DIALOGO CON BENEDETTA SANTINI (FILOSOFIA E CAFFEINA)

Come si fa oggi filosofia fuori le mura dell’università? Come si può comunicare la filosofia nel flusso tempestoso dei social? E quale immagine della filosofia emerge dalle interazioni tra i divulgatori e il loro pubblico? Ne abbiamo parlato con Benedetta Santini, ideatrice del progetto instagram @filosofiaecaffeina.
Simone: Come nasce il progetto Filosofia e Caffeina? E con quale finalità?
Benedetta: Ho iniziato a fare video a Febbraio 2020, all’inizio della pandemia. Ricordo che, quando pubblicai il primo video, scrissi un post per i miei amici su Facebook. Te lo cito direttamente:
Ci sono un sacco di cose che nella vita non avrei mai pensato di fare. La numero 1 è questa: un video su YouTube. Mi sono messa in testa di fare la diva su internet? Zero. Zero proprio. Quello che voglio fare è parlare di filosofia, perché a 80 anni voglio poter guardare indietro e dire: “Va bene, non mi ha filata nessuno, però a 27 anni io stavo lì, a parlare di filosofia. A parlare di filosofia, con le luci sparate in faccia che manco Barbara D’Urso. E non mi fermo al primo video. Questo è il primo sì, ma di una serie che ripercorrerà le vite di tutti i filosofi. Perché non scherzo quando scrivo che la vita è filosofia. E non scherzo nemmeno sulle luci sparate in faccia. Se apri il video lo vedi subito. Lo so Diogene, lo so che sei fiero di me. Daje.”.
Ecco, la finalità era esattamente questa. E non è mai cambiata.
Simone: Nei tuoi video ti interessi di quegli aspetti filosofici che incontrano la psicologia: qual è per te il terreno comune sul quale fare convergere le due discipline?
Benedetta: La cura dell’anima, la direzione che vogliamo dare alla nostra vita, il dolore, la felicità, la connessione con gli altri e con il mondo. Sono tutti temi di cui si sono occupati prima i filosofi e poi gli psicologi. Certo, se ne sono occupati anche scrittori e artisti, ma mentre loro tendono di più a descrivere e immaginare, filosofi e psicologi puntano a capire e a risolvere. Così, almeno, è come la vedo io.
Sia chiaro: descrivere, immaginare, capire e risolvere sono quattro attività interdipendenti, non mi sognerei mai di dire che una è più importante dell’altra. È solo che mi sento più affine alle ultime due, perché mi commuovono. Mi emoziona pensare che tutti insieme facciamo lo sforzo di dare un senso alle parti più dolorose della vita.
Simone: Sei laureata in psicologia, ma stai affrontando anche il percorso universitario di filosofia: in base alla tua esperienza, quale è l’apporto della filosofia alla psicologia e quale quello della psicologia alla filosofia?
Benedetta: Questa è una domanda a cui cerco di rispondere di volta in volta, a seconda dei contesti. A volte mi sembra che gli psicologi si siano limitati ad approfondire certi concetti già presenti nei testi di filosofia, altre invece mi ritrovo a pensare che, se alcuni filosofi fossero andati dallo psicologo, forse il loro modo di pensare sarebbe cambiato. Se invece ampliamo lo sguardo e pensiamo all’apporto che la storia della filosofia ha dato alla storia della psicologia e viceversa, rischiamo di perderci in un reame infinito e, a volte, anche indefinito.
Simone: Sul tuo canale Spotify hai dato vita al podcast Che Tragedia!, dedicato all’analisi e al commento delle tragedie greche: cosa trovi in quei testi antichi che possa essere perfettamente valido ancora oggi? La scelta della tragedia è dovuta a semplice organizzazione del materiale (inizio con le tragedie e poi passo ad altro) oppure a caratteristiche specifiche di questi testi? Ci dovremmo aspettare in futuro podcast anche sulla commedia?
Benedetta: Ho iniziato Che Tragedia! con lo stesso spirito con cui inizio qualsiasi progetto: non importa se non mi filerà nessuno, quando a 80 o 90 anni mi guarderò indietro, voglio sapere di aver fatto ciò che sentivo di dover fare e che mi emozionava. Non ricordo nemmeno come mi venne l’idea di fare un podcast sulle tragedie. Ricordo solo che era estate (ho pubblicato il primo episodio ad Agosto 2024, ma l’idea mi è venuta ad Agosto 2023) e che ho provato un’ondata di entusiasmo all’idea di farlo. Un entusiasmo che per ora non provo quando penso alle commedie, quindi no, alla fine di Che Tragedia! non inizierò Che Commedia!, ho in mente altro.
