REALE? NON REALE?

«A conjurer is an actor playing the part of a magician»
Jean-Eugène Robert-Houdin
1862, London Polytechnic Institute; il Professor John Henry Pepper presentò il suo The Haunted Man: un attore sulla scena veniva tormentato da un fanstasma, «a three-dimensional, transparent, glowing ghost with a grinning skull and wreathed in a white shroud» (Lamont, Steinmeyer, p.189) che compariva minaccioso dietro al malcapitato attore per essere perseguitato. Pepper non era una mago; era però molto bravo nel dimostrare una teoria scientifica attraverso elaborate scenografie teatrali. Forse fin troppo abile; la sera dello show avrebbe voluto, terminato il numero, salire sul palco e spiegare agli astanti attraverso quale complicato gioco di specchi e riflessi fosse riuscito a far comparire il fantasma, ma si rese conto che gli spettatori erano talmente scossi e impressionati da credere di essere di fronte ad un vero numero di magia, e per giunta uno dei più spettacolari. Il Professore decise così di non rivelare il segreto entrando di diritto nella storia della magia. Ah, Pepper era un chimico.
Come riportato nell’esergo, il mago è un attore, un teatrante, un professionista della scena che recita una parte e lo fa professionalmente. Il mago, attore che recita la parte di un mago, inteso come colui che detiene poteri superiori (far sparire gli oggetti, levitare le persone… rendere l’impossibile possibile in poche parole) ha appreso, esercitandosi costantemente, una tecnica e tramite il medium tecnico dei suoi tricks è in grado di interpretare ad arte il ruolo che si è scelto. Se il mago è un artista, allora ciò che veicola non può che essere a sua volta arte; possiamo allora concludere, in via del tutto preliminare, che la magia è arte. Ma è un’arte particolare e la recita del copione non può essere equiparata a quella di un qualsiasi altro attore: la magia è performance art per eccellenza.
L’episodio precedente ci mostra chiaramente il labile confine che separa il reale dal non reale. Una dimostrazione scientifica si è trasformata, ontologicamente, in uno spettacolo di magia, in una finzione teatrale. Finzione teatrale che rispetto ad altre congeneri si struttura in maniera completamente differente. Essendo una performance il confine si fa sempre più indistinguibile per cui è quasi impossibile discernere ciò che è realmente un numero di magia da ciò che è reale (ovvero non manipolato da trucchi volutamente ingannevoli). L’esempio di Pepper è significativo perché una reale dimostrazione scientifica (benché teatralizzata) si è trasformata in un non reale numero magico (peraltro perfettamente reale, almeno agli occhi degli spettatori). Si può ancora dire che il mago sia un attore che recita la parte del mago? Qui abbiamo piuttosto uno scienziato supposto recitare la parte dello scienziato in quanto mago (e per questo perfettamente in grado di operare meraviglie).
Eppure non stava recitando! Né era un mago! Se la performance stessa è la recitazione dell’attore, allora la performance del mago è la magia stessa e non la recita di un attore che si presenta come mago. Ciò non toglie che il mago, che non è attore-che-recita-la-parte-di-mago, non stia recitando alla perfezione la parte che si è scelto: semplicemente, il mago fa il mago. Non è la recitazione a costituire la performance, bensì la performance a costituirsi, anche, di recitazione. Ma la recita di un copione, si sa, è operazione che si libra in un equilibrio incostante: chi ha mai recitato qualcosa di autentico? La recita è, per definizione, finzione (nessuno recita la propria vita, vive, magari recitando, ma non recita di vivere); ma la performance della recitazione, quella no, è autentica. Quindi il mago recita una finzione performando la recitazione, che dunque non sarebbe più recitazione perché performance della recitazione che, abbiamo detto, quello è gesto autentico. Allora il mago fa solo cose autentiche? Eppure la pallina non sparisce; cioè sparisce, senza sparire: (non) sparisce. E questo perché come ha mostrato negli Écrits Lacan «la verità ha la struttura della finzione».
