OLTRE HEIDEGGER: «ESSERE-PER-LA-FINE» O «NON-ESSERE-PER-L’INIZIO»?

Heidegger intende la trascendenza in maniera un po’ diversa, rispetto a Pareyson: l’Essere heideggeriano è piuttosto deistico, che non teistico: il teismo ontoteologico pareysoniano impone un Essere vivente in Persona, e perciò teologico, mentre il deismo ontologico heideggeriano propone un Essere essente impersonale, e quindi filosofico; va da sé che la Trascendenza risulta nelle due prospettive radicalmente diversa.
La trascendenza esistenzialmente ateistica (non teistica) dell’Essere heideggeriano è quella del «non-ancóra»: l’Esserci, finché c’è, è sempre proteso verso uno stato che ontologicamente non c’è ancóra, verso una ulteriorità che solo nella fine dell’Esserci stesso, in punto di morte, giunge al proprio «ormai» irrevocabile, raggiunge il suo «già» definitivo. Volendo usare un’espressione tipica della teologia biblica si potrebbe dire che la vicenda esistenziale dell’uomo è per Heidegger quella del «già e non ancóra»: nel «già» c’è l’essere (Sein) già gettato nel «Ci» (da) e nel «non ancóra» c’è il progetto che tale essere può fare sul proprio esserci (Dasein).
Siccome la lingua italiana ha la fortuna di discendere dalla lingua latina, il vostro Profeta, o desistenti, vi invita ad usare dei termini latini, soprattutto per rendere il sintagma «non ancóra»: usando nondum si può dire con una sola parola quello che in italiano si può dire solo usando due parole, non + ancóra; è più plastico, più efficace, nondum. Inoltre, essendo nondum = nōn + dŭm l’avverbio in questione può rendere bene l’idea del fatto che il «non-ancóra» è la negazione – nōn – dell’«óra» – nunc –, cioè di un «adesso» che nell’Esserci-già del Dasein è trascendenza di un Essere sempre di là da venire, sia nel tempo – nunc – sia nello spazio – hic –: l’Esserci-già hic et nunc di un non-Essere-ancóra, di un Essere-non-ora: non esse in horā. Quanto al concetto di essere-già-gettato, l’avverbio iam traduce benissimo la gettatezza a posteriori sottesa, sottintesa, forzatamente insita nell’esse-hic-et-nunc dell’Esserci come Da-sein. Con il sopravvenire della morte, il «non ancóra» del nondum si fissa e si irrigidisce nel rigor mortis del «non più», cioè del numquam, dopodiché tutto è finito.
ESSERCI
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NON ESSERE
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ESSERE
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iam
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nondum
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nunquam
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Curiosamente, la trascendenza è quella della libertà che l’Esserci ha – ma il vostro Profeta preferisce che voi diciate “avrebbe”, o desistenti – di scegliere il dum che più gli aggrada per il suo Esse: nel continuo trapasso dal nondum al sicdum la negazione del dum si realizza «co-sì»: sīc. Sicdum non esiste in latino, ma il vostro Profeta, o desistenti, l’ha coniato per aiutare la buon’anima di Heidegger ad uscire dalle oscurità della sua filosofia: se la negazione come possibilità di un esse in fieri è non + dum l’affermazione come realtà di un esse factum è sic + dum. La trascendenza del nondum si configura in questo modo-di-essere come possibilità che non è ancora diventata realtà, esorcizzando nel nome della libertà quella necessità che pure è presente nella categorizzazione ontologica di Immanuel Kant: Possibilità, Realtà, Necessità. A ben vedere, però, la Necessità è presente – eccome! – anche nell’impianto ontologico dell’Essere dell’Esserci heideggeriano: lo iam a priori che determina la gettatezza è una situazione che l’Esserci non ha scelto liberamente, dacché essa gli è stata imposta dai genitori che l’hanno concepito; l’Esserci si trova a progettare «nel méntre» che c’è: dŭm intĕrim (nell’italiano antico: doméntre). L’avverbio dum acquista così un significato più chiaro: l’Esserci si trova ad Essere «in questo méntre», hic, e «in quel mentre», nunc, che lo getta nello iam del dum. La gettatezza che getta l’Esserci nella temporalità del dum si ha «intanto che» l’Esserci è già qui ed ora: iam hic et nunc. Difficile salvare l’ontologia della libertà, se non si ricorre a un escamotage ontoteologico, ed infatti Luigi Pareyson ricorre, gemente e piangente, a questo escamotage.
