LO SGUARDO DI ANTONIO SULLA ROSA. NOTE DI UN DIARIO FENOMENOLOGICO-GRAMSCIANO (PARTE II)

a Paolo Volponi,
al «pessimismo della ragione»
del suo Le mosche del capitale
Lo studio che ho fatto sugli intellettuali è molto vasto come disegno e in realtà non credo che esistano in Italia libri su questo argomento (…). D’altronde io estendo molto la nozione di intellettuale e non mi limito alla nozione corrente che si riferisce ai grandi intellettuali. Questo studio porta anche a certe determinazioni del concetto di Stato che di solito è inteso come Società politica (o dittatura, o apparato coercitivo per conformare la massa popolare secondo il tipo di produzione e l’economia di un momento dato)e non come un equilibrio della Società politica con la Società civile (o egemonia di un gruppo sociale sull’intiera società nazionale esercitata attraverso le organizzazioni così dette private, come la chiesa, i sindacati, le scuole ecc.) e appunto nella società civile specialmente operano gli intellettuali (Ben. Croce, per es., è una specie di papa laico ed è uno strumento efficacissimo di egemonia anche se volta per volta possa trovarsi in contrasto con questo o quel governo ecc.). (LC 456-457)[1]
6. Sia nelle Lettere sia nei Quaderni, il corpo proprio, colto nella sua situazione carceraria e costretto alla ristrettezza dello spazio-ambiente, si trasforma in un formidabile strumento conoscitivo (così come si verifica per Leopardi). Nel suo processo di disfacimento impercettibile ma continuo (processo che viene complessivamente designato con l’aggettivo «molecolare»), il corpo diventa oggetto di un’attenzione costante e spasmodica nelle Lettere che, specie negli anni ’30-’32, sono ossessivamente attraversate dal tema dell’insonnia e dalla registrazione del variare giornaliero della febbre.
6.1. Le Note su Americanismo e fordismo costituiscono uno studio delle trasformazioni molecolari che il progetto fordista di operaio come «gorilla ammaestrato» induce nella struttura psico-fisica degli operai.
Questa percezione del corpo proprio sembra dettare a Gramsci anche la sua interpretazione della figura di Cavalcante nel canto X dell’Inferno dantesco (Q 516-530; si veda l’accento posto sui movimenti del corpo dei dannati: «Cavalcante appare, non dritto e virile come Farinata, ma umile, abbattuto, forse inginocchiato (…). Cavalcante si affloscia ma Farinata non muta aspetto, non mosse collo, non piega costa. Cavalcante cade supino», ibidem 518).
L’interpretazione proposta da Gramsci sposta il centro emotivo e rivelativo del canto dantesco da Farinata a Cavalcante. Quest’ultimo diventa per il prigioniero il termine di un’identificazione esistenziale e il tramite di un complesso dialogo ‘in lontananza’, svolto con il dantista Umberto Cosmo e, attraverso Sraffa, con Togliatti.
Al pari di Cavalcante, infatti, Gramsci è chiamato a ricostruire il presente del movimento operaio internazionale (percorso dalla “svolta del socialfascismo” e dall’espulsione dei “tre”) soltanto sulla base delle scarse indicazioni che i compagni da poco arrestati gli fanno pervenire.
Sia il prigioniero politico sia il padre del poeta (oltre che Farinata)
vivono in un cono d’ombra dal centro del quale vedono nel passato oltre un certo limite e vedono nel futuro oltre un altrettanto limite. Quando Dante si avvicina a loro, la posizione di Cavalcante e di Farinata è questa: essi vedono nel passato Guido vivo, ma lo vedono morto nel futuro. Ma nel momento dato Guido è morto o vivo? (LC 464-465).
Questo «certo limite» richiamato è precisamente costituito dal corpo proprio dei dannati e del prigioniero.
7. Baratta osserva giustamente che «si avverte un crescendo di meditazione filosofica nei Quaderni»[2], così come mostrano i diversi elenchi degli argomenti portanti dell’opera, nei quali il tema filosofico viene sussunto in un primo tempo all’interno della rubrica «teoria e storia della storiografia», per poi diventare l’argomento centrale e autonomo di fondamentali Quaderni monografici.
Questo crescendo di interesse filosofico si produce attorno ad alcuni nuclei tematici significativi e cioè: a) il rapporto struttura-sovrastruttura; b) l’estensione della categoria di intellettuale e c) la particolare storicità della filosofia della praxis.
