NATURALITÀ DELLA CULTURA E CULTURALITÀ DELLA NATURA
Un tempo considerate come domini autonomi e sovrapposti, intese entrambe come entità indiscutibili e dotate di esistenza, «natura e cultura vedono invece oggi sottolineato il loro carattere di “costrutti culturali”» (Remotti, 2014, p. 46). Per giungere a tale conclusione, occorre fare un passo indietro nel tempo e tornare al 1949, anno di pubblicazione della prima edizione di Les structures élémentaires de la parenté di Lévi-Strauss (Lévi-Strauss, 2002): in questo periodo la cultura, seppur distinta dalla natura, era concepita alla stessa stregua, ovvero «un livello di fenomeni inscritto nella realtà delle cose: la stessa distinzione dalla natura era indice e prova dell’esistenza “naturale” della cultura» (Remotti, p. 46). Ma già nella seconda edizione dell’opera levistraussiana del 1967, l’autore nota come le linee di confine tra i due domini, in precedenza ritenute nette, precise e inequivocabili, fossero in realtà molto più sfumate e incerte: linguaggio e simbolismo, ad esempio, sono fenomeni che sempre meno possono essere accreditati alla mera cultura umana, come osserva Remotti in Cultura. Dalla complessità all’impoverimento (Ibidem).
Claude Lévi-Strauss, etnologo e antropologo
Di conseguenza, iniziò a prevalere maggiormente l’idea che le cornici che delimitano le due aree, anziché essere date e, quindi, osservabili direttamente nella realtà, «sono incise culturalmente e di volta in volta tracciate a seconda delle prospettive prescelte» (Ibidem). In altre parole, natura e cultura sarebbero «oggetti teorici» (Ibidem): il che non significa, ovviamente, che i contenuti a cui si riferiscono non siano esistenti, ma che i fenomeni studiati, quindi osservabili, si trovano a essere classificati in categorie culturalmente elaborate, le quali, a loro volta, sono esiti di scelte intellettuali e di vere e proprie prospettive scientifiche. Decisioni che sono spesso riconducibili a conflitti di idee e posizioni, «i cui esiti si sedimentano a volte molto a lungo nella storia: a tal punto che per noi è estremamente difficile staccarci da categorie e da opposizioni concettuali in cui si è formato in gran parte il nostro pensiero» (Ibidem).
Tuttavia, secondo Remotti, la distinzione natura/cultura è attualmente dominante e non si tratta soltanto di approcci diversi, di appartenenza a istituzioni separate, ma anche di incomunicabilità, di assenza di scambi e di dialogo, come se scienze naturali e scienze culturali si occupassero di oggetti del tutto eterogenei.
In questo caso l’alleanza (tra scienze naturali da un lato e scienze della cultura, o socio-umane, dall’altro) risulta probabilmente assai più incerta che altrove: è come se su questo punto specifico – l’“uomo” (in sostanza l’argomento per l’uomo stesso di maggiore interesse e di maggiore coinvolgimento) – la «frammentazione cognitiva del mondo» in blocchi discreti e anzi la «spaccatura» tra i due tipi di sapere (v. Gallino, 1992, pp. IX-X e 6) si rendessero più gravi e problematiche, tali da produrre altri motivi di sospetto sulla validità intrinseca e quindi sulla perpetuità di un’impostazione classificatoria natura/cultura troppo rigidamente fissista (Ibidem).
In Età Moderna, periodo dell’organizzazione del sapere scientifico, il primo oggetto a essere ritenuto come propriamente scientifico fu la natura: Bacon, Galilei e Descartes non ebbero dubbi nel conferire priorità epistemologica alla conoscenza del mondo naturale, relegando, di conseguenza, il mondo sociale, relativo a costumi, avvenimenti e linguaggio, in una sfera di importanza secondaria, della quale era necessario diffidare e liberarsi per accedere a una conoscenza più “pura” dell’ordine naturale. In questa prospettiva, la natura si configura come un sistema ordinato, fatto di leggi rigorose e di relazioni stabili; la cultura, invece, appare caratterizzata da variabilità, instabilità e incertezze, che fanno sì che tale ambito goda di scarsa dignità scientifica, «inserito com’era in una gerarchia che si traduceva in un’esplicita esclusione delle “scienze umane” dalla “repubblica delle scienze”, dominata dalle scienze della natura con a capo una filosofia che poneva al centro della sua riflessione l’ordine della natura piuttosto che la società o la cultura» (Ibidem, p. 47 sg.).
