LA BUONA FEDE

Ciò che rende fallimentare l’esortazione è la convinzione, da cui essa è animata, che l’esortato sia libero di accettarla o di rifiutarla, e cioè che l’esercizio della virtù sia un atto libero.
Non è possibile esortare alla libertà, perché la libertà è tale solo in quanto è negazione di ogni dipendenza da altro.
In questo libricino Emanuele Severino affronta tematiche di filosofia morale in nove capitoli: i primi sei si rivolgono a forme diverse della buona fede; il settimo ne mostra la struttura; gli ultimi due sono variazioni sui temi forti di Severino: l’impossibilità del divenire, la necessità del Destino, la Verità.
1) Sulla virtù.
La virtù universale diventa impraticabile poiché impensabile quando il pensiero Occidentale sentenzia la morte del bene supremo incondizionato e immutabile per tutti. Se la disonestà individuale si diffonde, è perché “appartiene alla fisiologia del sistema democratico-capitalistico”. Con l’etica e la politica che si separano, inevitabilmente, da ogni verità assoluta, si fa largo la virtù suprema della tecnica. Essa riceve in eredità “l’infinita creatività del divino cui si è rivolto il passato dell’Occidente” e si propone di salvare l’uomo dal nulla da egli evocato.
2) L’ontologia del matrimonio cattolico.
Nell’Enciclica Evangelium vitae (23,/03/1995), la Chiesa stabilisce che i coniugi, come genitori, sono collaboratori di Dio. La generazione è la continuazione della creazione. Il Dio in cui “preesiste la similitudo di tutte le cose create”, però, non crea ciò che Egli odia. Si tratta dunque in questo capitolo di aborto e contraccezione. Sono essenzialmente distinti dal matrimonio cattolico come tecnica di controllo demografico? I genitori, che sono eticamente tenuti a esimersi dal procreare solo per gravi motivi, avrebbero come effetto della loro scelta contraccetiva di trattenere nel nulla una vita possibile. Il nulla “da cui la creazione divina o umana suscita le creature (ex nihilo) […] non riesce a essere puro e assoluto, giacché il nulla è il passato degli enti, dunque è la loro possibilità”. I non-nati rimangono nel nulla di Dio, impossibilitati alla redenzione.
3) Etica e tecnica.
L’etica può limitare la scienza e la tecnica? “[L]a tecnica, guidata dalla scienza moderna, è ormai la forma suprema di etica” e l’etica tradizionale è “una tecnica la cui potenza è stata oltrepassata dalla potenza della tecnica scientifica”. Tale nuova etica è “essenzialmente etica della comunicazione” il cui messaggio è “la capacità della tecnica di comunicare qualsiasi messaggio“. Ogni etica viene veicolata dalla capacità di comunicazione illimitata, e non può che essere “soltanto buona fede“, ossia fede. E credere è identico a dubitare.
4) La preghiera.
“L’uomo non può chiedere a Dio qualcosa che non sia voluto da Dio”. Pregare è volere quel che Dio vuole, riuscire ad ascoltarne la volontà (anche per Kierkegaard). L’uomo prevede con gli occhi della fede (ma la speranza non è episteme). Tuttavia “la forma propria di Dio” di chi usualmente prega è, invece, “creatività infinita”, cui chiedere salvezza. Salvezza agognata che è un placebo per chi, illuso, vive nella fede. La cultura contemporanea, che “tende a concepire la religione come una favola“, vede la società umana come un prodotto della natura (per esempio in Bergson, ne Le due fonti della morale e della religione, 1932), per cui l’intelligenza del singolo è una minaccia. La religione statica, che inventa “una contraffazione dell’esperienza” per arginare l’egoismo, nasce costituendosi come reale e radicale allucinazione, salvifica per la società e che chiude l’uomo nel cerchio sociale.
5) Verità e ragione pratica (parte prima).
Questo capitolo è un percorso che affianca Kant, per il quale epicureismo e stoicismo sono inferiori al cristianesimo, nel suo confronto col pensiero morale greco antico. Questo intuisce il senso autentico della virtù: la volontà di verità è la moralità originaria. Tale volontà esercitata come pensiero senza scopo (Aristotele) è la sola libera. Questa libertà è ciò che Platone chiama katharsis, purificazione che Kant chiama libertà. “La ragione comanda di agire non avendo altro fine che la convinzione di fare ciò che ogni essere razionale deve fare”; ciò alla luce della verità, poiché “[s]olo l’assoluta apatheia della verità consente all’uomo di salvarsi dal pathos della morte”. Ciò sarebbe stato, in qualche modo, compreso dal cristianesimo (secondo Kant).
6) Verità e ragione pratica (parte seconda).
L’ascolto della verità, il logos vero e fermo, non necessita della morte dell’uomo per manifestarglisi e per farsi comprendere. Ciò avviene al filosofo: la filosofia è meditatio mortis, “il filosofare stesso, in quanto tale, è già esso il morire“. “Solo la conoscenza della verità è viva”, mentre tutto il resto è morto, ossia nulla. Prosegue il discorso del capitolo precedente passando da Schelling. Il filosofo ha da stare solo “di fronte all’infinito: un passo enorme che Platone ha paragonato alla morte” (Schelling, Scritti sulla filosofia, la religione, la libertà, Mursia). La filosofia origina dal thauma (Aristotele), cosicché riconduca all’episteme. “L’episteme della verità è ragione pratica”.