7.1. Sullo sfondo di uno schema interpretativo marxista sostanzialmente dualistico (struttura-sovrastruttura), Gramsci ha posto in evidenza il fatto che «i rapporti sociali di produzione» vengono già da sempre interpretati alla luce di idee di portata generale, in grado di ottenere consenso e di assorbire al loro interno anche una parte delle rivendicazioni delle classi subalterne. Il luogo in cui si produce questa capacità egemonica delle forze dominanti (capacità che consiste nel dosare sapientemente «forza e consenso», «dominio e direzione»), costituisce «la società civile».
In questo modo Gramsci recupera quella che per lui costituisce «una idea-forza» marxiana originaria e cioè quella secondo cui «gli uomini prendono coscienza della loro posizione sociale e quindi dei loro compiti sul terreno delle ideologie» (Q 1319).
Il rapporto tra strutture e «superstrutture» diventa così di implicazione reciproca; entrambe «fanno massa» e delineano un «blocco storico». Esiste poi una struttura della «superstruttura» e cioè un insieme di strumenti materiali di cui si serve la produzione intellettuale (ad es., i laboratori degli scienziati).
La rivalutazione delle componenti ideologiche presenti nelle diverse fasi storiche suggerisce poi a Gramsci l’importanza di sostituire, nel momento storico degli anni ’30, una «guerra di posizione» alla strategia di un attacco frontale rivoluzionario allo Stato borghese, del tipo di quello che soltanto in Russia (là dove la società civile si presentava ancora come «gelatinosa») aveva potuto essere condotto con successo. Questa strategia non più applicabile viene definita come «guerra di movimento» e fatta risalire, oltre che alla rivoluzione francese, anche alla «rivoluzione permanente» di Trockij.
7.2. In Gramsci la nozione di «intellettuale» acquista in estensione e si ricollega a quella secondo cui tutti gli uomini (anche «i semplici») sono filosofi. Gli uomini esprimono cioè una loro visione del mondo, anche solo attraverso l’uso quotidiano della lingua e delle sue metafore.
Si è visto sopra come questa visione si presenti sempre, innanzitutto e per lo più, con i caratteri di un conformismo collettivo: una visione del mondo non è mai soltanto la mia, ma è quella che eredito dagli altri uomini e dalla tradizione. Non soltanto artisti o filosofi sono «intellettuali», ma lo sono anche gli insegnanti elementari e i curati di campagna.
Fin da Alcuni temi della quistione meridionale scritti immediatamente prima del suo arresto, Gramsci ha insegnato a porre ‘in situazione’ l’attività degli «intellettuali»: essi appaiono immersi in un campo di forze che sono al tempo stesso economiche, sociali ed egemoniche; sono inseriti all’interno di istituzioni culturali (chiesa, esercito, pubblica amministrazione, apparati tecnici dell’industria, giornali e riviste, scuola e università).
Lungi dall’essere «al di sopra della mischia» o dal riprodurre l’ideale goethiano di serenità (presunta espressione di un loro essere non toccati dai conflitti del «mondo vasto e terribile») o anche lungi dal potersi presentare come sacerdoti di una moderna «religione della libertà» (come avviene con la figura di Croce «papa laico» che, nel corso delle lettere del 1931, diventa un nuovo tramite di colloquio tra Gramsci e i compagni in libertà del partito), gli intellettuali ‘alti’ o ‘di professione’ testimoniano di quella «terrestrità assoluta del pensiero», sopra richiamata.
7.3. Espressione di quella «riforma morale e intellettuale» («la filosofia dell’immanenza» dell’idealismo tedesco e italiano), per cui «l’uomo moderno può e deve vivere senza religione rivelata o positiva o mitologica o come altrimenti si vuole dire» (LC 444-445), «la filosofia della praxis» di Gramsci si pone come «storicismo assoluto» o «terrestrità assoluta del pensiero». Per questo motivo, diventa una sorta di nuova religione dell’uomo moderno; ispira un complesso di azioni etico-politiche chiamate a trasformare il mondo.
Inoltre, lo stesso marxismo gramsciano rivolge per così dire contro se stesso la sua idea fondamentale che tutte le teorie filosofiche sono figlie dell’epoca storica in cui nascono (Q 1488).
