QUESTIONI ETICHE: FILOSOFIA UMANA?

Tenace è l’interferenza antropologica nella filosofia, così caparbiamente sfasa i discorsi che, portati fuori dal loro binario Essere-nulla (o è una monorotaia, circolare?), perdono il loro corso, non tornano al punto di partenza e si fanno aporetici. Fuori del cortocircuito ontologico solo problemi, risolvibili solo tornandoci, al cortocircuito: Essere è, Amen.
Dunque quale destino, per esempio, per il discorso etico?
Purtroppo o per fortuna, quello dovrà vivere sempre sotto lo schiacciante giogo del dubbio, la sua ricerca che vuole poter non trovare ciò che esclude.
La volontà di scegliere è volontà di (s)elezione e farlo significa essenzialmente escludere. Escludere un possibile in modo da non renderlo attuale. Ma l’antico proverbio di Doomstadt parla chiaro:
DURA REALTÀ
L’impossibile
si esclude a priori.
Nessun possibile
può escludersi a posteriori.
Non vi è alcun rilievo empirico che possa escludere qualche possibile. Può solo includere ciò che appare o, se vuole, escludere pure quello considerandolo quale comprensivo del suo contrario (ma così è tutto identico nell’esclusione).
Difatti sia nella metafisica dell’impermanenza (panta rei) sia nell’ontologia della permanenza (Essere è), ogni possibile mantiene invariato il proprio valore (axios):
– se accade non vi è valore (essere), poiché ogni determinato compiuto rimane equivalente a ogni determinato presunto incompiuto: ogni fatto torna infetto e muta in altri fatti (factum infectum fieri potest et debet);
– se è vi è valore e ogni determinato che appare ha lo stesso valore di ogni determinato che non appare, ma, quale incontraddittorio, è altrove (totum perfectum);
Dunque solo adottando un punto di vista soggettivo si può credere o sperare che ciò che appare esaurisca il reale, dandogli nome di Wirklichkeit. Ma la presunta Wirklichkeit è come si dice lo sciovinismo di una moglichkeit. (Stranamente non s’è mai sentita una moglichkeit che dice di essere falsa a fronte di un’altra che invece è Vera, se non nei discorsi escatologici che ripongono il Vero nell’indeterminato).
Tuttavia dal punto di vista oggettivo, “credere” è identico a dubitare e “sperare” è essenzialmente sperare che qualcosa che può essere non sia. E così che a qualcuno si drizzano le antenne e si rizzano i capelli.
I filosofi sono i difensori e propugnatori dei discorsi oggettivi e coerenti, imbattendosi in discorsi soggettivi li aggrediranno. Un antico disco rotto gli frulla in testa: il Logo esige che i discorsi soggettivi sfasino e scuotano gli umani, cosicché sia la riscossa della ragione che li batta.
L’umano fa discorsi di etica perché il filosofo li mortifichi. Pagano l’espiazione perché è da quei discorsi umani che la morte viene evocata per inghiottire ciò che essi non vogliono.
L’unico modo per escludere qualcosa (il non-qualcosa) è dimostrarlo quale impossibile cosicché non possa che non essere (e nemmeno, se si vuole, accadere). Ardua è tale dimostrazione, ma è pure vana, poiché si può star certi che ciò che non può essere mai si paleserà.
P.S. Cfr. Proverbi di Doomstadt LINK>>> – Su argomenti simili, Hegel o della distruzione, LINK>>> – “Interferenza dell’antropologia” è espressione usata da Gennaro Sasso in Fondamento e Giudizio un duplice tramonto?, cap. II., Bibliopolis, 2003.
@ILLUS. by NICKEAYS, 2019, 2020