Simone: Hai pubblicato, pochi anni fa, il libro Platone, c’ho l’ansia: come descriveresti l’esperienza di scrittura di un testo articolato, per natura più strutturato di uno script per i video o i podcast?
Benedetta: Platone c’ho l’ansia è il primo libro che ho pubblicato, ma non il primo che ho scritto. Per quanto mi riguarda, l’esperienza della scrittura cambia tutte le volte, ma una cosa resta uguale: devo stare molto attenta a non farmi risucchiare. Ti faccio un esempio.
Una volta mi è capitato di iniziare a scrivere alle 11 di sera, perché credevo di avere qualcosa di importantissimo da esprimere. Ho preso dei libri da consultare e mi sono messa davanti allo schermo del computer. Durante la notte, ho scritto su Word, ho scritto sui miei quaderni, sui post-it, sui margini delle pagine. Poi ho sentito un rumore e ho guardato fuori. Era l’alba e il camion dei rifiuti stava passando a svuotare i bidoni dell’umido. Ho fissato la scena come se il camion fosse un alieno e ho detto ad alta voce: “ah già, esistono ‘ste cose”.
Ovviamente si tratta di un effetto dovuto al fatto che per ore la mia testa era stata nel 300 a.C.
Dirlo così fa sorridere, ma prova poi ad andare al lavoro senza aver dormito, disinteressata a quello che stai facendo perché la tua testa continua a ricordarti ciò di cui stai scrivendo. Mi è anche capitato di pranzare usando solo la mano destra perché con la sinistra dovevo continuare a scrivere per non perdere il filo dei miei pensieri. Sembrano cose affascinati, da scrittori del 1800, ma a fine settimana ti rendi conto che hai vissuto soltanto nella tua testa. Perciò, per evitare di essere risucchiata, ogni tanto mi prendo in giro: “Benny, ma sei sicura che sia tutto così importante? Che roba stai scrivendo, le tue memorie per i posteri? Stai tranquilla, che i posteri vivranno bene anche senza” oppure uso tecniche di radicamento. Spesso funziona, altre volte meno.
Simone: Senti il peso della responsabilità per la tua attività di divulgatrice psicologico-filosofica?
Benedetta: Non ho mai vissuto la responsabilità come un peso per due motivi: il primo è che non pubblico niente se in coscienza non sono sicura che sia accurato. Certo, mi può capitare di sbagliare, come a tutti, però in coscienza so sempre di aver fatto del mio meglio. Questo alleggerisce ogni tipo di peso, non solo nell’ambito della divulgazione.
Il secondo motivo è che cito sempre le fonti, quindi, se per caso ho detto male qualcosa, offro sempre un articolo scientifico o un libro che lo spiega meglio di me.
Simone: Cosa risponderesti ai detrattori di tali attività divulgative, che affermano essere una illecita semplificazione quando non apertamente una dannosa banalizzazione?
Benedetta: I detrattori hanno veramente torto e dannatamente ragione. Preparati, ti darò una risposta lunga.
Partirei da quello che, secondo me, è un torto.
Molto spesso queste persone detestano la semplificazione perché rende accessibile a tanti ciò che vorrebbero tenere solo per se stessi. Ciò accade sia in filosofia che in psicologia. Partiamo dalla filosofia.
Dobbiamo stare attenti alla gratificazione narcisistica: leggere e capire concetti astratti e difficili può farci sentire più intelligenti degli altri. Quando quei concetti vengono semplificati in modo che li capiscano anche altre persone, il piedistallo su cui avevamo appoggiato il nostro ego crolla e noi ci ribelliamo. È come un bambino che dentro di noi grida: “no no, voglio essere speciale solo io!”. Non è molto diverso da chi si vanta di ascoltare la musica di artisti poco noti perché questo lo fa sentire un fine estimatore della vera musica, qualunque cosa sia.
Per quanto riguarda la psicologia, invece, dobbiamo stare attenti al potere. Studiare i meccanismi della mente ci dà la sensazione di avere potere sugli altri, di saperli capire e di poterli manipolare. Se questi meccanismi vengono divulgati, questo potere viene diffuso e annullato. Ancora una volta, il nostro ego traballa.
