entrare nell’altro: lo spirito è pericoloso, perché fa riprendere il corpo! Se uno evita lo spirito la sua anima se ne resta senza corpo nel nulla del nonessere.
È nell’istante, che uno esce dall’al di qua dei Molti per entrare nell’al di là dell’Uno, dove Lui è Tutto. L’Uno è l’al di là dei Molti e i Molti sono l’al di qua dell’Uno. L’istante è la zona di confine sulla cui linea nessuno ha giurisdizione, la linea di confine è la linea di demarcazione che fa da frontiera tra i due regni che si spartiscono l’essere umano: l’al di qua e l’al di là. L’istante è terra di Nessuno: lì ‘nessuno comanda’ perché ‘Nessuno non comanda’. Lì uno la fa franca, perché quella è zona franca. Il totalitarismo del nonessere è anarchia, quello dell’essere è dittatura. Al di qua il carcere della vita terrena, al di là quello della vita celeste: è nell’istante in cui passiamo da un carcere all’altro, che forse possiamo evadere; evadere restando ben nascosti, dove le guardie carcerarie dell’al di qua non possono più nulla e quelle dell’al di là non possono ancora niente.
Quella è la vera cella di sicurezza: quella in cui il controllo della polizia penitenziaria è nullo; solo nel nulla atemporale dell’istante uno può ridurre al niente la vigilanza ferrea delle guardie ontologiche. È nell’istante del trapasso, che angeli e demoni si contendono la proprietà della nostra anima: il contenzioso avviene “in coscienza”, ma solo l’incoscienza del nonessere salva dal procedimento giudiziario che Lui vuole avviare: il rischio di finire sotto le grinfie del suo codice penale basta per giustificare la volontà di latitare nel nonessere. Nel nonessere stanno i latitanti, quelli che sono riusciti a sottrarsi alla giustizia divina.
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