LA FILOSOFIA AL TEMPO DEL CORONAVIRUS

In un tempo in cui, causa difficile convivenza con moltitudini di saperi (o prassi) specialistici, la filosofia pare non occupare una posizione di spicco tra questi, non potendosi quella scegliere un oggetto specifico di teoria e dunque facendo, forse, del dubbio circa la propria legittimazione come scienza il proprio oggetto, un’emergenza bussa alla sua porta.
Asserragliato nelle stanze della metafisica, il filosofo assorto nel suo interrogare radicale riceve la visita di un angelo inconsueto. La novella coronavirus si fa inatteso evento.
Il messaggio che reca parla di un nemico invisibile, tale covid-19, il quale metterebbe a repentaglio l’incolumità di ogni soggetto che con esso entra in contatto.
Ciò tuttavia non sorprende il filosofo. Infatti se, come dice Montaigne, “filosofare significa dubitare” anche il nominato coronavirus, dapprima non visto, poi eventualmente percepito come malessere dell’io, non è certamente incontrato. Il virus come il malanno sarebbero immagini delle cose, rappresentazioni di un qualcosa che rimane sconosciuto e inesplicabile.
L’io pur si voglia ammalato, con Cartesio, non potrebbe che dubitare del proprio corpo infetto, essendo certo solamente della realtà della propria autocoscienza immediata.
Tuttavia, con Weischedel, l’io filosofo è spinto a interrogarsi di più. Nel problematizzare radicale quell’io non può che considerarsi camusianamente straniero a sé stesso. Scansandosi rivela l’assurdo.
Solo la scepsi si salva, “l’io – per Weischedel – è andato, nella radicale problematicità, sommerso”. Essa così “tende al dominio assoluto” ed è quel “guardare intorno scrutando” (σκηπτέσθαι (skeptesthai)) che permane nella sospensione di qualsiasi giudizio (ἐποχή (epoche)).
Poiché “[l]o scetticismo può intendere sé stesso come necessario punto di partenza e di passaggio del filosofare, anche però come suo punto d’arrivo”.
È l’assurdo l’oggetto della filosofia, tale che essa si faccia assurdità?
Nel particolare è, forse, una follia la filosofia di Weischedel, per l’uomo comune come per John Locke. Poiché è piuttosto necessario conoscere solo ciò che concerne la propria condotta di vita e ciò che possa per quella essere d’utilità.
Tali dubbi iperbolici sono da etichettare senza remore come una stramberia indegna: “se vogliamo dubitare di ogni cosa, […] saremo altrettanto poco ragionevoli quanto uno che non volesse servirsi delle proprie gambe, e si intestardisse a rimaner fermo e perire […]” (Locke, Saggio, I, I, 5).
Non può darsi lontananza maggiore tra la filosofia e il sapere, pratico. Tuttavia l’emergenza coronavirus rivela un utilità impensata della Grunderfahrung.
Facendo dell’inestricabile dubbio il suo oggetto prescelto fino a farne un idolo, la filosofia irretisce l’uomo in abulica paralisi, assoluto scetticismo.
È legittimo dubitare del fatto che il coronavirus sia una minaccia, che esista o che con ciò sia reale, o anche che sia reale il soggetto che possa esserne infettato. Quanto nondimeno è inevitabile dubitare delle presunte proprie gambe, non potendo così quel sospetto io servirsene per raggiungere l’uscio di casa al fine di evadervi. Un problematizzare radicale s’è intestardito a rimaner fermo e non perire di coronavirus (o non rischiare sanzioni amministrative o penali).
In tempo di emergenza, sicura prigione sono le stanze della metafisica…
P.S. La Grunderfahrung, esperienza di base, è l’esperienza della problematicità radicale o della realtà come problematicità radicale. Essa serba il carattere dello Schweben (oscillare), poiché, dovendo scartare il niente ontologico e assiologico come proprio oggetto, si ritorce su di sé apparendo come il (rin)cogli(oni)mento dell’essenza del reale.
Citazioni di W. Weischedel tratte da Il problema di Dio nel pensiero scettico, 1979 – il nuovo melangolo, Genova.
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Di fronte all’emergenza Coronavirus emerge ancora e sempre la soluzione finale auspicata dalla DESISTENZA. Il Desistenzialista non si scandalizza più, e nemmeno si scervella disperato: finché la specie umana non arriverà a capire (almeno i filosofi) che il gioco non vale la candela – cioè l’essere non vale l’esistere – qualunque giochino filosofico sarà sempre sporco e ipocrita.
CHIEDERE e RICHIEDERE
L’esistenza richiede un fine ultimo al di là.
La desistenza chiede un’ultima fine al di qua:
che nessuno, cioè, abbia mai più ad andare incontro
alla propria fine in questo mondo.