ARISTOFANE E BACHTIN: UN FELICE ANACRONISMO

Nell’opera di Rabelais l’influsso diretto di Aristofane si unisce a una profonda affinità interiore (sulla linea del folclore primitivo). Qui noi troviamo – in un’altra fase di sviluppo – lo stesso carattere del riso, la stessa fantasticheria grottesca, la stessa trasfigurazione di tutto il privato e il quotidiano, la stessa eroicità del comico e del ridicolo, lo stesso carattere delle oscenità sessuali, gli stessi vicinati col mangiare e col bere.
Benché tra Aristofane, attivo nel V secolo a.C. in un’Atene che fa del teatro, a prescindere dal genere, la sua marca fondante paideutica e politica, e Rabelais, che pubblica Gargantua e Pantagruele nel 1532, intercorra una distanza innegabile, una percezione non lineare del tempo, forse atemporale, permetterà di sovrapporre e contrapporre i due autori nella concezione del riso e dell’importanza che essi a questo hanno attribuito, senza l’ostare dell’ufficialità.
François Rabelais
Percorrere una ‘storia del riso’ nel mondo greco si presenta problematico: lo stesso Bachtin, nel rivolgersi alla cultura antica, cita Ippocrate, teorico dell’importanza del riso a livello medico, nella convinzione della necessità di uno stato d’animo ‘ridente’ e da parte del medico e da parte del paziente per reagire alla malattia; e poi Democrito, il cui riso filosofico incarna l’atteggiamento maturo di chi ha finalmente conosciuto il mondo; Aristotele, per il quale l’uomo è l’unico degli essere viventi a conoscere il riso (citazione tra l’altro posta come sigillo, come ultima battuta della penna di Rabelais). Dal momento che gli autori sopra citati sono tutti cronologicamente posteriori al commediografo, risulta opportuno esaminare il periodo ad Aristofane antecedente, per comprendere quale sia il sostrato culturale e letterario che lo influenza.
Sebbene la letteratura greca superstite introduca il ‘comico’ a partire dall’età classica, anche in età arcaica non mancano exempla mescidati alla letteratura ufficiale: si pensi all’Iliade, in cui il riso è marca di esultanza per il nemico ucciso o manifesta la superiorità del κάλος καὶ ἀγαθός rispetto alla viltà di un Tersite; all’Odissea, in cui fra i tanti episodi si può citare l’ἄσβεστος γέλως degli dei che osservano la trappola tesa da Efesto per cogliere in flagrante l’amore adulterino di Ares ed Afrodite. Sono dunque le pulsioni primitive, ancestrali e naturali a suscitare un riso spontaneo, che è forma interiore, a cui non può sostituirsi la serietà, un riso che ha liberato dal censore interiore, dalla paura del sacro, dalle proibizioni autoritarie, rivelando il suo principio materiale e corporeo. Si tratta di un riso dietro al quale non sono mai nascosti inganni, violenza e ipocrisia, ma esso è un segno di forza, legato all’atto sessuale, alla nascita, al rinnovamento, alla fecondità, all’abbondanza, al mangiare e al bere. Ancora due filoni letterari sono di necessità da citare per completare questa breve disamina: la poesia giambica, che dell’invettiva e della messa in ridicolo fa la sua marca fondante, e la poesia parodico-gastronomica, che esalta gli aspetti faceti e sorridenti, rompendo con il codice espressivo ‘alto’ della poesia omerica e dando spazio alle funzioni corporali e agli organi sessuali. Alla prima saranno da collegare gli episodi di ‘attacco’ celato o palese che Aristofane inserisce sulla scena con parole e personaggi, alla seconda un filone tematico che rovescia l’eroe alto, ponendolo nell’iperbole delle passioni carnali, del cibo e del sesso.
La formula, coniata da Bachtin e applicata a Rabelais, di realismo grottesco mette in primo piano l’abbassamento di ciò che è alto dal punto di vista topografico (l’alto come il cielo, il basso come la terra) e quindi corporeo (l’alto come il volto, il basso come gli organi sessuali, il ventre e il deretano). Non può allora sfuggire il legame stretto con la nascita della commedia che, secondo la testimonianza di Aristotele, va inquadrata nei rituali agricoli della fertilità, i φαλλικά: applicando dunque la teoria bachtiniana, la commedia nasce dal basso materiale corporeo e attraverso il suo riso, rituale apotropaico, scaturisce come esigenza liberatoria, alla pari del bisogno medievale che porta alla creazione del carnevale, in opposizione alla festa ufficiale.