La filosofia come marxismo e cioè il marxismo che inaugura un modo nuovo di filosofare (secondo il dettato dell’ultima delle Tesi su Feuerbach di Marx, più volte citate da Gramsci) non costituisce, come direbbe Merleau-Ponty, un pensiero ‘di sorvolo’; non è hegelianamente la nottola che prende il volo sul far della sera. Semmai, il filosofo marxista è come il cretese che afferma che tutti i cretesi sono mentitori…
8. Su alcune categorie storico-politiche dell’analisi gramsciana e sulla loro attualità. Tra esse, vorrei metterne in evidenza due e cioè quelle di «rivoluzione passiva» e «americanismo».
La prima viene elaborata in relazione ai movimenti storici dell’età della restaurazione, con particolare riferimento al processo di unificazione nazionale italiana. Mossi dal «terrore panico» della rivoluzione giacobina, i liberali-moderati italiani sarebbero riusciti ad addomesticare le spinte rivoluzionarie-repubblicane del partito d’azione mazziniano.
Questa categoria ci dice della capacità egemonica di una parte politica: da un lato, questa parte asseconda le forze borghesi e dall’altro, rende inoperanti le capacità progressive di altre forze sociali. Al tempo stesso però, questa categoria serve anche a evidenziare le lacune storiche dell’azione della componente repubblicana italiana che, a differenza di quella giacobina in Francia, non avrebbe posto in primo piano «la quistione contadina».
Questo paradigma può essere applicato alla situazione presente di stallo della questione israelo-palestinese: dopo gli entusiasmi suscitati dal processo di pace, le forze della destra israeliana sembrano essere riuscite ad addormentare la portata, potenzialmente eversiva da un punto di vista simbolico, di uno stato palestinese indipendente, confinante con quello di Israele. Questo risultato è stato raggiunto attraverso un dosaggio sapiente di forza o «dominio» (la persistente politica di espansione degli insediamenti dei coloni e di repressione militare) e di «consenso» (ottenuto, quest’ultimo, sia attraverso accordi internazionali con paesi arabi moderati, sia soprattutto attraverso la promessa, fatta intravedere alle élites economiche palestinesi, di una rinascita economica di parti del loro territorio).
8.1. Viviamo in un’epoca in cui, dopo le lotte degli anni ’60 e ’70 (quest’ultimi dolorosamente attraversati in Italia anche dagli opposti terrorismi politici e dalle grandi stragi di massa), il capitale ha preso il sopravvento, restringendo sempre di più gli spazi delle libertà individuali e collettive e appiattendo le idee della politica al livello dell’economia.
Una rappresentazione artistica efficace di questa fase si ritrova nel romanzo di Paolo Volponi Le mosche del capitale, il cui titolo è esso stesso di derivazione gramsciana («le mosche cocchiere del capitale») e restituisce il fallimento del progetto olivettiano di fabbrica.
In questo inizio di secolo, sono cadute le illusioni della società d’informazione e della capacità democratica di una rete informatica mondiale. La finanza viene sempre più assumendo i tratti di un’economia sommersa che sfugge al controllo politico degli stati nazionali e dell’unione europea, determinando fasi ricorrenti di crisi (la storia economica e finanziaria smentisce l’assioma secondo cui essa sarebbe magistra vitae). Si delinea poi in maniera particolarmente drammatica un’emergenza ecologica.
In altre parole, la politica succube del capitale sembra oggi essere di nuovo ritornata a «una fase economico-corporativa», a servizio di una dinamica economica di espansione e accrescimento infiniti del già esistente, che però non deve essere scalfito. Che cosa significa infatti, concretamente, il progetto di una «transizione ecologica» che dovrebbe porre rimedio alla crisi attuale e soprattutto, «transizione» verso che cosa?
Più che di «americanismo» (categoria con la quale Gramsci designava un progetto integrale di dominio a bassa consistenza ideologica o egemonica, ma di elevata razionalizzazione produttiva in grado di rimediare alle contraddizioni interne del capitalismo, progetto che si era andato definendo negli anni ’20 e ‘30), si potrebbe oggi parlare di modello cinese e cioè un’economia fortemente tecnologica e ad alta capacità di penetrazione imperialistica (di appropriazione delle risorse di altri paesi). Comune però a questo modello e a quello dell’«americanismo» descritto da Gramsci, resta la bassa capacità egemonica (negli USA degli anni ’30, «l’egemonia nasce[va] dalla fabbrica», Q 2146). L’idea stessa di politica come ricomposizione dei conflitti sociali sembra poi retrocedere, nel tempo attuale dell’emergenza pandemica, di fronte alle illusioni di un governo tecnico neutrale o ‘scientifico’ delle cose, una sorta di «cesarismo» della scienza e della tecnologia farmaceutica a essa collegata.
