LA TRASCENDENZA NECESSITANTE – Das Wesen muß erscheinen
«L’essenza deve apparire». Così inizia una sezione della Wissenschaft der Logik di Hegel intitolata Die Erscheinung – L’apparenza –. Il verbo müssen indica la «necessità» – das Muß –. Già alla fine della sezione precedente Hegel aveva scritto che «Quando si son verificate tutte le condizioni di una cosa, essa entra nell’esistenza. La cosa è, prima che esista; e precisamente è in primo luogo come essenza, o come incondizionato; secondariamente ha un esserci, ossia è determinata…»: Wenn alle Bedingungen einer Sache vorhanden sind, so tritt sie in die Existenz. Die Sache ist, ehe sie existiert; und zwar ist sie erstens als Wesen oder als Unbedingtes; zweitens hat sie Dasein oder ist bestimmt…
Deontologia: dover essere. C’è una Ursache (die) – causa – che è ragione della cosa – die Sache –: la sua ragion d’essere. C’è un (Pre)giudizio – das Urteil – che presupponendo le cose le pone in essere come parti – die teile – di sé. Trascendenza. A sentire queste bestialità, al vostro Profeta, o desistenti, rischia sempre di venire un attacco di epilessia filosofica: egli, homo sacer, è sempre soggetto al morbus sacer quando se ne verificano le condizioni sopra indicate. Luigi Pareyson, volendo fondare una ontologia della libertà non ama molto il verbo müssen: la necessità è il nemico numero uno della libertà.
«Ma la necessità è un’illusione. Non è necessità la libertà come natura, non è necessità la libertà divina, non esiste la prescienza. Dal punto di vista della libertà la necessità appare come un’illusione.».
[Luigi Pareyson: Ontologia della libertà / Il male e la sofferenza – Einaudi (Paperbacks Filosofia 253), Torino 1995 – pagg. 42-43]
Infatti, Pareyson pescò a piene mani dalla filosofia di Hegel ma, quando gli capitava di pescare qualcosa che puzzava alla teologia cattocrisiana (pesce marcio?), ributtava subito a mare quanto pescato: «in Hegel la dialettica è una dialettica della necessità, in cui i momenti e l’esito sono necessari, univoci, inevitabili», disse il filosofo di Piasco nella quarta lezione di Ontologia della libertà. A noi invece piace andare a ripescare il marcio che nauseava Pareyson: a costo di mettere la mascherina vogliamo toccare con mano; e con mano tocchiamo che per Hegel
- L’essere è essenza
- L’essenza è essere
- L’essenza dell’essere è esistere
Quando esiste, l’essenza dell’essere «apparisce»: So erscheint das Wesen. Non bisogna però mai dimenticare quanto lo stesso Hegel aveva scritto proprio all’inizio della sua dottrina dell’essenza: «La lingua tedesca ha conservato l’essenza (Wesen) nel tempo passato (gewesen) del verbo essere (Sein); perché l’essenza è l’essere che è passato, ma passato senza tempo.»; zeitlos: senza tempo. L’atemporalità dell’essenza è quella del φύω che genera la φύσις (-εως, ἡ): il latino fuit – a dire che l’essenza è presupposta in un essere che fu prima ancora di essere posta come esistente. Ma posta da chi? Dall’esistente stesso che la pensa: questo è il trucco che invalida tutta la flosofia hegeliana, e che, di fronte al pensiero desistenziale, rivela tutta la sua menzognera inconsistenza. Infatti, non bisogna nemmeno dimenticare che la lingua tedesca dalla quale Hegel – come Heidegger – trae la sua verità ontologica è anche quella che chiama «la Co-scienza» das Be-wußtsein: be-wußt è l’essere «co-sciente» per via di un «risaputo» che in quanto «saputo» è participio passato del verbo wissen: conoscere; e allora non ci vuole molto a fare due più due: gewesen und gewissen concordano in questo: il primo è presupposto di una es-senza che è essere, e il secondo lo è di una co-scienza che è co-noscenza. L’essenza dell’essere di un essente è la sua coscienza come conoscenza di essere essente.
- das Ge-wissen: l’essere sciente in scienza.
- das Be-wußtsein: l’essere cosciente in scienza e coscienza.
L’intento di Hegel, è noto, fu quello di togliere l’«in sé» delle cose da quella ulteriorità noumenica che Kant aveva supposto al di là di esse; non c’è niente al di là delle cose – sosteneva Hegel – perché tutto ciò che deve manifestarsi si manifesta: tutto ciò che è ragionevole è reale, sì che la Ragione pensando l’«Idea di Essere» presupposto al «Concetto di Esistenza» pensa una Essenza di là da venire ma non al di là dell’ente che in avvenire sarà questo essere a venire. L’«aldilà» kantiano – ovviamente sempre in senso gnoseologico – è una «inseità» che non si può conoscere gewiß (in scienza), l’«al di là» hegeliano è un «in sé» che si può e si deve conoscere bewußt (in co-scienza). La natura nascitura dell’essere (esse nasciturum), in quanto natura cognitura, è quella di diventare certamente, nella sua essenza (essentia nata), natura naturata in quanto natura cognita.
Esse nasciturum esse cogniturum:
essentia cognita conscientia entis.