L’essere-per-la-fine di Heidegger è esse per nunquam o esse prō finĕ: essere davanti alla fine, essere proteso pro tempore verso la fine, esse protensŭm ad finĕm; laddove la fine è il finire del nondum, è la fine del «non ancóra». A ben vedere, però, il numquam finale ricorda tanto lo iam iniziale: come lo iam iniziale trascende l’Esserci, così anche il numquam finale lo trascende (se per «trascendenza» intendiamo una situazione che ontologicamente non possiamo né volere né non volere); lo iam del numquam finale è un «giammài» come «già mai»: nec unquam, forma rafforzata di mai; «mai più». Il «di già» iniziale e il «mai più» finale sono i due capi della trascendenza umana, la quale, come si può facilmente vedere, è assenza totale di libertà; trascendenza, s’intende, come ulteriorità sottintesa, sottesa ed insita nell’Esserci, trascendenza come una clausola che non è in nostro potere contrattare, trascendenza come un «al di qua» (di già) e un «al di là» (mai più) che non si devono discutere, che sono indiscutibili perché l’adesione esistenziale a questi due capi dell’Essere dell’Esserci è la conditio sine qua non dell’ontologia, teologica o filosofica.
Torniamo quindi a quell’apertura, o schiusura ontologica, della quale noi, secondo Martin Heidegger, dovremmo andare fièri, fièri di essere in fieri… (il vostro Profeta, o desistenti, va fiero di questo gioco di parole, fièri di essere in fieri, anche perché, quando le parole assonano significa che la Verità sta facendo capolino: il linguaggio è la casa dell’essere). La fierezza dell’autenticità è la cifra della filosofia heideggeriana. Autenticità: Eigentlichkeit. Inautenticità: Uneigentlichkeit. Eigen significa «proprio», «suo», significa cioè la qualità più propria di qualcuno o di qualcosa; eigentlich significa addirittura «vero», «reale», e quindi die Eigenheit è quella «peculiarità» che costituisce das Eigentum, la «proprietà» come «possesso». In Essere e Tempo si parla dell’autentico Essere per la Morte, das eigentliche Sein zum Tode, e dell’autentico Essere per la Fine, das eigentliche Sein zum Ende: con parole suggestive si potrebbe dire che l’autenticità presuppone sempre l’«Apocalisse della Verità», e cioè lo svelamento della fenomenicità, lo scoprimento di ciò che latita; l’inautenticità è al contrario la copertura della latitanza causata dalle dicerie del «Si passivante e impersonale», come lo chiama Dexistens.
Sulla “visione apocalittica della Verità”, quando si tratta della Morte, cioè della Fine, Heidegger dice che «Prima di tutto bisogna caratterizzare l’essere-per-la-morte in quanto essere-per una possibilità (Sein zu einer Möglichkeit), e precisamente per la possibilità più specifica dell’Esserci stesso», e «L’atteggiamento consistente nel prendersi cura del possibile tende all’annullamento della possibilità del possibile mediante la sua realizzazione (die Möglichkeit des Möglichen durch Verfügbarmachen zu vernichten)». Essere-per una possibilità è la definizione esistenzialista di Esserci: la Fine della Morte decreta col decesso la Fine di ogni possibilità (di scelta) ulteriore; inoltre, va ricordato che, come emerge dalle righe sopraccitate, la realizzazione delle possibilità si ha mediante l’annullamento delle possibilità stesse: la dialettica negativo-positivo del non-sic relativamente al dum temporale scandisce le tappe del divenire dell’Essere dell’Esserci. Esserci: come diventare ciò che non si è ancóra.
Martin Heidegger dovrebbe spiegare ai desistenti perché non s’è mai posto la domanda: come rimanere ciò che non si è ancóra? Il nondum, l’abbiamo visto, è un «non-ancóra» che si può situare dopo lo iam gettato di sorpresa dall’Essere, ma è anche quello che si può situare prima di tale iam: prima del getto ontologico che esistenzializza l’Esserci, prima del getto seminale che concepisce un nuovo Esserci nel grembo di una donna. Il getto seminale maschile che dà inizio alla gestazione ontologica uterina, prendendo di sorpresa ogni futuro neonato Esserci, annulla la possibilità di non esserci gridando vendetta al cospetto di Dio (se un Dio esiste al di là dell’Esserci): il Nonesserci denuncia il vile agguato ordito ai propri danni quando senza preavviso due genitori hanno deciso di profanare la sacralità arcana del Nonessere. Heidegger s’è tanto affaticato per cercare di capire il «senso» filosoficamente più autentico del nostro essere-per-la-fine, essere-per-la-morte, ma perché non s’è anche impegnato un po’ per capire un eventuale «nonsènso» del nostro essere-per-l’inizio? essere-per-la-nascita? Forse che questo Sein zum non è das eigentliche Sein? Ma certo che lo è, ed anche più dell’altro, dacché tutto comincia da lì! C’è la libera scelta dell’«Esserci-già» (gettato) relativamente alle decisioni che si possono prendere circa le possibilità future, ma c’è anche e soprattutto la non libera scelta del «non-Esserci-ancóra» relativamente alla decisione genitoriale che lui non può prendere personalmente, non essendoci appunto ancóra: la progettazione del suo Essere qui sulla terra per via di una “progestazióne” alla quale lui non ha potuto aderire liberamente; l’Essere-per-Esserci (o non-Esserci-ancóra-per-Esserci-già) precede l’Esserci-per-non-Esserci (o Esserci-già-per-non-Esserci-più): se quest’ultimo è l’essere-per-la-fine, l’altro è il non-essere-per-l’inizio.
