IL PESSIMISMO COSMICO DI SCHOPENHAUER

La filosofia di Schopenhauer è conosciuta come la filosofia del pessimismo più radicale.
In apparenza, il pensiero di Schopenhauer segue la filosofia tradizionale e le orme di Hegel, un filosofo che peraltro egli disprezzò in seguito alla sua vita. Si tratta infatti di una filosofia deduttiva, che mira a spiegare tutta la realtà sulla base di un principio unico: un po’ come accade con Marx e l’economia o con Freud e l’eros. E quanto accade con Hegel e lo Spirito Assoluto, ossia il potere assoluto della ragione umana, che crea tutta la realtà nel momento in cui la pensa, appunto. Ma a differenza di Hegel, prima di essere deduttiva, la filosofia di Schopenhauer è induttiva: essa deduce sì tutto l’essere dell’universo da un principio in cui si parla di filosofia “deduttiva” quando si passa dal generale al particolare, ma questo principio è ricavato in origine dall’osservazione dell’universo, del mondo stesso, ovvero vi è “induzione” in cui si procede contrariamente dal particolare al generale.
Indi per cui, prima si osserva il mondo per ricavare il principio attraverso cui questo opera, e poi si interpreta il resto dei fenomeni del mondo sulla base di questo principio, deducendo da esso realtà, circostanze, comportamenti e motivazioni.
Il principio che secondo Schopenhauer governa il Tutto è la Volontà di Vivere (Willezum Leben, in tedesco). Vedendo che l’esistente si presenta, fin dalle più elementari forme di vita, come una continua lotta per la sopravvivenza, in cui la vita dell’individuo non riveste alcuna importanza al cospetto della sopravvivenza e prosperità della specie, ma anzi è contrassegnata dalla sofferenza, Schopenhauer ne ricava che l’essenza dell’esistente, cioè il principio che governa il “Tutto”, e che i nostri sensi non ci permettono di rilevare. “Volontà di vivere”: questa denominazione sembrerebbe a prima vista rimandare a qualcosa di positivo. Dopotutto, cosa ci potrebbe essere mai di negativo nella volontà di vivere, di preservare la propria vita e prosperare? Il fatto che la vita è per Schopenhauer appunto, dal punto di vista dell’individuo, sofferenza, dolore. Ciò che conta per la Volontà è infatti unicamente la prosecuzione della specie, la cieca moltiplicazione degli individui all’interno della specie, e delle specie all’interno del mondo.
In un siffatto contesto, la vita dell’individuo è perfettamente sacrificabile, e la Volontà non si cura di lui, né tantomeno della sua felicità. E sarebbe un errore ritenere che la sofferenza riguardi solo l’essere umano, o anche solo gli esseri senzienti. La Volontà di vivere, che è la radice metafisica, ossia il fondamento non visibile della sofferenza nel mondo, rappresenta il Tutto, nulla escluso. Quando un individuo muore, si dissolve nella sostanza del Tutto, nella Volontà, e “rinasciamo” come qualcosa d’altro di animato o di inanimato. Anche il mito induista-buddista della reincarnazione si basa su questa fondamentale intuizione. Essendo quindi la Volontà il Tutto, anche gli oggetti inanimati, pur non “sentendo”, soggiacciono alla legge della sofferenza universale.
La sofferenza è il vero principio che regola l’Universo; è il contrassegno del Tutto, il vero datum universale.
La Volontà è quindi paragonabile a un “dio negativo”, un’entità irrazionale che non si cura minimamente della vita dei singoli, considerandoli invece degli elementi perfettamente sacrificabili sull’altare di una cieca e assurda perpetuazione di sé. Essa è definita “eterna e unica” perché include tutto l’esistente. Ma è anche forza irrazionale e cieca, priva di senso o di un fine ultimo.
Schopenhauer definiva l’esistenza come un pendolo che oscilla tra il dolore e la noia: la rappresentazione è definita ingannevole dal filosofo, ed il soggetto è volontà.
L’uomo che rappresenta il mondo è visto inoltre come una volontà egoista in cui è possibile avere una rappresentazione illusoria con dietro la radice di dolore del mondo.
Il mondo non è retto da volontà divina buona e giusta e non vi è prospettiva teleologica.
Nel mondo non c’è fine e non c’è prospettiva finalistica: l’unica caratteristica del mondo è mantenersi. L’uomo e la natura vogliono preservarsi e la volontà punta alla conservazione della specie e al preservare il mondo.
