IL COMPLESSO DI IFIGENIA (I PARTE): GRETA THUNBERG, OVVERO LA PEDOCRAZIA

Quando Latouche scrisse Nos enfants nous accuseront-ils? (2013), Greta era soltanto una bambina, una sconosciuta bambina svedese. Ora, invece, è sulla bocca di tutti; non si fa che parlare di lei. Fa parlare di sé per i suoi scioperi e le sue proteste; fa clamore perché riempie le piazze di giovani come lei; fa scalpore perché tuona contro e inchioda i potenti della terra senza timore (esasperazione della parresia). Colpisce, implacabile, perché figlia a capo di un esercito baccanoso e festosamente accusatorio di figli. Prende cartelli e striscioni e tutti in piazza. Si prendono la scena; prende la parola. È potente.
Quando Latouche scrisse quell’articolo si diede una risposta: «[i] nostri figli ci accuseranno, di sicuro, perché siamo tutti responsabili». Il gioco intergenerazionale ora sta tutto qui, in questo scambio di accuse. Gli equilibri di forza si sono ribaltati: non sono più le generazioni passate ad aver cura di quelle future perché queste ultime hanno preso la scena e la parola, hanno riempito, stufate dalla nulla facenza (e inorridite ancora di più da ciò che è stato fatto) dei loro padri (e delle loro madri), un vuoto pressoché incolmabile; ora il figlio non può più essere considerato come l’erede della terra alla morte del padre (e della madre) e questo per due semplici, ma agghiaccianti, motivi: 1) il processo di emancipazione dalla figura paterna (e materna) è ormai irrimediabilmente compromesso. La «dissolvenza degli adulti» e l’«evaporazione del padre» (concetti chiave delle analisi di Recalcati) portano con sé la fine stessa del rapporto di genitorialità come instaurazione di una Legge Simbolica (Recalcati che segue le impronte del suo maestro Lacan), ovverosia non di una codificazione legalistica opprimente (in poche parole non si tratterebbe di burocratizzare in foro interiore la vita del figlio), ma dell’instaurazione di una codifica che libererebbe la libertà (e questo è lo Spirito delle Leggi per Montesquieu). Alla fine della genitorialità ridotta sempre più a mera genitalità fa seguito 2) una depressione ontologica della figliolanza che si va a concretizzare non nell’indipendenza (sano processo di crescita puberal-adolescenziale), ma nell’autarchico reame scioperale del prendersi la scena. E con essa la parola.
La nostra società non vive più nell’epoca edipica dello scontro fallico tra il Padre e il Figlio; né nel delirio gaio di un Anti-Edipo siccome «corpo senza organi» (Deleuze-Guattari). Non è più contemporanea nemmeno l’idea disastrosa del narcisistico «idolo bambino» che «impone alla famiglia di modellarsi attorno alla legge arbitraria del suo capriccio» (Recalcati, Il complesso di Telemaco, p. 107) né tantomeno l’irenistica, per quanto pugnace, epoca del giudizioso Telemaco (epiteto del Telemaco omerico). Tutte queste quattro figure-epoche si relazionavano ancora ad un Padre (e ad una Madre, non dimentichiamocela) possibile; si relazionavano loro mortalmente, oppositivamente, autisticamente o speranzosamente, ma la loro sostanza la traevano da questa frizione negativa, da questa dialettica antagonistica. E il campo d’azione definiva gli attori in gioco: Padre, Madre e Figli si costituivano nella e della reciproca negatività.
Ora le cose si sono fatte e si fanno sempre più dannatamente serie. Lo scontro intergenerazionale ha perso la sua fondativa dimensione dell’inter-: assistiamo alla nascita della generazione The Hundred. Figli abbandonati in un pianeta ostile e contaminato che si prendono la scena. E prendono la parola. Ora la natura cratica si è riorientata dal potere alla parola: un tempo il detentore del potere aveva il diritto di parola; oggi si verifica l’esatto opposto: è la parola a incarnare il potere, è la parola cha fa il potere. La parola è sempre stata potere; la parola ha da sempre avuto il potere di stabilire la substantia rerum, la sostanza delle cose. Ma oggi la parola non è più lo strumento del potere. È il potere, semmai, ad essere ostaggio della parola che lo ingloba e lo fagocita al suo interno. La parola non è mai stata potente come adesso. Edipo ha cercato di scappare, con ogni mezzo possibile, alla parola; ma la parola (la profezia della sua maledizione: uccidere il padre e diventare sposo di sua madre), strumento nelle mani di un potere maggiore, il Fato, lo ha inseguito, raggiunto, trovato e annientato. Ma quella parola sarebbe stata nulla se non fosse stata direzionata e determinata dal Fato, più potente degli dei olimpici stessi.
La generazione The Hundred si è presa la scena, ha preso la parola. Ha preso il potere. Pedocrazia, ovvero potere dei figli. Non, però, potere dei figli sui genitori perché, semplicemente, i genitori non ci sono più. La pedocrazia non è neanche il solo potere dei figli perché anch’essi, alla dissolvenza dei genitori, sono scomparsi. Pedocrazia è il potere della parola, il potere che viene usurpato dalla parola, il potere che annichila i potenti nella forza dirompente della parola che viene buttata in faccia ai potenti: “How dare you?” Ed è il potere della figlia. Basta con Edipo (e il suo doppio perverso), Narciso e Telemaco, basta con i figli. Ora è il tempo della figlia-profetessa, ora è il tempo di Greta-Ifigenia.
Per l’articolo del noto economista francese mi sono avvalso della recente traduzione in italiano di Federico Lopiparo: Serge Latouche, I nostri figli ci accuseranno?, Castelvecchi, Roma 2019.
I riferimenti a Massimo Recalcati sono tratti dal suo fortunato libro Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, Feltrinelli, Milano 2019, quinta edizione.
@ILLUS. by FRANCENSTEIN, 2019