7) La buona fede.
“La violazione mostra di essere un’apparenza”. L’uomo deve (e non può che) fare ciò che è vero. “L’Ordinamento epistemico è il limite inoltrepassabile dell’azione umana”. Il divenire della natura è già a sé adeguato, norma di sé. “L’uomo ha il compito di adeguarvisi”. Ciò e così da intendersi: “la moralità dell’agire è essenzialmente impossibile” e “[n]on può esistere alcun limite inoltrepassabile”. Poiché il limite è “soltanto un fatto, una situazione storica”. La buona volontà non può che costituirsi come fede e in ciò è identica al dubbio e presenta al suo interno la struttura dell’errore. “[I]l manifestarsi di qualcosa che non si mostra” è il (non) manifestasi di un contenuto che può essere, perciò, tanto affermato quanto negato. Non esiste “la persuasione filosofica che la coscienza morale esista”. La buona fede è cooriginaria alla malafede, in quanto, come volontà di verità “presuppone che lo stato originario dell’uomo sia la non verità”. La distruzione dell’episteme è alla base di ogni forma morale, fedi e “volontà di guidare l’azione”, forme eminenti del nichilismo, che si scontrano dispiegando “le forze del loro apparato concettuale, ma anche la forza pratica di cui dispongono”. La tecnica guidata dalla scienza moderna, però, non può che sottrarsi alla mera funzione di mezzo, finendo col “servirsi di ogni altra morale per realizzare la propria morale”. “Anche la tecnica è una morale” e ha come scopo “l’incremento indefinito della capacità di realizzare scopi”. “La tecnica è l’autentica incarnazione della volontà di potenza” e della morale, la suprema virtù, che avrà il culmine della sua potenza quando si presenterà come “teleologia trascendentale”.
8) Il risultato e il tempo.
“L’apparire del risultato non è l’apparire del tempo, ma del sopraggiungere degli eterni”. Piccolo capitolo sul cavallo di battaglia di Severino. Il divenire non è l’evidenza originaria, l’esperienza non attesta l’annientamento di ciò che esce dal cerchio dell’apparizione, non è necessaria una dialettica tra essere e apparire. Aristotele nella Fisica pensò il tempo come il divenire stesso numerato secondo il prima e il poi, una continuità infinitamente divisibile (potenzialmente), considerando il divenire come un permanere: “il permanere del sostrato”. Sostrato che solo e soltanto si conserva, unico risultato costante del divenire, mentre le forme, pur apparendo, ricevono in sorte la mutazione indefinita:”[p]ur essendo un positivo, il risultato è il negativo della positività del cominciamento”. Il divenire è identità di essere e nulla, anche in Hegel la contraddizione di fondo rimane: “L’Aufhebung hegeliano-aristotelica è appunto questo conservare annullando”.
9) L’origine.
L’origine è un divenire altro. Il pensiero scientifico eredita il senso greco dell’arché in termini di conservazione dell’energia. Il Big Bang è una variante moderna del Primo Movente aristotelico. Pensando un sostrato permanente immutabile a fronte di una molteplicità di forme effimere, il pensiero greco come quello scientifico falliscono però nell’evitare la contraddizione: “la nullità originaria dell’originato si identifica immediatamente a quel suo altro che è l’esistenza che l’originato acquisisce quando incomincia a esistere”. La scienza così rinuncia a essere verità incontrovertibile, si libera da tale mito, “domina il mondo” e chiama “verità questa sua capacità di dominio”. Anche la teoria della relatività di Einstein è “una delle forme emergenti del nichilismo”, in quanto è “un determinismo in cui si afferma la necessità del divenire altro”, piuttosto che l’affermazione dell’eterno e dell’impossibilità del divenire altro (Einstein e Popper, in qualche modo, pensano che il divenire della coscienza determini l’attualità dell’eterno che appare e l’inattualità, seppur non potenziale, dell’eterno che non appare; con ciò Popper confuta il parmenidismo di Einstein). In conclusione il problema dell’origine dell’universo è un falso problema. Il riduzionismo della cultura scientifico-fisicalistica è volontà di ricondurre qualcosa alla sua origine. In ciò ha la stessa struttura della Teologia, forma fondamentale di riduzionismo che intende ricondurre il mondo alla sua origine divina.
E. Severino, La buona fede, RCS Libri, Milano – 1999. Prima edizione BUR Saggi – 2008. Pagine 170. Citazioni nell’esergo tratte da p. 19.
Commentario
Dal canto mio dico che se di ethos (comportamento) si vuol parlare, ebbene questo debba attribuirsi a qualcosa di reale, ossia alla Realtà. Tuttavia quale potrà essere l’ethos (nascondimento, tana) della Realtà, che è una, se non la Realtà stessa? Essa è posta e differenziata come è e pertanto appare ai gonzi sicché si può affermare con Spinoza che “le idee inadeguate e confuse sono conseguenza della stessa necessità delle adeguate, ossia chiare e distinte”(Ethica, II, 1877, 36). Deus vult!
Che Dio voglia si dica per dare enfasi al discorso; più appropriato sarebbe dire “Essere è”.
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@PHOTO by JOHNNY PARADISE SWAGGER, 2019