LA NECESSITÀ DELLA MORALE – PARTE II

3) Il Problema delle leggi
La critica successiva che voglio esporre in questo primo articolo è quella che io chiamo la fallacia della contrapposizione delle leggi.
I sostenitori di questa teoria pensano, spesso implicitamente, che la moralità debba essere strettamente collegata all’insieme giuridico di leggi che governano un determinato paese. Dunque, la moralità non può avere uno sviluppo autonomo da parte dell’individuo ma invece deve assumere uno stretto collegamento con l’insieme legislativo di un determinato paese.
Vi sono molti pericoli che a parer mio possono effettivamente discendere da questa determinata teoria. In primis vi è il pericolo, credo quello più grande, di un implicito sostegno nei confronti dello stato etico, ovvero uno stato che abbia in sé stesso, in quanto tale, l’autorità di imprimere all’individuo la direzione morale da seguire per quanto riguarda le sue azioni. Il pericolo che questa concezione dello stato porta con sé è un’evidente ricusazione dei principi democratici concernenti la libertà di espressione e la libertà di azione nei limiti di ciascun individuo; si può oltretutto considerare come questo tipo di stato è presente tutt’oggi nel nostro mondo, alcuni esempi ne sono la Cina e la Corea del Nord. Inutile dire, dinnanzi a questi stati, quali particolari malesseri per lo sviluppo e la conservazione di una società possa portare un’entità tale che si sovrappone totalmente alla moralità dell’individuo.
Anche se comunque non si volesse presupporre uno stato etico che governa la moralità di ciascun individuo, la valutazione che spesso, in modo poco accorto, viene fatta dall’intuizione comune è quella di comparare la moralità di un individuo nei confronti delle leggi, prendendo quest’ultimo elemento come necessariamente concernente le azioni morali di un individuo nella totalità dei casi. Si può benissimo dimostrare come questo metro di paragone non sia attuabile poiché i rapporti tra moralità e leggi sono perlopiù complessi. Approfondiamo un attimo il rapporto che vi è tra i due insiemi, quello della moralità e quello delle leggi.
Noi sappiamo perfettamente che, come già visto in precedenza, l’insieme delle norme giuridiche non può determinare la moralità di un individuo poiché altrimenti si rischierebbe il pericolo dello stato etico. Dunque, necessariamente da questo consegue che l’insieme della moralità non deve essere un sottoinsieme di quello delle leggi. D’altro canto però, l’insieme delle leggi deve avere necessariamente una relazione con quello della moralità, poiché le leggi hanno la caratteristica di essere l’espressione delle basi morali di un popolo, dunque esse dovranno avere un rapporto di qualche tipo con la moralità. Ma se, però, questo rapporto non può essere quello di un insieme che include al suo interno quello della moralità, e se i due gruppi (Moralità (M) e Leggi (L)) dovranno avere una relazione tra di loro, dunque capiamo che l’unico rapporto possibile è che L (l’insieme delle leggi), sia un sottoinsieme di M (l’insieme della moralità), perciò si arriva alla conclusione, giustificata dalla natura stessa delle leggi, che quest’ultime saranno semplicemente un sottoinsieme, ovvero una parte che discende da un insieme più grande, nient’altro che quello della moralità.
4) Il Pericolo dell’egoista
Infine, un’ultima critica che vorrei analizzare è quella che presuppone, dato l’attributo nichilistico che viene giustificato in precedenza, che l’individuo non debba di conseguenza assumere nessun atteggiamento morale orientato ad un ragionamento se non quello che egli stesso compie.
Purtroppo penso che, nonostante la morale sia una costruzione arbitraria umana, nella scelta di orientare verso un determinato percorso la sua azione l’individuo debba per forza rifarsi ad un’autorità intellettuale di qualche tipo. Vi è però una precisazione da fare, con questo non si vuole sottoporre l’individuo ad una rigida e ferrea personalità morale che orienti ogni aspetto della sua azione, altrimenti si avrebbero effetti simili a quelli dello stato etico, ma invece quello che si vuole proporre in questa sede è l’adesione, da parte dell’individuo, a determinati connotati filosofici e ad un ragionamento di tipo logico a cui egli difficilmente può attingere dato l’impegno intellettuale non ad un costo proponibile a tutti, difatti esprimibile da una determinata autorità in campo etico.
