L’AMBIGUO POTERE DI EROS

Estratto di Antonio Rinaldis, Nuove lezioni di filosofia. I temi fondamentali del pensiero umano, Diarkos, Rimini 2025, tratto dal capitolo Amor che move il sole e l’altre stelle.
Prima ancora che i filosofi iniziassero a pensare, nelle mitologie della Grecia antica i poeti avevano già intuito la potenza di Eros. Prima della nascita della filosofia c’è il mito, un racconto di pura fantasia che racconta (mythos) la nascita di qualcosa, di una città, di un popolo, di un re, ma anche dell’intero universo, che in quell’epoca remota veniva chiamato kosmos. I miti nascono dal bisogno di spiegare la realtà, di rendere comprensibile il mondo, di giustificare riti e di renderli in una dimensione sacra e per questo indiscutibilmente vera. Il primo mito, il più antico in cui compare Eros, è attribuibile alla scuola di Orfeo, leggendario poeta lirico di cui è molto difficile identificare la biografia, dal momento che per alcuni era nato in Tracia intorno al VI secolo, mentre per altri è addirittura precedente a Omero.
Orfeo è un mito nel mito. Appartiene a una categoria di uomini dotati di poteri speciali, sciamani in grado di attraversare il confine tra la vita e la morte, e grazie alla propria capacità artistica era capace di svelare i misteri che inquietano ogni essere umano. Numerose sono infatti le testimonianze che esaltano le virtù poetiche di Orfeo e la potenza del suo canto, che gli permise di esplorare l’Ade, unico fra i mortali. A conferma di ciò è il viaggio nell’oltretomba per riportare in vita sua moglie Euridice; dopo aver superato una serie di prove e ostacoli, Orfeo riesce a convincere anche le Erinni, Ade e Persefone a liberarla dal mondo dei morti, ma sulla via del ritorno alla vita infrange la promessa di non voltarsi indietro per guardare Euridice, che sparisce per sempre. Alla religione orfica fa riferimento Platone nel Cratilo, in cui sostiene che gli orfici pensano che il corpo (soma) sia tomba (sema) dell’anima, ma anche custodia, fino a quando non sarà salvata dal ciclo delle rinascite.
Il mito teogonico orfico compare nel coro degli Uccelli di Aristofane, dove si narra che al principio di ogni cosa, all’inizio dell’Essere c’erano il Caos, la Notte e l’Erebo, il regno sotterraneo che è la dimora dei morti. Nelle profondità dell’Erebo, la Notte genera un uovo dal quale nasce Eros, definito come splendente, con ali dorate e vortici tempestosi. Eros si unisce al Caos nei recessi dell’Oltretomba e dalla loro unione nasce la specie umana e, successivamente, sempre a causa del mescolamento degli elementi, anche il Cielo (ouranos), l’Oceano e la Terra, persino gli Dei immortali. La Notte era una divinità molto importante per i Greci, rappresentava la notte terrestre, in contrapposizione all’Erebo, la notte infernale, ed era temuta persino da Zeus. Nato dalla Notte, Eros ha il compito di creare il Kosmos (il Mondo), insieme al Kaos. La lettura e l’interpretazione degli antichi miti è un esercizio complesso, ma se volessimo tracciare una proposta ermeneutica, alcuni elementi appaiono degni di interesse.
Nel mito orfico della creazione del Mondo e degli Dei, la Notte scaturisce Eros dall’oscurità, che quindi ha un doppio elemento tenebroso, la Notte celeste e quella infernale, si unisce con il Caos, il vento che scompiglia e crea il cosmo e gli Dei. Eros è quindi fin dall’origine forza creatrice e vitale, che però con tiene anche un collegamento con la Morte, Thanatos; in più, la Notte conserva dalla madre l’oscurità del desiderio e della passione. Secondo il poeta Esiodo, Eros non aveva genitori ed era il Dio della passione sessuale. Gli antichi Greci lo chiamavano Ker, il “dispetto alato”. A lui sono stati dedicati numerosi santuari, tra cui il più famoso si trovava a Tespie, dove veniva onorato nella forma di un simulacro fallico. Pare che a Tespie ci fosse anche una statua di Prassitele dedicata a Eros, che attirava folle da tutto il mondo greco. Eros era rappresentato come un giovane fanciullo irresponsabile, che trafiggeva con le sue frecce uomini e donne, senza rispettare età e condizione sociale. Era per questo temuto e nello stesso tempo venerato.
