IL FILOSOFO (S)CONNESSO (II PARTE): LOGOUT
Stop. Errore di sistema. Tutto è crashato; dobbiamo uscire. Logout. Generazione del login, il nostro doppio diabolico e perverso (il doppio è sempre diabolico e perverso, riflesso speculare: ciò che non si è esso è) che ci perseguita e ci terrorizza è il logout. Noi siamo tanto la generazione del login, della perpetua connessione dell’insta-gram, del profluvio di immagini istantanee, quanto quella dell’orrida minaccia incombente della disconnessione dal sistema, dello spauracchio dell’isolamento dall’eterno WWW. D’altronde è il giusto specchio dei tempi: siamo subissati dal profluvio – e questa volta non di immagini – di munnezza, eterno doppio oscuro e minaccioso della nostra gaia e spensierata connessione consumistica.
Uscire per le piazze, per le strade, nei cortili è il mantra dei filosofi-chic (che in tempi di pandemia si rovescia nell’incombere necessitato del suo Doppelgänger: meglio condividere momenti di fraternità nella room di una videochat e lavorare in smart working); il trauma del logout come esperienza mistico-catartica: una volta outloggati si è liberi, liberi di essere cittadini di una πόλιs (polis) sana e organizzata, educata e pulita. Peccato per la monnezza.
Per le città dell’online, luoghi d’incontro da remoto, nei quali non è remoto imbattersi in figuri quanto meno bislacchi, veri freaks up-today, spopolano i dicta e le res gestae di quella schiera nutrita e pingue di filosofi, uomini e donne di indubbio successo, di bell’aspetto e cordiali, che s-piegano al loro volere la filosofia (in un’abominevole protervia sostanzialista: la filosofia è una cosa e come tale va s-piegata, addolcita, resa comprensibile e, sperabilmente, innocua). Fanno domande capziose, sapendo di già la risposta; anzi, il loro obiettivo è di rendere necessaria l’insorgenza di una domanda per poterne offrire la risposta; rendono il pensiero un design concettuale (Floridi), una forma finalizzata all’utilizzo, una bellezza utile, e per questo (ancor più) bella. È l’effetto Jobs. Prima di ogni altro, Steve Jobs seppe ricreare e rendere seriale l’istanza che ha spinto Nietzsche a scrivere, controvoglia, almeno a suo dire, l’Ecce Homo: l’esigenza. Ha ricreato un’esigenza insopprimibile, salvo l’utilizzo dell’ultimo ritrovato tecnologico con annessa la più potente connessione disponibile al WWW. E il gioco è fatto. Non ne possiamo più fare a meno. Ecce, intrappolati in questa rete, eternamente connessi, l’homo, ovvero il filosofo-di-successo, teme oltre ogni modo la sconnessione: condanna all’in-successo.
Ma la comunicazione, come communicazione, che pone al centro il bonum commune, e di conseguenza come comuni(fi)cazione, ovvero rafforzamento, richiede necessariamente quello iato che né la s-connessione, né la dis-connessione né, tanto meno la connessione, permettono. In quanto communic-azione c’è necessità di (s)connessione e di una forte dose di (in)successo (che, non sempre, succede).
La successione nel(l’in)successo è la china che si deve prendere, e si deve avere il coraggio di farlo, in filosofia. E questo perché la successione è sempre il tragitto che da un passato si riversa sul futuro, quella corrente non profluviante ad libitum, ma ritmica, intervallata, continuamente discontinua: storica.
Perché se la filosofia è nata distaccandosi dalla storia, condividendone la matrice della scrittura (Brisson), non ha comunque perso quella intensità storica che la connota e la condanna al(l’in)successo. Una filosofia che non contempli la storicità, che non si percepisca essa stessa storicamente, è condannata alla fine pena mai della sua eternità, senza frazionamenti, del flusso infinito. La perpetua connessione, con la concretizzazione dell’ἄπειρον (apeiron) anassimandreo, ha da parte sua – bisogna riconoscerlo – l’indubbio vantaggio dell’innocenza pre-individualizzazione, evitando di dover pagare il fio ed espiare la colpa del distacco “secondo l’ordine del tempo”.
Pertanto al filosofo connesso, perfettamente connesso (e come non potrebbe esserlo), non compiendo il passo del salto della successione, non succede assolutamente niente, non gli succede nessuno in quell’eterna contemporaneità spazio-temporale (la multilocazione nel medesimo tempo t è ora non più appannaggio delle sole narrazioni agiografiche); vive uno spazio umano troppo poco umano: abita il cronologico teologico, un tempo privo di tempo, di spazio, di ritmo. Il tempo dell’aritmia divina.
