FEDE E RAGIONE INCONCILIABILI OPPOSTI? – (PARTE III)
In maniera approssimativa e ampollosa in gioventù scrissi: «Per questo tra i vari universi possibili [Dio] ha potuto creare solo quello più straordinario: il più bello, il più stupefacente di tutti, il più adatto ad accogliere nel migliore dei modi la Sua immagine stessa: la coscienza dell’uomo. D’altro canto non avrebbe potuto assolutamente compiere il benché minimo errore: l’avrebbe anticipatamente previsto e subitaneamente corretto» Piccioni Un Angelo d’oro (1996). Ma Dio esiste davvero? Gli indizi della sua esistenza non si limitano alle tracce di atemporalità a cui ho accennato: per mancanza di spazio menzionerò solo la forza gravitazionale essendo questa, al pari delle altre forze fondamentali del cosmo, così ben calibrata da apparire misteriosamente pro-vita. Se la gravità fosse stata infatti anche solo di uno 0’0000000…1% più forte o, viceversa, più debole non avremmo avuto il sole, né alcuna altra stella, e dunque neppure la formazione delle molecole di cui siamo fatti. Complicatissimi calcoli matematici rivelano che, statisticamente, sia infinitamente più facile che una persona vinca a ogni singola lotteria e super-lotteria del pianeta, piuttosto che ritrovarsi, tra gli infiniti universi possibili, proprio in quello tenuto insieme da forze cosmiche così ben calibrate e favorevoli alla sua vita. Una fortuna così improbabile da invalidare l’idea stessa che la vita sia il frutto del caso. Tanto che, alla luce di questi calcoli, alcuni scienziati postulano l’esistenza di un’infinità di mondi paralleli, dei quali solo una percentuale infinitesima, è pro-vita come lo è, appunto, il nostro universo. Ma questa sovrastruttura multi-mondista è necessaria davvero? Nei prossimi articoli tenterò di rispondere nel dettaglio.
Qui mi limiterò a dire solo che alla radice di tutto potrebbe esserci proprio quell’inevitabile spinta all’infallibilità derivante dalla simultaneità eterno-temporale in generale e in particolare da quel concetto, svalutato e ridicolizzato dai più ancora oggi, ma che in passato, sia Platone, sia gli apostoli di Cristo, tenevano nella più alta considerazione: la vaticinazione[17]. Per iniziare a contestualizzare il senso di quanto detto fin qui in generale e in particolare sulla vaticinazione rimando a Platone vaticinò il Cristo[18] e, soprattutto, al mio prossimo articolo: lo incentrerò ancora una volta sulla teoria della evoluzione acasuale ma, diversamente da come ne ho parlato fin qui, mi servirò della t.e.a. per portare alla luce sia il vero significato del “daimon vaticinante” di Socrate, sia delle cosiddette “dottrine non scritte”. In altre parole cercherò di mostrare la convergenza perfetta tra la t.e.a. e la misteriosa teoria che Platone rifiutò di mettere per iscritto nel timore di venire frainteso e deriso. Se le moderne Accademie continuano ancora a ignorare la fonte da cui Platone trasse i suoi scritti (cioè la matrice teoretica o, se preferite, il vertice del suo pensiero), è solo perché, come un geniale creatore di indovinelli ed enigmi, si limitò ad accennarla con affermazioni così allusive da poter essere inteso da pochi:[19] innanzitutto dai discepoli che in precedenza lui avesse istruito oralmente e in secondo luogo da chi avesse trovato da sé – fortunatamente – la chiave, come ad esempio ritengo essere appunto la teoria della evoluzione acasuale (t.e.a. in italiano o in inglese p.e.t., purposeful evolution theory, su suggerimento del prof. Richard Bell della Nottingham University).
Nell’attesa di approfondire anche qui su ArenaPhilosophika il modo in cui re-interpreto razionalmente le radici del pensiero Occidentale rimando i curiosi impazienti [😉] alle appendici del mio ultimo romanzo filosofico Di dominio pubico, edizioni Ensemble.[20]
Il Fattore e il Padre di questo universo è molto difficile trovarlo, e trovatolo, è impossibile parlarne a tutti Platone, Timeo, 28 E
Riguardo a quell’altra questione che è certo d’ordine più elevato e divino […] la natura del Primo non ti è stata svelata a sufficienza. Bisogna allora che te ne parli io, ma per enigmi, di modo che, se il mio scritto dovesse finire in qualche luogo sperduto della terra o del mare, un eventuale lettore non potrebbe trarne alcun senso. Ecco come stanno le cose. Ogni essere sta intorno al re del tutto; tutto è per merito suo, ed è causa di tutte le cose belle. Le realtà del secondo ordine stanno intorno al Secondo, e quelle del terz’ordine al Terzo. […] Platone, Lettera ii, 312 d-313 c[21]
PS Ringrazio il filosofo Pavel Butakov per avermi indicato online dalla Siberia nel corso di uno dei nostri confronti serrati ma stimolanti, l’esempio delle due linee parallele di Natalja Deng.
