SULL’AUTORITÀ

Un modello pedagogico virtuoso non può eludere la questione dell’autorità.
Essa non è autoritarismo, inteso come attitudine dispotica e prevaricatrice all’impartizione; ma nemmeno autorevolezza, intesa come rispettabilità morale o intellettuale, la quale è più esattamente una conseguenza di una certa condotta. L’autorità, invece, è piuttosto una forma strutturale, una figura umana e immanente e simbolica in relazione di reciprocità con il discente.
Nell’autorità è possibile riconoscersi o no, rispecchiarsi o meno, ma essa rappresenta in ogni caso un oggetto nel senso filosofico del termine, come qualcosa che si contrappone al soggetto. Talvolta specchio, talaltra muro, ma sempre contrapposto al soggetto. E non può esistere sapere né conoscenza fuori dal rapporto mediato tra soggetto e oggetto, poiché tale dicotomia è, per richiamare un titolo heideggeriano, cifra di identità e differenza. Oltre a questo rapporto, v’è soltanto uguaglianza spuria, assenza di differenza, omologazione e pigrizia intellettuale. Quando il sapere non è mediato dall’autorità – e quest’ultima dunque cessa di rappresentare un ostacolo alle arbitrarietà del discente – è altresì interdetta la fondamentale esperienza della rottura e del limite.
Ma è proprio nella rottura e nel limite che il soggetto esperisce se stesso nella propria connaturata finitudine e impara a essere umano; impara a addomesticare il dolore, a affinare la tolleranza, a sviluppare il pensiero, a elaborare l’interpretazione, a solleticare la fantasia. La virtù dell’autorità interessata al bene del discente non è quella di assecondare ogni suo capriccio, quanto piuttosto quella di rappresentare coscientemente il suo limite.
Non ogni cosa può essere detta; non tutto è vero, non tutto è uguale.
Insegnare e imparare qualcosa significa insegnare e imparare qualcosa di diverso. Ecco allora che occorrono differenza e distinzione, profondità storica e anagrafica e relativa incidenza della tradizione, la quale non è altro che il fondamento dell’etica. L’autorità è la verità dei padri, la storia che continua attraverso il marchio della tradizione, il senso di un tempo che prosegue, di un sapere al quale è possibile approdare. Essa è la cellula della conoscenza, la sua strada e il suo destino.
La società che elide il principio di autorità è un società che imposta se stessa sulla sempiterna gioventù, poiché alla figura del padre sovrasta quella del figlio, il quale nondimeno, privo di una guida e di un modello, è condannato a brancicare nell’assenza delle forme. È il pellegrino a camminare, ma è la tradizione a marcare le tappe del percorso.
Di conseguenza, fuori dal rapporto con l’autorità il sapere non è che nozionismo algido e sonnolento; oppure mera ripetizione destinata a esprimersi come un disco rotto che rigurgita le medesime parole prima di finire in blocco; premessa fatale a un eterno e mortifero silenzio.