Per accedere alla “repubblica del sapere scientifico”, le scienze storiche e sociali compirono un secolare processo di sistematizzazione dei propri contenuti, il cui primo obiettivo dovette essere la dimostrazione di un ordine esistente sia nella storia, sia nella società. Nella seconda metà dell’Ottocento, Tylor, il cosiddetto inventore della “scienza della cultura”, ovvero dell’antropologia culturale, riteneva fondato sostenere che «i nostri pensieri, le nostre volontà e le nostre azioni si conformano a leggi altrettanto determinate quanto quelle che governano il moto delle onde, la combinazione degli acidi e delle basi, la crescita delle piante e degli animali» (Tylor, 1871, p. 6). Nel Novecento, poi, Murdock non esitava nell’affermare che la struttura sociale è dotata di «proprie leggi naturali», le quali regolano le «permutazioni e combinazioni» dei suoi elementi «con una precisione poco meno soddisfacente» di quella degli atomi e dei geni (Murdock, 1971, p. 158). Lo strutturalismo del XX secolo, sia nella versione di Radcliffe-Brown, sia in quella di Lévi-Strauss, in effetti, fu un tentativo di avvicinamento dell’antropologia alle scienze naturali, una richiesta di legittimazione “scientifica” dell’antropologia sociale, interpretata come una «scienza naturale della società umana» (Radcliffe-Brown, 1948). Occorre, tuttavia, soffermarsi sul fatto che la nozione di “cultura”, nonostante la definizione tyloriana, svolgesse un ruolo subalterno, quasi fosse di ostacolo ai tentativi di assimilazione delle scienze umane alle scienze naturali. Infatti, nel vocabolario concettuale di antropologi e scienziati sociali tale concezione mostrava una resistenza pronunciata all’ordine rispetto a quella di natura. Su questo punto, tra Ottocento e Novecento, le scienze umane oscillarono in modo piuttosto contraddittorio tra due strategie divergenti.
Chiamiamo la prima strategia “A”: essa era volta a dimostrare che le scienze umane sono anch’esse scienze allo stesso titolo delle scienze della natura, poiché è unico il modus operandi, ovvero quello scientifico. In questo caso, si preferisce ricorrere alla nozione di società al posto di quella di cultura, in quanto risulta più agevole «interpretare la società come dotata di strutture in qualche modo autonome rispetto alle azioni degli individui e caratterizzata da funzioni che prescindono dai significati che gli stessi individui conferiscono loro» (Remotti, p. 48 sg.). In prospettive come il Positivismo, il Funzionalismo e lo Strutturalismo la cultura ricopre un ruolo secondario, mentre, invece, sono favorite definizioni come “struttura sociale”, che assicurano un avvicinamento più deciso alle scienze naturali. Le scienze umane, così, vengono tradotte in applicazione dei metodi d’indagine scientifici alla realtà storica e culturale dell’uomo.
Vi era, poi, una seconda strategia, che battezziamo con la lettera “B”. Essa corrisponde alla rivendicazione esplicita dell’autonomia delle scienze umane, interpretate come «scienze dello spirito o della cultura» (Ibidem, p. 49). Non c’è la volontà di attenuare i contrasti, anzi, si vuole accettare e accentuare la differenza tra sapere umanistico e scientifico, affermando che esistono due tipi di indagine ben distinti. Come è parso evidente con lo Storicismo tedesco, «l’obiettivo non era quello di entrare nella repubblica delle scienze già occupata dalle scienze naturali facendo proprie le loro caratteristiche di fondo, bensì di rivendicare la possibilità di una configurazione autonoma, di una repubblica a parte» (Ibidem). In questo caso, la nozione di cultura è preminente: il suo carattere oppositivo, rispetto alla natura, diviene giustificazione dell’autonomia delle scienze che la assumono a oggetto. Di conseguenza, si privilegia la ricerca del particolare, delle differenze, dei significati; n’è un caso emblematico il pensiero di Geertz.
Remotti avverte di «evitare una visione bipolare che fissi le due alternative ora enunciate (A e B), con le scienze umane continuamente indecise o alternativamente oscillanti tra un programma di avvicinamento e di assimilazione alle scienze della natura (A) e un programma di rivendicazione di una propria peculiarità e autonomia (B)» (Ibidem). Recentemente, infatti, si è venuta a delineare una terza posizione, che rinominiamo “C”, grazie alle analisi di filosofi ed epistemologi condotte sulle conquiste e sulle modalità di mutamento del pensiero scientifico. Lungi dall’apparire come lo specchio fedele della natura, la scienza viene ora interpretata come «un’impresa collettiva» (Ibidem) che opera attraverso l’elaborazione e la condivisione di paradigmi, ossia schemi mentali che guidano e orientano la ricerca e la raccolta dei dati, come sostiene Kuhn in The Structure of Scientific Revolutions (Kuhn, 1962).
The structure of Scientific Revolutions, ed. orginale 1962
Secondo il filosofo, la situazione delle scienze sociali è, talvolta, “pre-paradigmatica” rispetto a quella delle scienze naturali, poiché nelle prime sussiste un alto tasso di incertezza su obiettivi e metodi, mentre nelle seconde la presenza di paradigmi garantisce un ordine maggiore e, dunque, maggiore efficacia e operatività (Ibidem, p. 18). Tuttavia, come si è detto, i paradigmi sono schemi mentali, avvicinabili alla nozione di cultura prevalente nelle scienze umane: non sono il rispecchiamento della natura; sono, invece, per Kuhn, «il prodotto di scelte di orientamento generale che si verificano – e che di solito competono tra loro – nella storia delle comunità scientifiche» (Ibidem). Inoltre, a causa della loro convenzionalità, anche i paradigmi meglio affermati tendono, alla fine, a esaurirsi, rivelando i propri limiti.