La scienza dell’essere è per Hegel la coscienza dell’essere che si conosce come ess-ente: ente che è. Il vostro Profeta, o desistenti, vi mette in guardia: attenzione, dietro a questo Sistema onto-logico che risolve ogni paura dell’ignoto in una rassicurante gnoseologia della coscienza c’è solo e soltanto una gran paura del Nulla, una gran paura di Nonessere, l’orrore di un vuoto che a tutti i costi dev’essere riempito con qualcosa – e se non è un ente, pazienza: sarà un ni-ente, un ente che non c’è ancora ma che sicuramente arriverà – # andrà tutto bene. Il Bene è per la stragrande maggioranza delle persone la sicurezza che l’Essere c’è, ci fu e ci sarà sempre. Sia maledetto Emanuele Severino e tutti quelli come lui. Sia maledetto Hegel, quando scrive: «Tutto quel che è, ha un fondamento o una ragion d’essere, vale a dire è un posto…»: Alles was ist, hat einen Grund oder ist ein Gesetztes… Si chiama «la “Legge” del ‘Posto’»: la ragion d’essere di un essere che ha il suo fondamento (ragione di essere) nell’essere già (stato) posto in essere (!?).
Ci sono troppi «ge-» nella filosofia dell’ontodicea: gewesen (essere stato), gewissen (essere conosciuto). Oracolo di Dexistens, Oracolo del Profeta: ha bisogno di sicurezza, questa filosofia, ha bisogno di certezza – die Gewißheit – ma voi diffidate degli insicuri, o desistenti, date retta al vostro Profeta, Dexistens, e cestinate senza esitazione questa «Mitopoiesi della Verità»!
mitopoièṡi s. f. [dal gr. μυϑοποίησις, der. di μυϑοποιέω «inventare favole», comp. di μῦϑος «racconto favoloso, mito» e ποιέω «fare»]. – In generale, l’attività, l’arte o la tendenza a inventare favole, a formare miti; in partic., nell’interpretazione dell’antropologia culturale, processo di formazione ideologica con cui si attribuisce a fatti reali o alla narrazione di essi un valore fantastico di riferimento culturale e sociale.
Vi raccontano delle favole, costoro, s’inventano delle favole belle per stornare da sé una brutta realtà: «Quel che esiste, ha una ragion d’essere ed è condizionato, bisognerebbe in pari tempo dire: Non ha alcuna ragion d’essere ed è incondizionato.» – …was existiert hat einen Grund und ist bedingt, so müßte auch ebenso gesagt werden, es hat keinen Grund und ist unbedingt. – Affabulatori di menzogne, costoro s’inventano dei bei sogni ontologici per poter dormire tranquilli sui loro brutti incubi meontologici! Tutto e il contrario di tutto: questo è il fondamento della dialettica hegeliana! L’orrore per «l’abisso» – der Abgrund – di un paventato essere-senza-ragion-d’essere fa dei brutti scherzi: porta questi pavidi a spacciare per vero «il fondamento» – der Grund – di una Ragione che avrebbe ragione solo e soltanto poiché (poi che: dopo che, poi dopo…) è posta in essere? Mitopoiesi di una “verità a posteriori”. Libertà di un incondizionato Essere-Vita che a breve – è solo questione di tempo – sarà certamente un condizionato essere-viv-ente? Ma dov’è, quell’incondizionato Essere-Vita se non nel viv-ente che lo pensa concettualmente dal momento che egli è già in-Vita? «Utopia dell’Ideale», questo esse-vita, utopia pensata da un(o) ens-viv-ens per esorcizzare la «Distopia del Reale». A rileggere Schopenhauer e il suo ihr Seyn ist ihr Wirken viene da pensare a Hegel: la libertà dell’Essere idealmente astratto è condizionata al suo dover diventare l’Essenza dell’Esserci realmente concreto.
Hegel non molla: «La proposizione dunque sarebbe: L’essenza è l’esistenza; essa non è diversa dalla sua esistenza.» – Der Satzt also hieße: «Das Wesen ist die Existenz»; es ist nicht von seiner Existenz unterschieden. – La «proposizione» logica è logicamente (?) anche garanzia di Verità onto-logica: non si butta niente, nell’economia della logica hegeliana, ogni essenza esaurisce tutto il potenziale essere che preesiste ad essa nella testa bacata di chi la pensa. Ciò che «al momento» è, «un tempo» era stato – ovviamente un tempo senza tempo, zeitlos. Esistere è «tempo» nell’essenza della Vita, sì che Essere è sistere «anzitempo» nell’Essere della Vita. L’entità essenziale del «viv-ente» prosciuga letteralmente (l’Essere è liquido? L’acqua è il principio di tutte le cose?) la nientità inessenziale della «Vita»: a che pro? La condizione, negativa, dell’affermazione della Vita è che il viv-ente sia in Vita; e questo condizionamento diventa sensazione di malessere oggettivo creduto soggettivamente sentimento del Male dalla mitopoesi religiosa. Aveva ragione, Leopardi, quando cantava: a me la vita è male… a noi, la vita è male – così parlò Dexistens.
Progetto Dexistens nel Network di Arena Philosophika, per vedere la home di Dexistens clicca qui.
@ILLUS. by PATRICIA MCBEAL, 2021