9. Una piccola bibliografia ragionata in una decina di voci. Indico qui di seguito una serie di lavori che hanno costituito per me occasioni importanti per approfondire il discorso su Gramsci. L’ordine di presentazione non segue la cronologia in cui gli studi sono apparsi, ma propone un possibile raggruppamento tematico. La bibliografia su Gramsci è sterminata; agli studi critici e storici bisognerebbe aggiungere gli esperimenti conoscitivi di artisti ‘gramsciani’ a vario titolo, primi fra tutti Volponi e Pasolini (la televisione come strumento di un progetto egemonico e linguistico negli anni ’50 e ‘60).
- a) L’opera di Enzo Paci di mediazione tra Marx e Husserl a cui si fa riferimento è Funzione delle scienze e significato dell’uomo, Il Saggiatore, Milano 1963.
Costituisce un commento del libro postumo di Husserl, La crisi delle scienze europee. Questo lavoro di Paci non raggiunge però il tono ispirato presente nel Diario fenomenologico (Bompiani, Milano 1961; recentemente ripubblicato da Orthotes, Napoli 2021), vero e proprio capolavoro di scrittura filosofica.
- b) LAJOLO, Gramsci un uomo sconfitto, Rizzoli, Milano 1981.
Particolarmente importante è anche la Prefazione di Umberto Terracini, dedicata ai contrasti tra Gramsci e il centro estero e italiano del suo partito.
- c) D’ORSI, Gramsci. Una nuova biografia, Feltrinelli, Milano 2017.
Un bilancio recente della vicenda complessiva di vita e pensiero di Gramsci. Particolarmente utile è la rassegna dei temi dei Quaderni, raccolta intorno ad alcune parole-chiave.
- d) Gramsci vivo nelle testimonianze dei contemporanei, a cura di M. Paulesu Quercioli, Feltrinelli, Milano 1977.
Restituisce una ricca serie di incontri con Gramsci ‘in carne ed ossa’. Significative le testimonianze sul periodo carcerario di Turi, in merito al dissenso di Gramsci a proposito della “svolta” e dell’”espulsione dei tre”.
- e) VACCA, Vita e pensieri di Antonio Gramsci (1926-1937), Einaudi, Torino 2012.
Mette in evidenza come sia le Lettere sia i Quaderni implichino in alcuni casi una serie di interlocutori che vanno oltre quelli costituiti dai destinatari delle Lettere. La cognata Tatiana rappresentava, attraverso Sraffa, il tramite del colloquio che anche in carcere Gramsci continuava a intrattenere con i suoi compagni in libertà, primo fra tutti Togliatti. Particolarmente importanti sono le pagine dedicate al Codice Croce.
- f) IDEM, Appuntamenti con Gramsci, Carocci, Roma 1999.
Importanti le pagine dedicate al ruolo di Togliatti come editore e interprete dei Quaderni e quelle sulle analisi, spesso indirette e cifrate, dello stalinismo presenti nell’opera carceraria.
- g) CANFORA, Gramsci in carcere e il fascismo, Salerno, Roma 2012.
Ricostruisce la vicenda della «lettera famigerata» inviata da Ruggero Grieco a Gramsci, che costituì per quest’ultimo un vero e proprio rovello.
- h) BOBBIO, Gramsci e la concezione della società civile, in AA. VV., Gramsci e la cultura contemporanea, a cura di P. Rossi, Editori Riuniti, Roma 1969, vol. I, pp. 75-100.
Sottolinea con forza il ruolo svolto dalla considerazione dei fattori sovrastrutturali nel pensiero gramsciano, sia pure con uno spirito ‘sistematico’ che sacrifica l’andamento aperto dei Quaderni. L’intervento di Bobbio è stato accusato di aver capovolto i rapporti tradizionali tra struttura e sovrastruttura in Marx; lo si legge utilmente insieme alle obiezioni che, nel corso del convegno in cui venne presentato, furono sollevati dai suoi critici.
