LA SFIDA DELLA MAGIA

Parlare di magia rischia di essere semplicemente pleonastico. Ogni parola che possiamo addurre è sempre parola di troppo. Questo perché la magia non è un oggetto qualsiasi come potrebbero essere i computer o le merendine; né è qualificabile come un’idea o un concetto. Non è concreta e non è astratta, eppure è perfettamente concreta e altrettanto astratta. E di più, è, nello stesso tempo, concreta e astratta. Concreta perché ha a che fare con la realtà tattile, percettiva: dalla sparizione di una monetina a quella della Statua della Libertà è la concretezza in primo luogo dell’oggetto, in secondo della sua assenza, a colpire l’occhio e l’attenzione; astratta perché noi sappiamo che, alla fin fine, nessuno si sia intascata la mia monetina e che la mastodontica statua nessuno sia stato in grado di spostarla di un millimetro. Eppure, noi vediamo tutto questo; quanto sappiamo stride con quanto constatiamo percettivamente e ciò genera un interessante mismatch tra le nostre facoltà. Discrasia che si dispiega attraverso la mancata sovrapposizione dell’ontologia (cioè quello che c’è; benché sia erroneo intendere l’ontologia come l’elenco inventariale del presente, ma per ora si assuma la definizione per vera) con l’epistemologia (ciò che noi sappiamo; vale anche per questo termine il medesimo discorso fatto per ontologia).
Difatti, la magia involve primariamente una vera sfida ai nostri schemi concettuali. Se questi ultimi sono l’intelaiatura grazie ai quali ordiamo e ordiniamo la realtà, cioè quegli strumenti che si situano tra l’inconscio e la coscienza cosciente e che ci permettono di avere esperienza del mondo libero da una caotica deriva indeterminabile, esperire un numero di magia stressa la nostra facoltà concettiva (creazione e applicazione di concetti) al punto da farla esplodere. Come i concetti sono gli occhiali che filtrano i raggi solari e che al contempo permettono di vedere l’ambiente circostante (Cimatti), così il numero di magia è la novità che mette in difficoltà la tramatura cartesiana della realtà. Cartesiana per due aspetti principali: da una parte, nel dualismo oggetto-soggetto da sempre orientato sul vettore passività-attività che viene rovesciato assistendo al trucco magico (l’oggetto, il numero di magia, è il vero agente e lo spettatore, il soggetto, è soggetto, passivamente, alla tempesta concettuale che lo investe); dall’altra nel dualismo ascisse-ordinata costituente la mappa per il tesoro (il referente che immancabilmente viene agganciato e affondato) che viene stracciata dall’assenza di riferimento del numero magico (quale riferimento è possibile per qualcosa cui è impossibile riferirsi perché impossibile che accada?).
Ed ecco due altri fondamentali aspetti del gioco della magia: innanzitutto, essa si presenta come un’esperienza negativa (Leddington), come una esperienza di negazione che si nutre dell’esperire la negazione (la sparizione e la sua impossibilità, metanegazione) di ogni possibile esperienza (il dissidio concettuale di prima; più oltre ci si dovrebbe interrogare se sia affettivamente (altro termine da questionare) corretta l’affermazione della sua natura negativa); in secondo luogo, la magia è l’impossibile che prende vita, l’impossibile che si fa possibile restando impossibile. È impossibile che due corpi solidi si compenetrino; è impossibile far levitare l’assistente a mezz’aria; è impossibile leggere nella mente, eppure si sta assistendo proprio a quell’adúnaton. Ma l’impossibile resta sempre impossibile; nessuno legge la mia mente, eppure legge i miei pensieri (strumento retorico utilizzato da moltissimi maghi). E questo confligge con i miei schemi concettuali.
Un ultima cosa, forse ovvia: ormai è appurato, scritto e riscritto in mille libri, che la magia non è frode o falsificazione; la magia è confusione, stupore, inganno: la magia è illusione…
Per il richiamo a Cimatti ci si è riferiti al suo volume intitolato Cose. Per una filosofia del reale, Bollati Boringhieri, Torino 2018.