Con la nozione kuhniana di paradigma si fece strada, nell’epistemologia del secondo Novecento, l’idea che anche la scienza naturale sia un fatto di cultura: tra l’osservazione del ricercatore e le strutture oggettive della realtà che egli indaga con «una visione a-culturale o extraculturale della scienza» (Remotti, p. 51) si inserisce un’altra realtà, quella delle diverse comunità scientifiche con i loro presupposti non sempre dichiarati, le loro tradizioni, la loro “cultura” – in senso strettamente antropologico. Di fatto, sono diverse le situazioni in cui vengono a trovarsi: più ordinate e paradigmatiche quelle naturalistiche, più disordinate e pre-paradigmatiche quelle umanistiche; ma lo scarto tra i due versanti non appare così decisivo da invocare una differenza qualitativa di metodo o di oggetti, come prevede la strategia B, né le discipline naturali possono vantare «una stabilità e una trasparenza tanto adamantina da trasformarle in un modello a stento avvicinabile da parte delle scienze della cultura» (Ibidem), come vuole la strategia A.
Oggi entrambi i sistemi appaiono obsoleti: ciò che si prospetta è, invece, un avvicinamento consistente di scienze della natura e scienze della cultura, sulla base del fatto che anche le prime esprimono ed elaborano, attraverso i loro paradigmi, una cultura, come propone la strategia C. Nella suddetta situazione, è il comparto naturalistico ad accogliere la cultura, fattore fondamentale del settore opposto, che era stato usato per giustificare la separazione e legittimare l’autonomia epistemologica delle scienze che lo assumevano come oggetto. Si ha, pertanto, «un’apertura delle scienze della natura nei confronti delle scienze della cultura, un’attenzione maggiore per ciò che le scienze della cultura avrebbero da dire sulla formazione organizzazione delle scienze della natura» (Ivi). Per Remotti, la comparsa dell’antropologia della scienza
assume anche il significato di una ricognizione della composizione della “repubblica” e di un’indagine critica sui principi e sulle categorie generali o particolari mediante cui essa è organizzata, ponendo in luce […] il loro carattere convenzionale, anziché naturale, negoziale e sempre un po’ arbitrario (Ibidem).
Se, dunque, la strategia C propone una sintesi tra natura e cultura, una possibile frontiera dell’antropologia potrebbe avere come obiettivo la dimostrazione dell’aspetto evoluzionistico della cultura, parallelamente a quello della natura. Così come, biologicamente parlando, esistono delle unità minime soggette a selezione naturale – i geni –, è possibile ipotizzare l’esistenza di unità minime soggette a selezione culturale – per esempio, i “memi” di Dawkins (Dawkins, 1976)?
Richard Dawkins, biologo evoluzionista
Un’indagine simile porterebbe ad avvicinare sempre più i due ambiti, giungendo al punto di incontro, al legame ancestrale, tale che uno sia imprescindibile all’altro e viceversa. Una relazione che rivelerebbe questa interdipendenza: la naturalità della cultura e la culturalità della natura.
BIBLIOGRAFIA
1) DAWKINS R. (1976=2017), The Selfish Gene, trad. it. Il gene egoista. La parte immortale di ogni essere vivente, CORTE G., SERRA A. (a cura di), Milano, Mondadori, pp. 406.
2) KUHN T. (1962=1969), The Structure of Scientific Revolution, trad. it. La struttura delle rivoluzioni scientifiche, CARUGO A. (a cura di), Torino, Einaudi, pp. 252.
3) LEVI-STRAUSS C. (2002), Les Structures Élementaires de la Parenté, Berlino, Mouton de Gruyter, pp. 621.
4) MURDOCK G. P. (1971), Social Structure, trad. it. La struttura sociale, Bianco C. (a cura di), Milano, Etas Kompass, pp. 303.
5) RADCLIFFE-BROWN A. R. (1948), A Natural Science of Society, Glencoe, The Free Press.
6) REMOTTI F. (2014), Cultura. Dalla complessità all’impoverimento, Roma-Bari, Laterza, pp. 318.
7) TYLOR E. B. (1871), Primitive Culture: Researches into the Development of Mythology, Philosophy, Religion, Art and Custom, Londra, John Murray, pp. 426.
L’illustrazione in evidenza è nata da una collaborazione di JOHNNY PARADISE SWAGGER e FRANCENSTEIN. L’opera si intitola 3 apes watching television, 2020.
@RIELABORAZIONE GRAFICA NEL CORPO DEL TESTO by FRANCENSTEIN, 2020
“le nostre azioni si conformano a leggi altrettanto determinate quanto quelle che governano il moto delle onde“
Una similitudine che apprezzo molto , bravissima amore .
Grazie Andrea❤