Dunque l’individuo, tramite la conoscenza di questo tipo di nozioni, usabili anche in modo non dogmatico, può effettivamente dirsi un individuo che dal punto di vista morale è libero, in quanto la barbarie della presupponenza egoistica e mancante di ragionamento viene espulsa da lui per successivamente incentivare il ragionamento filosofico-logico, l’unica catena che rende libero l’uomo.
5) Analisi del rapporto tra ontologia e metafisica
Un ragionamento che ritengo di dover approfondire in quanto non è propriamente una critica ad una branca della filosofia ma è invece un accorgimento necessario, tratta del rapporto tra metafisica e filosofia morale.
In passato molte teorie morali hanno sostenuto determinate posizioni in base non tanto ad un processo di giustificazione, che rappresenta perlopiù la prospettiva odierna, ma in base ad un processo di fondazione, che si rivela essere un approccio completamente differente alla filosofia morale. La domanda che converrebbe porsi in questo caso può essere : “Dove finisce la metafisica e dove comincia invece la filosofia morale?”.
Come già accennato, in passato, per quanto riguarda alle filosofie morali, si guardava perlopiù ad un rapporto di fondazione ontologica, in quanto si presupponeva che dalla singola analisi filosofica di un determinato oggetto (l’uomo) potesse effettivamente discendere logicamente una teoria morale adatta per il genere umano. Purtroppo però l’avanzamento filosofico recente, con le critiche svolte alla metafisica (che non si possono analizzare in questa sede), ha messo in una posizione piuttosto grave il rapporto ontologia-etica: non a caso, come citato poco fa, l’etica è passata perlopiù ad un panorama giustificativo, data l’impossibilità e la distanza che le teorie metafisiche lasciano sentire nei confronti dei comportamenti umani. Perciò in questo nuovo panorama le norme morali non deriverebbero dalla domanda “che cos’è l’uomo?” ma da “cosa logicamente sembra argomentare meglio una determinata scelta per l’uomo?”.
Su questo rapporto sicuramente vi è da considerare il fatto che potenzialmente la speculazione metafisica può divenire uno spazio controllabile in maniera teorica, a causa della natura stessa della materia, da un individuo intento a imporre un determinato comportamento su coloro che si affidano alla sua autorità per orientare la propria azione morale. I rischi possono effettivamente presentarsi, ed oltretutto ci si può chiedere anche se in passato nella storia di questa materia non sia successo che delle teorie metafisiche siano state create ad hoc per favorire un determinato comportamento morale piuttosto che un altro. Con questo, nonostante riconosca questo problema, non voglio assolutamente né denigrare l’ontologia come materia e nemmeno ricusare il suo ruolo nella formulazione di una qualsiasi teoria etica, proprio perché vi è secondo me, nonostante questo punto critico, un ruolo che l’ambito in questione deve assumere nella morale. Di sicuro questa materia non potrà avere la proposta di determinare completamente l’ambito morale, altrimenti peccherebbe di hybris, ma essa potrà comunque modificare l’esito di una dottrina etica stabilendo non solo un’antropologia e perciò dicendo quali siano le caratteristiche principali di un essere umano, ma anche stabilendo una determinata immagine dell’ambiente in grado di definire, nella parte ecologica, il paziente morale con cui noi entriamo in rapporto.
Pur sempre però, l’ambito di indagine della metafisica non deve essere totalmente costitutivo della formulazione di una teoria etica, perciò ritengo necessario dare uno spazio di azione alla parte giustificativa dell’etica, laddove gli assunti metafisici non risultino di necessaria considerazione. Precisiamo oltretutto, arrivati dunque a questa posizione mediana tra i due approcci differenti alla morale, che l’approccio giustificativo deve funzionare perlopiù tramite l’uso della logica dianoetica, dunque di concatenazioni di passaggi e di conseguenze, escludendo la vile retorica e qualsiasi materia che possa far finire nella barbarie della propria volontà egoistica il comportamento di un individuo. Un esempio adatto propone che la logica abbia lo stesso ruolo dei tappi alle orecchie e delle funi legate all’albero della nave di Odisseo mentre egli incontra le sirene. Questi elementi (paragonati con la razionalità dianoetica) tengono fermo l’individuo nei confronti delle adulazioni e dei falsi complimenti di quelle che sono i mostri marini (la ricusa delle condizioni logico-formali ed il successivo assoggettamento alla propria volontà gretta e meschina), così da attraversare il corso della sua vita seguendo la retta via.
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