DISCORSO SULL’OGGETTO-QUADRO

Questo è un discorso sull’oggetto-quadro in occasione della mostra di quadri di Monet (o del quadro di Monet più altri) ad Asti. Tale discorso estende la sua validità a qualsiasi quadro o oggetto, trattato come idolo, se lo si ri-tiene. Ciò poiché ogni oggetto è un ri-tenuto e così lo è anche l’oggetto-quadro.
Ciò che s’intende qui suggerire è che chi si appresta a contemplare un oggetto-quadro si espone a ubriacanti fatiche intellettuali, consciamente o inconsciamente, tese a provocargli uno stato mentale tra quelli dicibili ebbrezza o con-fusione, in quanto:
- – Deve considerare il quadro come oggetto e con ciò ri-tenerlo, individuandolo come sub-unità mentale;
- – Deve analizzare attentamente vari aspetti del quadro, ri-tenendoli, considerandoli individui (individuati), potendo effettuare solo analisi deboli (per preservare l’integrità del quadro);
- – Deve rintracciare a partire dal quadro qualcosa che nel quadro non appare (nella per lo più comune ottica di relativismo metafisico questo qualcosa non dev’essere lo stesso per fruizioni diverse di quel quadro)
- – Ciò che trova è l’erranza che segue logicamente il non aver prima supposto cosa andava cercando;
- – Ciò che trova è Realtà. Realtà che si fa energoumenica apparendo scevra di operazioni intellettuali.
Tralascio perciò il discorso sulla composizione (mereologia) del quadro (quale che sia di quelli presenti alla mostra o altri) e dunque tale analisi (scomposizione) e tratto di ciò che del quadro è ri-tenuto (axios) valido (axios). Tale è ciò che usualmente si dice il (presunto) senso del quadro. Cosicché in questo discorso si dica axios il senso del quadro. Dunque questo discorso è un’assiologia dell’oggetto-quadro (quello di Monet o quegli altri, per esempio).
Del quadro come oggetto d’arte si assume che l’axios non sia l’essenziale tra i meroi che lo compongono, tale che sottratti alcuni di questi quello rimanga dicibile sé stesso, ma piuttosto altro. Altro dal quadro, ossia ciò di cui il quadro si fa segno.
Ergo l’axios del quadro è da ricercarsi fuori del quadro. Tuttavia non si intenda che l’axios sia di per sé stesso sistente o che addirittura sia quello che generi o sostenga l’esistenza del quadro, poiché il discorso circa l’oggetto d’arte non è discorso riguardo il suo essere (ontologia).
Sarà così già apparso se ben inteso la problematica che subentra nel discorso sull’oggetto-quadro. Esso non è un discorso che possa trovare compimento. Un discorso compiuto è un discorso finito che non si debba più ricominciare, se non riproponendolo. L’unico discorso che ha tale proprietà è l’ontologia, che ri-tiene ciò da cui inizia, l’Essere, e si conclude affermando l’Essere e dunque scansandosi, lasciando che l’Essere sia, per altro riconoscendolo come la sistenza che sottende tutto il processo discorsivo. Processo che non è un processo, ma che è.
Il discorso circa l’oggetto-quadro rimane infinito se ri-tiene l’oggetto-quadro come oggetto del discorso. Poiché se si scansa dalla descrizione acritica dell’apparizione del quadro (e la descrizione è un’ulteriore apparizione), ossia esula dalla tautologia, erra ignorando cosa stia ri-tendendo. E non può che errare, poiché per restare nella tautologia il discorso dovrebbe descrivere i molteplici aspetti (meroi) che sotto la sua analisi appaiono e così gli sacrificherebbe l’unità del quadro, occupandosi dell’unità di ogni aspetto. Ma l’unità del quadro doveva essere ri-tenuta, poiché senza ri-tenere l’oggetto-quadro come oggetto ri-tenuto esso svanisce.
Tuttavia, come si è detto, l’axios del quadro è ri-tenuto fuori di quello, dunque non è un problema se discorrendone il quadro sparisce. Anzi a ben vedere è ciò che si presupponeva, ossia ciò che si ri-teneva.
Cioè che il quadro sia superfluo rispetto all’axios del quadro. Superfluo o finanche dannoso poiché d’intralcio. L’introvabile axios del quadro è la sublime erranza che si trova cercando senza sapere (ri-tenere) cosa si cerca. Vortici d’ebbrezza che si provano pensando al Niente. A questo punto il quadro riappare.
Detto ciò è evidente che l’esposizione intellettuale all’oggetto-quadro debba essere prolungata (quanto basta; tuttavia non si può determinare quale sia l’estensione necessaria, essendo variabile da fruizione a fruizione ed essendo il tempo di intensità variabile, potenzialmente infinita (poiché non numerica)). Nondimeno interessata deve compiere analisi (deboli[1]) del quadro e dei suoi aspetti, con-centrandosi su di quelli. Dunque l’axios che l’intelletto individuale (nominale) tiene a mente non deve essere il presenziare all’evento di mondanità in sé poiché, se così è, l’esposizione intellettuale non vi è e la fruizione dell’oggetto-quadro non è dicibile tale.
In conclusione è da dirsi che la sublime erranza che si evoca tramite l’esposizione all’oggetto-quadro è richiamabile esponendosi a qualunque altro oggetto se lo si tratta come feticcio (ossia quando così è). Per farlo l’intelletto (agente) ha bisogno di escludere le operazioni e con ciò escludersi altrimenti continuerà a ri-tenere solo ciò che ri-tiene. Segue, tuttavia, all’auto-esclusione intellettuale non già l’apparizione di un nulla ri-tenuto ma granitica Realtà schiacciante. Realtà che mostrandosi scevra di operazioni intellettuali evidenzia che il Proprio regno si estende anche su quelle.
P.S. Anticipo le rimostranze degli amici attualisti che eventualmente si imbattano in questo discorso. Si può dire che la Realtà che (in me) si mostra scevra di operazioni intellettuali e nondimeno è reale (come sostenuto in questo discorso) sia, invero, oggetto del pensiero che la sta pensando e non coscienza in atto (né di sé, appunto). Un fatto, inattuale, che si costituirebbe come esperienza non veramente reale, in quanto solamente pensata dall’Io assoluto ma non da Egli vissuta coscientemente. Tuttavia respingo ogni panteismo dinamico, poiché la radicale distinzione tra coscienza attuale e oggettività inattuale mi pare dualistica e l’atto creativo dell’Intelletto mi sembra debba trascendere (o trasalire) l’Intelletto per poter accadere; mentre in un sistema immanentistico la scienza (sofia) della Realtà (e non dell’Intelletto), che la Realtà ha di sé, deve rimanere eternamente presso di sé.