La volontà, quindi, si potrebbe definire come essenza metafisica del mondo e in linguaggio più ordinario “voglia di volere”. Anche la rappresentazione di gioia è illusoria: la volontà ha un oggetto e un fine, la volontà sta dietro il fenomeno.
Ci si dovrebbe chiedere quindi, quale sia la volontà della volontà che sta dietro il fenomeno e quindi porsi la domanda: “che cosa vuole il volere?”
Non possiamo mai essere felici realmente secondo il pensatore: la volontà guida il nostro agire che vuole volere e pertanto una volta che ottiene fenomenicamente
qualcosa, rivorrà un’altra cosa e via ancora. Ogni ottenimento del volere è un ottenimento parziale che rilancia un nuovo volere: se l’uomo ha come radice questo, non c’è possibilità di essere felici perché non c’è mai un vero raggiungimento e ogni volere scalza il volere precedente. Nel noumeno la vita non ha un senso compiuto o finale perché la vita ha senso soltanto perché vi è un vivere per vivere.
La volontà ci illude perché ci poniamo obiettivi che raggiungiamo e ci poniamo poi nuovi scopi per dimenticare quelli antecedenti e questo perché l’uomo è definito da Schopenhauer come “animale desiderante”, ed è destinato all’infelicità perché quando ne realizzerà uno, ne vorrà un altro per ricadere nella noia e nel dolore: Ed ecco perché il filosofo utilizza l’analogia del pendolo come metafora per spiegare il suo pensiero: il pendolo oscilla tra la noia, quando il soggetto raggiunge un qualcosa, e tra il dolore non riesce a raggiungerlo. Noi essere umani siamo strumenti dell’essenza metafisica dell’universo che è la volontà di vivere e dunque siamo destinati all’infelicità.
A forza di desiderare in maniera compulsiva non si ha nemmeno più la capacità di desiderare secondo Schopenhauer: se un individuo desidera e non riesce a realizzarsi, proverà dolore. Mentre, se non desidera nulla è perché il soggetto si trova nella noia e nell’apatia e dunque si ritrova capovolto dal dolore, ed ecco perché si parla di pessimismo cosmico nella filosofia di Schopenhauer.
La felicità individuale è un’illusione: essa s’identifica con l’appagamento di un bisogno, con la soddisfazione di un desiderio. Ma questo appagamento non è mai definitivo, e l’inseguimento della felicità è solo un cammino circolare che porta sempre al punto di partenza. L’unico dato costante della vita umana è la sofferenza determinata dalla nostra natura di esseri desideranti. L’appagamento di un determinato desiderio porta solo a una condizione di stasi insopportabile, una condizione che ci spinge a desiderare qualcosa d’altro e ad arrabattarsi per ottenerlo; e così all’infinito. Ciò porta Schopenhauer a dire che la nostra esistenza è un pendolo tra il dolore, dove è presente la tensione verso la soddisfazione del desiderio e la noia, l’avvenuto appagamento, che però spinge a guardarsi attorno per cercare il prossimo oggetto del desiderio.
Se si avvertisse fame e desiderio sessuale, entreremmo in uno stato di tensione e sofferenza, e la soddisfazione del bisogno coincide con la rimozione del dolore. Ma la rimozione del dolore lascia il posto a un senso di vuoto dovuto alla mancanza di uno scopo: lascia il posto alla noia. Il tutto fino al rinnovarsi del bisogno, in un ciclicità che non conosce mai fine, come mai fine ha la sofferenza dell’individuo. Il piacere e la gioia non esistono in sé, ma solo in funzione del dolore: il dolore è la realtà originaria; piacere e felicità sono solo dei derivati. L’uomo è poi, per Schopenhauer, l’essere che soffre di più, perché in lui i bisogni sono più numerosi e intensi e così lo è sofferenza che a essi si lega. La pubblicità ci propone in ogni momento oggetti del desiderio, dietro la promessa che essi ci renderanno felici, e che “non avremo bisogno d’altro” più nella nostra vita. Ma la ricerca della felicità rimane sempre frustrata: essa si rivela tutt’al più solo una gioia passeggera.
Essendo l’uomo tra tutti i viventi l’essere con il maggiori desideri, egli è anche il più infelice, e la sua esistenza la più miserabile.
@ILLUS. by JPS, 2025 – @in PHOTO – LUCCYF3R, 20??
SCHOPENHAUER:
LA MUSICA COME SALVEZZA DELL’ANIMA