Siamo nel 1856, giugno, e Robert-Houdin fu convocato, per la terza volta, dal Colonnello De Neveu in Algeria per sedare una volta per tutte il potere dei marabutti (santoni islamici, un po’ eremiti e un po’ guerrieri). La missione molto semplice: impressionare con la magia francese quei marabutti che con i loro presunti poteri soprannaturali, imperterriti, continuano ad aizzare la folla a rivoltarsi contro la potenza europea. Benché non ci siano fonti storiche accertate, come ricordano Lamont e Steinmeyer, anzi, dai documenti analizzati risulterebbe l’esatto contrario, Robert-Houdin presentò una serie di straordinari numeri magici vendendosi come autentico sciamano-stregone dalla forza oltreumana. La straordinarietà dello spettacolo impressionò a tal punto i santoni che gridando terrorizzati si precipitarono fuori dal teatro, del tutto convinti della genuinità dell’energia mistica e della superiorità di quell’uomo venuto dalla Francia. Così i moti popolari si placarono e una sanguinosa guerra venne, per una volta tanto, evitata. Almeno questo è quello che ci racconta nel Memoirs.
Ed è proprio questo che ci interessa; la storia con i suoi (pochi) documenti ci mostra di come i marabutti si siano stupiti della sua abilità di illusionista (conjuror) ma che altresì non abbiano creduto alla sua veste di mago-stregone (wizard-sorcerer); tuttavia, il racconto che Robert-Houdin ha fatto di sé ci conduce in tutt’altra direzione; inversamente che Pepper, un reale numero di magia è stato presentato e creduto (benché non nella realtà storica) come un non reale numero di magia, perché reale magia mistica! Insomma, una finzione (il numero di magia) è stata presa per autentica stregoneria. Appunto, il mago è un attore che finge di essere un mago. Ma il mago è un attore che finge di essere un mago (conjuror) o che finge di essere un mago-stregone (wizard-sorcerer)? Perché sul palco il numero di magia è stato reale…
“I’m writing a book on magic”, I explain, and I’m asked, “Real magic?” By real magic people mean miracles, thaumaturgical acts, and supernatural powers. “No,” I answer: “Conjuring trick, not real magic.” Real magic, in other words, refers to the magic that not real, while that magic that is real, that can actually be done, is not real magic (Siegel, citato da Laddington, corsivi miei).
Siamo così ritornati al punto di partenza. Se la reale magia (autentica) è quella dai poteri sovrannaturali, allora nessun mago opera reale magia (autentica magia soprananturale); eppure se una autentica dimostrazione scientifica viene scambiata per un reale numero di magia (perfettamente non reale per altro, perché autentica dimostrazione scientifica) e un reale numero di magia è stato presentato come reale magia sovrannaturale (peraltro perfettamente non reale perché reale magia), non si può non chiedersi a cosa si abbia assistito. La sparizione della pallina è reale oppure non reale? Ho di fronte a me un reale mago (wizard-concerer)? Un autentico scienziato che sa come ingannarmi applicando le sue competenze scientifiche ad hoc? Oppure sono stato semplicemente spettatore di un reale numero di magia messo in scena da un reale mago (conjuror)? Buon cielo, cosa devo intendere allora per reale e non reale?
Ecco, il numero di magia ci porta a riconsiderare le categorizzazioni di reale e non reale, a indagarne il senso ingenuo (linguaggio naturale) e tecnico (specificatamente in ambito filosofico) per fornirne una possibile ridefinizione.
Jason P. Leddington, Magic: Art of the Impossibile, in D.Goldblatt, S. Partridge, L. Brown (eds.), Aestethics: A Reader in Philosophy of the Arts, Routledge, London 2017.
Peter Lamont e Jim Steinmeyer, The Secret History of Magic. The true story of deceptive art, Penguin Random House LLC, New York 2018.
@ILLUS. by, FRANCENSTEIN ft. G.E.O.M., 2020