- i) GRAMSCI, Filosofia e politica. Antologia dei «Quaderni del carcere», a cura di F. Consiglio e F. Frosini, La Nuova Italia, Firenze 1997.
Particolarmente illuminante è la Introduzione dei curatori, in cui viene messa in rilievo la novità dell’antropologia filosofica dei Quaderni e cioè la loro risposta alla domanda «che cos’è l’uomo?». Interessante è poi l’accostamento proposto tra l’antropologia relazionale gramsciana e quella di Spinoza.
- j) FROSINI, La religione dell’uomo moderno. Politica e verità nei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci, Carocci, Roma 2010.
Importante risulta la ricostruzione storico-concettuale del lemma «filosofia della praxis» dei Quaderni, attraverso la linea Labriola-Mondolfo.
- k) FUSARO, Antonio Gramsci. La passione di essere nel mondo, Feltrinelli, Milano 2015. Ripropone il discorso sulla matrice gentiliana del pensiero di Gramsci.
- l) MUSTÈ, Marxismo e filosofia della praxis. Da Labriola a Gramsci, Viella, Roma 2018. Ancora sull’«autonomia della filosofia della praxis»; importanti le pagine dedicate al Codice Cavalcante.
- m) BARATTA, Le rose e i Quaderni. Il pensiero dialogico di Gramsci, Carocci, Roma 2003. Dedicato all’intellettuale palestinese-americano Edward Said, delinea un avvicinamento libero e aperto, anche nella scrittura, ai temi dei Quaderni. Propone inoltre una serie di interessanti «usi di Gramsci» e cioè di riletture in chiave attualizzante del suo pensiero.
- n) BURGIO, Gramsci storico. Una lettura dei Quaderni del carcere, Laterza, Bari 2003.
Utile perché mostra il concreto funzionamento delle categorie gramsciane all’interno di una serie di analisi al tempo stesso storiche e politiche.
- o) Dizionario gramsciano 1926-1937, a cura di G. Liguori e P. Voza, Carocci, Roma 2011.
Costituisce una rassegna indispensabile, redatta da molteplici studiose e studiosi, delle voci principali dell’universo storico, politico e filosofico di Gramsci, le cui evoluzioni di senso vengono seguite anche attraverso le riprese presenti nei cosiddetti testi di seconda stesura dei Quaderni.
10. Getto da ultimo lo sguardo sulle immagini proiettate dalla lanterna magica del pensiero di Gramsci, così gravide di passato e futuro. Emerge, in particolare, quella della storia umana come «annodamento» dell’individuo con altri uomini e con la natura. Vi ritrovo l’idea di una mia piccola epifania quando, seduto su di una panchina di un giardino, ho avuto forte il senso che quell’istante del mio tempo era inserito in una rete di relazioni con altri uomini del passato che, a contatto con la bellezza indifferente della natura, come me erano vissuti, avevano sofferto e assaporato «lo dolce lume». Qualcosa di analogo, forse, alle epifanie descritte da Camus nelle sue prose giovanili mediterranee. Nihil novi sub sole.
Da un passo notissimo di una lettera di Antonio al figlio Delio:
Io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi, non può non piacerti più di ogni altra cosa (LC 806).
Oppure, nel linguaggio più mediato dei Quaderni:
Se si dice che la “natura dell’uomo è lo spirito” si dice che essa è la “storia”, cioè l’insieme dei rapporti sociali in processo di sviluppo, cioè ancora l’insieme della natura e della storia, delle forze materiali e di quelle spirituali o culturali ecc. (Q 1209).
[1] Lettera a Tatiana, 7 settembre 1931. Dietro all’interessamento della cognata per gli studi sugli intellettuali che il prigioniero stava conducendo in quel periodo, agivano le sollecitazioni di Sraffa e, per suo tramite, di Togliatti. Il carattere in realtà più che triadico di questo e altri dialoghi con la cognata (come nel caso di quello condotto in merito all’interpretazione del canto x dell’Inferno), è stato sottolineato in part. da Giuseppe Vacca nel suo Vita e pensieri di Antonio Gramsci (1926-1937), Einaudi, Torino 2012.
[2] Le rose e i Quaderni, Carocci, Roma 2003, p. 103.
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