NON-ESSERE-PER-L’INIZIO
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ESSERE-PER-LA-FINE
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INIZIO PRIMO
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INIZIO SECONDO
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Perché tutti pensano all’essere che c’è già facendo dell’Esserci (già) l’Inizio primo? Esserci-già è inizio secondo, in verità. L’Inizio primo è il non-Essere-ancóra (o il non-Esserci-già), l’inizio secondo è l’Essere-già (o l’Esserci-già). Come la decisione di una libera scelta dell’Esserci-già realizza una possibilità di Esserci che ancóra non c’è al momento della scelta, allo stesso modo l’iniziativa di due potenziali genitori di non dare Inizio a un Esserci-che-non-c’è-ancóra lascia irrealizzata la possibilità che l’Esserci possa appunto esserci: è «l’iniziativa dell’inizio primo» quella che più conta, non «l’iniziativa dell’inizio secondo».
E se proprio dobbiamo buttarla sull’autenticità, specialmente trattandosi di un’ontologia ate(ist)a, il vostro Profeta, o desistenti, chiede: qual è più autentica? la possibilità diretta per un essere che c’è già di non essere più? O la possibilità indiretta per un essere che non c’è ancóra di non essere ancóra, né óra né mai? Dexistens chiama «possibilità di secondo grado» la possibilità diretta: quella che un Esserci può considerare personalmente, e quindi liberamente perché dipende da lui; chiama poi «possibilità di primo grado» la possibilità indiretta: quella che un Esserci non può considerare personalmente, e quindi liberamente, dacché dipende dai suoi genitori. La possibilità di primo grado è la «Possibilità di Principio», cioè la Possibilità di un Inizio reale da un Principio non principiato; la possibilità di secondo grado è la «Possibilità di Inizio», cioè la possibilità virtuale di un Inizio iniziato. La possibilità di primo grado è indipendente dal soggetto dell’Esserci ed è pertanto passivante e impersonale come il «Si» tanto deprecato da Heidegger: è cioè inautentica; a differenza della possibilità di secondo grado, la quale è dipendente dal soggetto dell’Esserci ed è quindi attivante e personale, e cioè autentica, qualora il soggetto stesso sappia emanciparla dalle dicerie del «Si».
POSSIBILITÀ di PRINCIPIO (1º grado)
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POSSIBILITÀ di INIZIO (2º grado)
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MÜSSEN
non poter non
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SOLLEN
poter non
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La possibilità di principio è inappellabile, quella di inizio può ricorrere in appello: se un Esserci-già sbaglia scelta può dare la colpa a se stesso, ma se i genitori di un non-Esserci-ancóra sbagliano la scelta di concepirlo non possono dare la colpa all’Esserci che hanno concepito.
Se trascendenza è la proprietà o la qualità di qualcosa che si trova al di là delle nostre possibilità e del nostro controllo, allora certamente il «Principio 1º» è più trascendente del «Principio 2º» (o «Inizio»): se non altro perché il Principio Secondo dell’Iniziativa è quello di un Esserci che ha il controllo della propria Iniziativa e della sua Possibilità. E se ‘autenticità’ è ciò che c’è di più proprio, allora sicuramente l’autenticità del non-essere-per-l’inizio è più propria dell’Essere che non c’è ancóra, dacché viene prima dell’Essere che c’è già; e se, come abbiamo or ora detto, il «Principio Primo» è più trascendente in assoluto, ne consegue che l’autenticità del non-essere-per-l’inizio è più autentica dell’autenticità dell’essere-per-la-fine.
La decisione ‘diretta e responsabile’ di un Esserci-che-c’è-già s-termina le possibilità che una possibilità ha di non diventare realtà. La decisione ‘indiretta e irresponsabile’ di due Esserci-che-ci-sono-già (due genitori) di concepirne un terzo termina la possibilità che questo terzo non-Esserci ha di rimanere un Essere-che-non-c’è.
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