POESIA MODERNA: BAUDELAIRE, RIMBAUD E L’ARTE
La nascita della poesia moderna non è riducibile a una mera data e la definizione stessa di ‘moderno’, come ogni etichetta, può essere suscettibile di varie interpretazioni. Se ne sottolineano, però, fin dall’inizio, i caratteri peculiari: la drammaticità aggressiva di essa, lo iato tra segno e significato, che determina uno choc, la cui vittima è il lettore, la dissonanza e l’oscurità di principio. Baudelaire scrive: «C’è una certa gloria nel non essere compresi»; Montale risponderà: «Nessuno scriverebbe versi se il problema della poesia fosse quello di farsi capire».
È però possibile indagare e riflettere su di essa, a partire da alcune parole del poeta francese, nelle quali si scusa di utilizzare la parola ‘moderno’, pur ritenendola necessaria per esprimere la capacità di vedere oltre la decadenza della metropoli e di avvertire una scoperta mai vista prima. Così, nel distaccarsi dal reale, si giunge ad una zona del misterioso e la materia è resa poeticamente vibrante. La tensione irrisolvibile è il fulcro di ogni poesia di Baudelaire, attraverso il quale incomincia la spersonalizzazione del poeta, la polverizzazione dell’io empirico, presente solo in quanto cosciente della sua condizione di uomo sofferente della modernità. E decide di salvare il linguaggio, di mettere al centro la Bruttezza, che diviene Bellezza, tutta da penetrarsi, da afferrarsi poeticamente. Nel tempo del positivismo scientifico, della fotografia, e dunque, della perdita del mistero, Baudelaire è lo spartiacque del prima e del poi, definendo la sua arte misteriosa surnaturalisme, da cui nel 1917 Apollinaire farà scaturire il surréalisme. Si osservi la poesia di Baudelaire, Le tenebre:
Nell’ipogeo della tristezza nera
dove soffro, dannato dal destino;
dove non entra un raggio mattutino;
dove solo, con l’ombra, ospite austera,
mi sento come un povero pittore
che un dio condanni a pinger nella notte;
dove, cucinator che tutto inghiotte,
faccio bollire e divoro il mio cuore,
a volte brilla, poi s’accresce e sale
un fantasma splendente di bellezza.
Dal suo sognante incesso orientale,
allor che attinge la sua compiutezza,
riconosco la mia visitatrice:
è Lei! la chiara e fosca ammaliatrice!
Tuttavia, la risposta a Baudelaire viene data ancora prima e alla perdita di mistero la letteratura risponde con il Simbolismo; si osservi Rimbaud, Vocali:
A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali,
Io dirò un giorno le vostre nascite latenti:
A, nero corsetto villoso di mosche splendenti
Che ronzano intorno a crudeli fetori,
Golfi d’ombra; E, candori di vapori e tende,
Lance di fieri ghiacciai, bianchi re, brividi d’umbelle;
I, porpora, sangue sputato, risata di belle labbra
Nella collera o nelle ubriachezze penitenti;
U, cicli, vibrazioni divine dei verdi mari,
Pace di pascoli seminati d’animali, pace di rughe
Che l’alchimia imprime nelle ampie fronti studiose;
O, suprema Tromba piena di strani stridori,
Silenzi attraversati da Angeli e Mondi:
– O l’Omega, raggio viola dei suoi Occhi!
In una conversazione Baudelaire disse: «Io vorrei prati tinti di rosso, alberi tinti di azzurro». Rimbaud canterà prati e alberi così, gli artisti del XX secolo li dipingeranno (Hugo Friedrich, La struttura della lirica moderna).
Bibliografia:
Hugo Friedrich, La struttura della lirica moderna, Garzanti, Milano 2002.
Charles Baudelaire, I fiori del male, Einaudi, Torino 2014.
Arthur Rimbaud, Opere, Marsilio, Venezia 2019.
@ILLUS. IN EVIDENZA by, SOBERMAN, 2021