Ed ecco che si scagliano contro chi semplifica e divulga, screditando il loro lavoro. “Semplifichi troppo, banalizzi!” diventa un modo per dire “sono ancora più intelligente di te!” o “non mi hai tolto il potere!”.
Altre volte, invece, la preoccupazione per l’eccessiva semplificazione e la banalizzazione è lecita ed è segno di rispetto nei confronti delle discipline che rispettiamo e amiamo.
Nel suo libro Babel or The Necessity of Violence, la traduttrice Kuang scrive che tradurre significa tradire.
Quando traduci da una lingua all’altra, tradisci sempre qualcuno. O tradisci l’autore perché cambi lievemente il messaggio, oppure tradisci il lettore perché per essere più aderente al testo scrivi qualcosa di meno comprensibile. Vale la stessa cosa per la divulgazione.
Ogni giorno ti siedi alla scrivania e chiedi perdono per la tua infedeltà.
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Di seguito riportiamo le risposte che Matteo Verrone, collega di Benedetta e ideatore di filosofia_under_18 su instagram e @filosofia_under_18 su TikTok alle ultime due domande dell’intervista.
«Senti il peso della responsabilità per la tua attività di divulgatrice psicologico-filosofica?»
Una volta intrapreso un percorso sui social, è fondamentale tenere sempre in considerazione che ciò che si dice può avere delle conseguenze. Questo vale sia per le proprie ideologie sia per ciò che si sceglie di divulgare. Chi decide di intraprendere una strada simile deve essere consapevole di non potersi permettere errori di alcun tipo.
Ricordo bene una svista commessa nei primi mesi di attività: affermai erroneamente che il comunismo predicava la totale abolizione della proprietà privata, abitazioni comprese! Purtroppo, il video divenne virale e fui pesantemente criticato. Tuttavia, non furono le critiche a preoccuparmi di più, ma il fatto che altre persone si complimentarono con me. Avevo trasmesso loro una nozione errata e, a causa mia, ora avevano un’idea completamente sbagliata sull’argomento!
Posso dire di sentire un certo peso ogni volta che scelgo di divulgare, ma, come si suol dire, “da un grande potere derivano grandi responsabilità”
«Cosa risponderesti ai detrattori di tali attività divulgative, che affermano essere una illecita semplificazione quando non apertamente una dannosa banalizzazione?»
I detrattori esistono ed esisteranno sempre, indipendentemente dall’attività che si sceglie di portare sui social. È inevitabile: qualunque contenuto, anche il più positivo e benintenzionato, sarà oggetto di critiche da parte di una fetta di utenti. Ritengo che perfino chi si dedica a trasmettere messaggi utili, sinceri e genuini non sia immune dagli attacchi di chi, per vari motivi, sceglie di contestare o polemizzare.
Questo fenomeno si accentua su piattaforme come TikTok, che si basano su contenuti brevi e immediati. Gli utenti che accedono a queste piattaforme devono comprendere che non possono aspettarsi lezioni approfondite o discorsi completi: TikTok è progettato per la fruizione di contenuti rapidi, che catturano l’attenzione nel giro di pochi secondi. È una piattaforma di “short content“, dove ogni creator è costretto a semplificare, eliminare dettagli e andare subito al punto, non solo per rispettare i tempi brevi ma anche per rientrare nelle logiche dell’algoritmo, che premia i video più sintetici e coinvolgenti.
Questo non significa che i creator non siano responsabili di ciò che condividono. Al contrario, proprio la necessità di sintesi richiede uno sforzo ancora maggiore per veicolare messaggi chiari, corretti e privi di ambiguità. È una sfida continua: condensare un argomento complesso in pochi secondi senza travisare il significato, semplificare senza banalizzare e coinvolgere senza cadere in sensazionalismi.
Credo che chi lavora sui social debba accettare il rischio delle critiche e trasformarle in un’opportunità di crescita. Se da un lato è impossibile accontentare tutti, dall’altro lato è fondamentale impegnarsi per comunicare con onestà, consapevolezza e rispetto per chi ascolta. I social sono un potente strumento di condivisione, ma, come ogni strumento, richiedono responsabilità.
@ILLUS. by FRANCENSTEIN, 2025