Nell’ambito della poesia è la poetessa Saffo, che in pochi, celebri versi riassume la potenza devastante di Eros, quando descrive la passione amorosa come un vento che sconvolge l’animo, simile al vento che sui monti investe gli alberi. Eros non è una divinità rassicurante, porta con sé disordine e caos, ma è anche invincibile e necessario alla vita, poiché dal desiderio erotico nasce ogni cosa. Amore e Morte, Ordine e Caos, Passione smisurata e regole sociali, fin dall’inizio l’identità di Eros è ambigua, la sua ricezione presso il mondo greco è duplice, congiunge l’attrazione per l’oscura potenza del Desiderio, insieme alla paura della perdita del controllo e del disordine psicologico e cosmologico che comporta. Il primo, tra i filosofi presocratici, a pensare Eros in termini cosmologici è stato Empedocle da Agrigento.
Personalità controversa, al limite tra la genialità e la stramberia, sosteneva di essere capace di deviare il flusso dei venti, ma soprattutto si vantava di essere in grado di ricordare tutte le sue vite precedenti e per questo motivo riteneva di essere stato fanciulla, arbusto, uccello e pesce, e definiva i suoi concittadini uomini dalla vita di un giorno. Il suo sapere era dunque iniziatico, superiore a qualunque altra conoscenza umana. La sua filosofia si basa su un principio fondamentale, che non ammette né nascita né morte, ma mescolanza di tutte le cose e separazione di cose mescolate. Considerava infantile la convinzione dei suoi contemporanei che qualcosa possa sorgere dal non essere e che possa distruggersi del tutto. Da ciò che non è, è infatti impossibile che si generi qualcosa, come è altrettanto impensabile che l’ente precipiti nel nulla. In questo universo pieno di essere, qual è il compito di Eros? Nella filosofia di Empedocle, in realtà non si parla di Eros, ma di Phylia, che viene contrappo staalla forza contraria, Neikos, contesa, inimicizia. All’inizio dei tempi, gli elementi, le quattro Radici, erano unite in un unico essere, poi intervenne Neikos per dividerle, creando il mondo così come le vediamo. Il compito di Phylia è quello di rimetterle insieme, di annullare le differenze e ricomporre l’unità originaria, che Empedocle chiama lo Sfero che tutto avvolge, per ricordare che la forma circolare è la più perfetta. Nel momento in cui domina Neikos, ogni ente del mondo è separato dagli altri ed è divorato dalla mortalità, mentre quando domina Phylia, nello Sfero si respira un’aria di immortalità e di tranquilla armonia.
In Empedocle troviamo alcuni tratti che segneranno anche nei filosofi successivi la natura di Eros, anche se è necessaria una precisazione, perché Empedocle scrive di Phylia e non di Eros. Qual è la differenza? Nella lingua greca il termine italiano “amore” si può dire in tre modi diversi. Per definire l’amore sensuale, passionale, molto legato al corpo, si usa Eros; quando si vuole intendere l’amicizia si chiama Phylia, che è un legame profondo, intimo, molto simile all’affinità tra due persone, basato sul rispetto, sul disinteresse, virtù alla qua le Aristotele ha dedicato ben due libri dell’Etica Nicomachea; infine troviamo agape, che potremmo tradurre con caritas, amore di benevolenza, che non implica reciprocità, può essere aiuto, solidarietà, non richiede alcuna corrispondenza, ed è molto simile all’amore cristiano. Occorre tenere presente che nella radice del verbo amore è possibile individuare, con una certa libertà interpretativa, anche il prefisso greco alfa che, posto all’inizio delle parole, indicava una negazione; per cui a-mor è il contrario della morte, dal momento che mor potrebbe indicare mors-mortis. Alla luce della complessità del termine, sarà indispensabile chiarire, nel corso della nostra trattazione, a quale forma di amore si riferisco no gli autori che andremo a esaminare.
Il caso di Gorgia, il celebre sofista che dalla lontana colonia di Lentini era riuscito a diventare, nonostante fosse straniero, molto influente nella capitale del mondo greco grazie alle sue capacità dialettiche e oratoriali, è illuminante rispetto al tema erotico. Deciso a sfidare i luoghi comuni della tradizione greca, Gorgia utilizza la sua arte principale, l’eristica, il combattimento verbale fra contendenti che hanno posizioni opposte, per difendere la figura più scandalosa dell’epica, Elena, moglie di Menelao, re spartano, che si innamora perdutamente di Paride, principe troiano, diventando in tal modo la causa della lunga guerra che divise Achei e Troiani. Nella difesa di Elena, Gorgia si comporta come un avvocato che ricerca le cause per le quali si dovrebbe assolvere Elena, e tra queste vi è la potenza di Eros. Nel testo di Gorgia, la scintilla del desiderio erotico, e quindi del relativo tradimento, si accende alla vista di Paride e della sua bellezza, alla quale l’anima di Elena non ha saputo e potuto resistere…
@ILLUS. by FRANCENSTEIN, 2025
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