[17] Tra le numerose testimonianze che attestano l’importanza della vaticinazione nella filosofia platonica, qui ne anticipo solo tre: nel Menone (99A – 100C) Platone paragona se stesso al più grande vaticinatore dell’antichità, ovvero Tiresia; nel Fedro, (242B-D) afferma per bocca del suo amato Socrate, «In verità, o amico, ha una capacità vaticinante anche l’anima»; nel Fedone (85B), fa dire sempre a Socrate, «Ritengo di aver avuto da Dio il dono della vaticinazione» e in altri dialoghi gli fa ripetere molte volte di percepire interiormente una voce vaticinante, ossia la voce del proprio «dàimon profetico». Prima di parlarne dettagliatamente nel prossimo articolo rimando a questo brano platonico:
«Capisco, o Socrate. È per il fatto che tu affermi che, in ogni occasione, ti si fa sentire quel segno divino [il quale, è, come vedremo, secondo Platone “vaticinante”]. E dunque [Meleto di Pitto] ha intentato contro di te questo processo, ritenendo che tu introduca novità nelle cose divine […]. Anche a me, in effetti, quando nell’assemblea faccio qualche affermazione sulle cose divine e predico alla folla il futuro, mi deridono come se fossi pazzo. Eppure, delle cose che ho predetto, neppure una è risultata non vera; ma essi hanno invidia di tutti quelli come noi». (Platone, Eutifrone, 3B-C)
Inoltre sia gli ebrei prima, sia i cristiani più tardi, tenevano anch’essi la vaticinazione nella considerazione più alta. Nella Bibbia un gran numero di pagine ci parlano di antichi profeti giudei – ma anche di Gesù e dei suoi apostoli – che anticiparono di frequente a individui, famiglie, città, o anche a intere nazioni i destini che li attendevano. Per avere un’idea seppur vaga di quante profezie si trovino nella Bibbia, basti sapere che il solo Nuovo Testamento ne enumera più di 300. Tra gli eventi futuri predetti dallo stesso Gesù ricordo: la vaticinazione relativa a come il suo discepolo Pietro lo avrebbe rinnegato tre volte al canto di un gallo (Vangelo secondo Marco 14,30-31); la distruzione entro breve del Tempio di Gerusalemme (Vangelo secondo Marco 13,1-23); la morte e resurrezione a cui Lui stesso era da sempre predestinato (Vangelo secondo Luca 18,31-34). Ma anche i seguaci di Gesù previdero spesso il futuro. L’apostolo Paolo ad esempio predisse le modalità del naufragio a cui la nave che avrebbe dovuto condurlo in Italia effettivamente andò incontro (Atti degli Apostoli 27,6-44).
[18] Prima di leggere quell’articolo consentitemi, un po’ per gioco, un po’ sul serio, di evocare una suggestione affermando che, forse, neppure il nome “Vaticano” è una semplice coincidenza. La Città o Stato del Vaticano, di cui fa parte la Basilica di San Pietro, prende il nome dal colle sul quale si trova, ovvero il colle che gli antichi romani, ma forse addirittura gli etruschi, battezzarono Vaticanus. Sull’origine di questo nome, coesistono due distinte versioni, entrambe riconducibili al verbo latino vaticinare. Varrone fa derivare il nome dal dio Vaticanus, che a sua volta trae il proprio nome da vaticinium, cioè profezia, preveggenza; il grammatico romano Sesto Pompeo Festo ricorda come il colle Vaticano sia stato abituale luogo d’incontro degli indovini etruschi, i quali, come è noto, introdussero a Roma l’aurispicina, ossia l’arte profetica dei vaticini. Restando ancora in ambiti suggestivi vi cito infine una frase che Platone scrisse pensando alla civiltà da lui tanto agognata: «Allora, vogliamo progettare come dovrà essere questo Stato? Non mi interessa il suo nome né quello attuale, né quello che potrà assumere in futuro, perché questo forse glielo potrà dare o la sua costituzione, o il luogo in cui sorge, o un fiume, o una sorgente, oppure gli dèi eponimi del luogo» Platone, Leggi, IV, 704 A.
[19] Giovanni Reale, Per una nuova interpretazione di Platone…, Bompiani, decima ediz. (1991).
[20] Ulteriori pubblicazioni sulla teoria dell’evoluzione acasuale si trovano in:
Daniele Piccioni, Un angelo D’oro, Città Nuova Editrice, 1996;
una recensione de Un Angelo D’Oro scritta dal Vescovo Manuel Nin, Esarca Apostolico di Grecia, e pubblicata dall’Osservatore Romano il 25 novembre 2012;
Daniele Piccioni e Patrizia Riganti, Time, Atemporality and the Trinitarian Nature of God in Plato’s Philosophical Heritage, Agathos, Volume 9, Issue 1 (16): 7-33, http://irep.ntu.ac.uk/id/eprint/33466/ www.agathos-international-review.com CC BY NC 2018.
Daniele Piccioni, Il Filosofo gigolò, Edizioni Ensemble, Roma 2019
[21] Due Padri della Chiesa commentarono con enfasi tali affermazioni di Platone: per Atenagora (formatosi all’Accademia Platonica) quel preciso riferimento al Primo, al Secondo e al Terzo indicherebbe chiaramente il Dio trinitario adorato da tutti i cristiani (Atenagora di Atene, Supplica in favore dei cristiani, 23, 7); per Clemente Alessandrino (formatosi al Didaskaleion di Alessandria) erano verità argomentate che vaticinavano il culto di Dio (Clemente di Alessandria, Protreptico ai Greci, VI).
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