Il linguaggio colorito della commedia vede quasi ogni verso costellato di esclamazioni rivolte agli dei, i cui nomi spesso non rinunciano ad essere rovesciati: dal verso della Pace (μὴ βδεῖτε μηδὲ χέζεθ’ ἡμερῶν τριῶν), risulta chiaro il gioco di parole che ogni spettatore greco percepisce. Senza addentrarci in questioni eccessivamente linguistiche, si noti come il verbo βδεῖτε, ‘fare rumori con il corpo’ sia paronomasia di Ζεύς (pronunciato /sdeus/), ‘Zeus’. Viene così messo in pratica il ribaltamento linguistico che ha nel linguaggio di piazza il suo ‘palcoscenico’, tanto nel mondo greco quando nel mondo medievale-rinascimentale. La piazza non può fare a meno delle iperboliche esagerazioni, delle enumerazioni, delle elencazioni interminabili, di cui lo stesso Rabelais offre uno straordinario esempio: trecentotré aggettivi per gli organi genitali maschili nel loro stato migliore e peggiore, sessantaquattro verbi per le azioni e manipolazioni che Diogene compie con la sua botte e duecentootto epiteti per descrivere il grado di stupidità di un buffone. Aristofane delle catene di espressioni a tamponamento e dei cocktail di parole è maestro:
τοῖς τ’ ἀνθρώποις εἶναι δόξω
θρασύς, εὔγλωττος, τολμηρός, ἴτης,
βδελυρός, ψευδῶν συγκολλητής,
εὑρησιεπής, περίτριμμα δικῶν,
κύρβις, κρόταλον, κίναδος, τρύμη,
μάσθλης, εἴρων, γλοιός, ἀλαζών,
κέντρων, μιαρός, στρόφις, ἀργαλέος,
ματιολοιχός
Agli uomini io sembri essere
sfrontato, facondo, audace, sfacciato,
schifoso, collezionatore di frottole,
trovatore di parola, leguleio consumato,
cavilloso, flessibile, logorroico, astuto,
ficcanaso, voltafaccia, impostore, pressante,
miserabile, canaglia, furbo, molesto,
lecchino.
Diretto collegamento delle feste carnascialesche sono le immagini conviviali, riportate non in un’ottica di quotidianità, bensì nell’iperbolicità positiva e nel tono trionfale e glorioso del banchetto. Bachtin evidenzia come in Gargantua e Pantagruele non appaia quasi pagina priva di tali immagini, e letterali e metaforiche. Il banchetto ha un valore rituale, spesso associato a pasti comuni e quindi di festa, e conclusivo: anche nella Grecia antica si è soliti non porre la morte come conclusione dell’arte popolare, ma subito dopo segue un convito funebre, rappresentante la rinascita. Il basso-materiale-corporeo, come evidenziato quasi ossessivamente da Bachtin, non si presenta come negativo, ma, ribaltato, è collegato alla fecondità, alla rinascita, al trionfo dell’abbondanza, e il banchetto è un altro possibile paradigma.
Michail Bachtin
Per rendere ancora più efficiente l’icasticità, a mangiare in modo esagerato non sono personaggi bassi, ma alti, appartenenti a quella cultura ufficiale che anche in ambito conviviale non perde occasione per essere derisa. Ad esempio assai diffusa nel mondo medievale è la Coena Cypriani: le immagini della Bibbia e del Vangelo con libertà carnevalesca e quasi saturnalesca incorniciano la parabola evangelica del re che festeggia le nozze della figlia. Adamo, Eva, Cristo sono solo alcuni dei commensali che in topografia ridicola giacciono a tavola grottescamente e bizzarramente, bevendo e mangiando e liberando così le immagini, le parole «dalle catene della pietà e della paura divina». Fin dagli albori della commedia siciliano-greca si diffonde il ‘mito comico’ di un Eracle ‘mangione’, la cui voracità è direttamente proporzionale alla sua forza semidivina. Nei drammi satireschi Eracle abbatte una cantina, apparecchia la tavola, incomincia a gozzovigliare e a cantare a squarciagola e Aristofane non può non alimentare l’immagine, rendendolo addirittura l’aiuto-chef degli addetti alla cucina, quando partecipa alla delegazione inviata presso gli Uccelli con Poseidone e Triballo, guadagnandosi così da questi ultimi l’epiteto di Ἠλίθιος καὶ γάστρις εἶ, «stupido pancione».
Così, attraverso lo sguardo di Bachtin, due paradigmi come Aristofane e Rabelais possono essere accostati e, anzi, completarsi biunivocamente.
Bibliografia:
Michail Bachtin, Estetica e romanzo, Einaudi, Torino 1979
Michail Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare, Einaudi, Torino 1979
Umberto Albini, Riso alla greca, Garzanti, Milano 1997
Aristofane: le traduzioni sono da me proposte, per il testo greco l’edizione di riferimento è Aristofane, Commedie (a cura di Giuseppe Mastromarco), UTET, Torino 1997
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