Non ci vuole poi troppo coraggio per occupare quella sede eternamente immobile del turbinante flusso; il filosofo-di-successo architetta e pianifica e costruisce e calcola. La perfetta prevedibilità di un gioco ad incastri calcolabile fino alla più infima particella gli garantisce una durata duratura. Tuttavia, l’assenza di storicità inficia la potenza del suo (non) fare: la filosofia richiede audacia, uno strattone, uno strappo. La lamentela, il grido: una interruzione. L’audacia della filosofia (Šestov) è la ritmicizzazione del tempo, la cadenza a scadenza, di tempi che saltano tra un atro vuoto e l’altro silenzio (s)cadenzato. Schiocco delle dita: non è proprio lo spazio vuoto a segnare il tempo, il battito? Il ritmo? Non ci può essere ritmicità nella satura continuità, privata della discontinuità ritmica così come non avrebbe senso alcuno la discontinuità ritmica, chiaramente perché non ci sarebbe alcun ritmo, senza quella continuità e regolarità del battito: di bradicardia, di tachicardia e di aritmia si muore…
Come che sia, la storicità e l’audacia della filosofia sarebbero mal comprese senza che si innestasse e si innescasse un meccanismo di speculazione filologico (George Steiner). La filo-logia, lungi dall’essere l’ormai trita raccolta di lezioni a certificare la sedimentazione storica di una nozione, è quel filo rosso che tiene insieme le perle fossilizzate: nessuna paleontologia del sensazionale, ma quella giusta e doverosa tra-duzione, quella condotta attraverso canali comunicativi-linguistici per penetrarli e attraversarli, tradirli ma anche e soprattutto avvicinarli (ad-traverso). La traduzione non è il flusso disseminante della proliferazione gassosa, di una indeterminata direzionalità (salvo essere perfettamente indirizzata, spedita e consegnata nell’URL della connessione perenne), bensì l’accostamento filo-logico che segue e persegue il filo logico, che rinviene analogicamente «identità di rapporti» e non «rapporti di identità» (Gilbert Simondon).
La traduzione è sempre nella disparazione, nella non perfetta simmetria degli elementi che si trovano ad essere attraversati di-traverso: come sostenuto da Merleau-Ponty, la filosofia è una dis-posizione, un posizionarsi eccentricamente (il dis-, erede del δυσ- greco richiama il rovesciamento o quanto meno lo scivolamento da un’ortodossia convenzionale (pensiamo all’italiano dis-grazia)), quel taglio trasversale che mantiene la sua filo-logia nella nettezza dei suoi fendenti. E così filosofia e traduzione si ad-traversano vicendevolmente, si avvicinano e si riallontanano, contemporaneamente se stesse e il loro opposto, essendo mai letterali le traduzioni e mai completa la filosofia.
Per questo la connessione perpetua dis-innesca (altro gioco di specchi) la forza quantica della massa critica (κρίσιs (crisis)) nella celebrazione sacrificale dell’eucaristica statica (στάσιs (stasis)) del profluvio di informazioni prive di comunicazione. La (s) del filosofo con la (s), sfasa le fasi, alterna le fasi in frasi dis-fasiche che mantengono un equilibrio nella soluzione di continuità: se la connessione si presenta come la garante della staticità – dunque incarna, nel mondo altro dell’online, la stasica del pensiero -, la (s)connessione del filosofo (s)connesso, attraversando i mondi della traduzione e avvicinandoli di traverso, drammatizza la speculazione in una logica filosofica (Karl Jaspers) che non può che essere crisica del pensiero, ovvero impegno alla comuni(fi)cazione.
Il testo di riferimento al design concettuale è Luciano Floridi, Pensare l’infosfera. La filosofia come design concettuale, Raffaello Cortina Editore, 2019 (traduzione in italiano di Massimo Durante dell’originale inglese).
Sulla separazione originale di storia e filosofia cfr., Luc Brisson, Introduction à la Philosophie du Mythe, vol. I, Vrin, Paris 2005, seconda edizione.
Per il concetto di audacia della filosofia cfr., nella tradizione italiana di Alberto Pescetto, Lev Šestov, Sulla bilancia di Giobbe. Peregrinazioni attraverso le anime, Adelphi, Milano 1991.
Sul concetto di ritmo ho tratto ispirazione da Paolo Zellini, Breve storia dell’infinito, Adelphi, Milano 1980.
Sull’importanza della filologia cfr. la traduzione italiana di Claude Béguin del testo di George Steiner, Vere presenze, Garzanti, Milano 2019, nuova edizione.
La citazione è tratta dal’edizione italiana curata e tradotta da Giovanni Carrozzini di Gilbert Simondon, L’individuazione alla luce delle nozioni di forma e d’informazione, Mimesis, Milano-Udine, 2011.
Per logica filosofica si rimanda alla traduzione di Diego D’Angelo di Karl Jaspers, Della Verità, Bompiani, Milano 2015.
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@ILLUS. by, MAN OF PONG, 2020
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